Il caso
Con sentenza non definitiva pronunciata in data 15.10-2.11.1998 n. 1733 la Corte d'Appello di Venezia - decidendo in ordine alla domanda proposta da alcuni privati nei confronti della Società Italposte-Edilizia di interesse pubblico per la determinazione delle indennità di espropriazione e di occupazione temporanea di un immobile di loro proprietà per la realizzazione di alcuni edifici da destinarsi ad uffici postali - dichiarava che le indennità dovessero essere determinate secondo i criteri di cui alla L. n. 359 del 1992, art. 5 bis, trattandosi di terreno edificabile ricavato dalla demolizione di un vecchio edificio, atteso che i vincoli esistenti al momento dell'esproprio erano preordinati solo alla costruzione dell'opera pubblica. Escludeva poi la decurtazione del 40% e rinviava alla sentenza definitiva la determinazione dei relativi importi.
Rimessi gli atti in istruttoria con separata ordinanza, disposto il supplemento della C.T.U. per computare gli importi sulla base dei criteri previsti dalla citata L. n. 359 del 1992, art. 5 bis ed intervenuta in causa la "Poste Italiane s.p.a." sostenendo di essere successore a titolo particolare della società Italposte, la Corte d'Appello con sentenza definitiva n. 1608 del 4.4-14.10.2002, determinava l'indennità di esproprio e condannava la Italposte-Edilizia di interesse pubblico e le Poste Italiane in solido alle spese del giudizio.
La Corte rilevava che sulla base della sentenza non definitiva, alla cui osservanza era tenuta, non poteva essere messa in discussione la natura edificatoria del terreno e che conseguentemente. doveva trovare applicazione l'art. 5 bis, con riferimento, in mancanza, al reddito dominicale determinato dal C.T.U. e senza la decurtazione del 40%.
Avverso tale sentenza definitiva ha proposto ricorso per cassazione la "Poste Italiane s.p.a.".
Rimessi gli atti in istruttoria con separata ordinanza, disposto il supplemento della C.T.U. per computare gli importi sulla base dei criteri previsti dalla citata L. n. 359 del 1992, art. 5 bis ed intervenuta in causa la "Poste Italiane s.p.a." sostenendo di essere successore a titolo particolare della società Italposte, la Corte d'Appello con sentenza definitiva n. 1608 del 4.4-14.10.2002, determinava l'indennità di esproprio e condannava la Italposte-Edilizia di interesse pubblico e le Poste Italiane in solido alle spese del giudizio.
La Corte rilevava che sulla base della sentenza non definitiva, alla cui osservanza era tenuta, non poteva essere messa in discussione la natura edificatoria del terreno e che conseguentemente. doveva trovare applicazione l'art. 5 bis, con riferimento, in mancanza, al reddito dominicale determinato dal C.T.U. e senza la decurtazione del 40%.
Avverso tale sentenza definitiva ha proposto ricorso per cassazione la "Poste Italiane s.p.a.".
Massime tratte dalla decisione
1. La mancata riserva d'appello sulla pronuncia non definitiva, riguardante la natura del terreno espropriato e la legge applicabile, non può costituire un limite all'applicabilità dello ius superveniens ed alla prioritaria questione della natura del terreno cui il criterio da seguire è intimamente connesso, non potendosi al riguardo formare un giudicato qualora l'indennità non sia stata ancora definitivamente accertata. Infatti, relativamente alla legge applicabile, vale a dire ai criteri da seguire nella determinazione dell'indennità, non può formarsi un giudicato autonomo rispetto alla sentenza definitiva che sulla determinazione in concreto di tale indennità statuisce in quanto detta determinazione è pur sempre inscindibile dal criterio cui far riferimento e cioè dalla "regula iuris" da applicare in relazione alla natura (edificabile o agricola) del terreno espropriato. In altri termini il giudicato può formarsi unicamente sul bene della vita controverso e quindi, in caso di decisione parziale, solo se si tratti di capi autonomi e non già quando, come nel caso in esame, la decisione riguardi un aspetto giuridico strumentale all'attribuzione di detto bene della vita.
2. La sentenza della Corte Costituzionale n. 348 del 2007, che ha dichiarato costituzionalmente illegittimo il criterio di liquidazione previsto dall’art. 5 bis, commi 1 e 2, della L. n. 359 del 1992, per i suoli edificabili, non può spiegare i suoi effetti nel caso in cui la sentenza del giudice di merito sia stata impugnata con ricorso in Cassazione solo dalla P.A. espropriante, vale a dire dalla parte cui non gioverebbe il nuovo quadro normativo che non tollera più un indennizzo dimidiato nella misura voluta dal citato art. 5 bis. Tali conclusioni non si pongono in contrasto con il principio dell'applicabilità dello "ius superveniens" conseguente a detta pronuncia della Corte Costituzionale, applicabile quando sia ancora in discussione la determinazione dell'indennità di esproprio, dovendo esso essere coordinato con l'altro principio della necessità dall'impugnazione da parte del soggetto cui giovi il nuovo assetto normativo. E' evidente infatti che, in mancanza di una specifica censura dell'interessato, il giudice di rinvio non può liquidare un indennizzo superiore a quello determinato dalla precedente sentenza di merito, sia pure in base alla normativa sopravvenuta, stante l'impossibilità di derogare al principio della domanda di cui la necessità della proposizione dell'impugnazione costituisce una applicazione.
2. La sentenza della Corte Costituzionale n. 348 del 2007, che ha dichiarato costituzionalmente illegittimo il criterio di liquidazione previsto dall’art. 5 bis, commi 1 e 2, della L. n. 359 del 1992, per i suoli edificabili, non può spiegare i suoi effetti nel caso in cui la sentenza del giudice di merito sia stata impugnata con ricorso in Cassazione solo dalla P.A. espropriante, vale a dire dalla parte cui non gioverebbe il nuovo quadro normativo che non tollera più un indennizzo dimidiato nella misura voluta dal citato art. 5 bis. Tali conclusioni non si pongono in contrasto con il principio dell'applicabilità dello "ius superveniens" conseguente a detta pronuncia della Corte Costituzionale, applicabile quando sia ancora in discussione la determinazione dell'indennità di esproprio, dovendo esso essere coordinato con l'altro principio della necessità dall'impugnazione da parte del soggetto cui giovi il nuovo assetto normativo. E' evidente infatti che, in mancanza di una specifica censura dell'interessato, il giudice di rinvio non può liquidare un indennizzo superiore a quello determinato dalla precedente sentenza di merito, sia pure in base alla normativa sopravvenuta, stante l'impossibilità di derogare al principio della domanda di cui la necessità della proposizione dell'impugnazione costituisce una applicazione.
Altre decisioni citate nella sentenza
Cassazione Civile, sez. I, 21 dicembre 2000 n. 16061, sulla questione dell’impossibilità della formazione di un giudicato autonomo rispetto alla sentenza che determina in via definitiva l’indennità di espropriazione.
Cassazione Civile, sez. Unite, 22 novembre 1994 n. 9872, sia sulla questione appena citata che su quella del rapporto tra lo ius superveniens e il principio della domanda.
Cassazione Civile, sez. I, 7 settembre 1999 n. 9484, per l'ipotesi inversa di mancata impugnazione dell'ente espropriante e per la non applicabilità in tal caso dell'intervenuto comma 7 bis dell'art. 5 bis..
Cassazione Civile, sez. Unite, 22 novembre 1994 n. 9872, sia sulla questione appena citata che su quella del rapporto tra lo ius superveniens e il principio della domanda.
Cassazione Civile, sez. I, 7 settembre 1999 n. 9484, per l'ipotesi inversa di mancata impugnazione dell'ente espropriante e per la non applicabilità in tal caso dell'intervenuto comma 7 bis dell'art. 5 bis..
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