mercoledì 25 giugno 2008

CORTE DI CASSAZIONE, SEZ. UNITE CIVILI - sentenza 5 giugno 2008 n. 14826

Il Caso
Con atto di citazione notificato il 10.7.1992, l'Arcidiocesi di Napoli, già proprietaria di un fondo con annessa casa colonica convenne in giudizio davanti al Tribunale di Napoli, l'Amministrazione provinciale di Napoli, chiedendo accertarsi il proprio diritto alla retrocessione di una parte dell'immobile suddetto ovvero al pagamento del relativo controvalore, oltre all'indennità per illegittima occupazione.
A fondamento della domanda, espose che con decreto del 23.8.1963, n. 65911 il Prefetto di Napoli aveva disposto l'espropriazione dell'intero fondo in favore dell'Amministrazione Provinciale, ai fini della costruzione del Nuovo Ospedale Psichiatrico e che per la realizzazione dell'opera era stata peraltro utilizzata solo una parte del suo ex immobile, mentre per l'area residua l'Amministrazione Provinciale aveva "rinunciato" all'espropriazione, dichiarando di non averla mai occupata e di aver promosso la rettifica del decreto di esproprio, che però non era mai intervenuta.
Si costituì l'Amministrazione Provinciale, la quale eccepì di non aver più la disponibilità del fondo e che con verbale del 23.6.1982 l'intero complesso ospedaliero era stato consegnato all'Unità Sanitaria Locale, in attuazione del decreto del 27.5.1982, n. 4025, con cui la Regione Campania aveva trasferito ai Comuni l'esercizio delle funzioni sanitarie in materia di assistenza psichiatrica, attribuendo agli stessi gli immobili e le relative attrezzature. In subordine, eccepì l'inammissibilità della domanda di retrocessione, per mancanza del provvedimento discrezionale con cui si dichiarava che l'immobile non serviva più alla realizzazione dell'opera, aggiungendo, nel merito, che il fondo, pur non essendo stato utilizzato, costituiva parte integrante del complesso ospedaliere.
L'attrice chiamò quindi in causa l'Usl, estendendo alla stessa la domanda proposta nei confronti della convenuta.
Con sentenza del 26.8.2002, il Tribunale di Napoli, dato atto della mancanza del decreto di cui alla L. 25 giugno 1865, n. 2359, art. 61, dichiarò il difetto di giurisdizione del giudice ordinario.
Con sentenza depositata il 21.1.2005, la Corte di Appello di Napoli ha rigettato l'impugnazione proposta dall'attrice, distinguendo la domanda proposta dalla stessa ed avente ad oggetto la retrocessione parziale del fondo espropriato, da quella dalla retrocessione totale,
Avverso la predetta sentenza ha proposto ricorso per cassazione l'Arcidiocesi.

Massime tratte dalla decisione
1. Nell’ambito delle procedure di espropriazione per p.u., la retrocessione totale, prevista dall’ art. 63 della L. n. 2359 del 1865 - che si ha quando l'opera pubblica non sia stata eseguita, e siano decorsi i termini a tale uopo concessi o prorogati - va distinta dalla retrocessione parziale, prevista dagli artt. 60 e 61 della medesima legge, che si ha quando dopo l'esecuzione totale o parziale dell'opera alcuni dei fondi espropriati non abbiano ricevuto la prevista destinazione: mentre nel primo caso il diritto soggettivo alla retrocessione, azionabile davanti al giudice ordinario, sorge automaticamente per effetto della mancata realizzazione dell'opera, e quindi a prescindere da qualsiasi valutazione discrezionale dell'Amministrazione, nel secondo caso esso nasce solo se ed in quanto l'Amministrazione, nel compimento di una valutazione discrezionale, in ordine alla quale il privato è titolare di un mero interesse legittimo, abbia dichiarato che quei fondi più non servono all'opera pubblica.
2. Mentre in caso di retrocessione totale gli espropriati sono titolari di uno ius ad rem di carattere potestativo a contenuto patrimoniale, che consente loro di agire dinanzi al giudice ordinario per chiedere la pronunzia di decadenza della dichiarazione di pubblica utilità e la restituzione dei beni espropriati, nel caso di retrocessione parziale il diritto alla restituzione è subordinato alla dichiarazione del Prefetto che il fondo non serve più all'opera pubblica, ed alla manifestazione da parte degli espropriati della volontà di riacquistarne la proprietà.
3. La pubblicazione da parte dell'espropriante dell'avviso indicante che i beni che non servono più all'esecuzione dell'opera pubblica, ha carattere alternativo rispetto al decreto del Prefetto; la dichiarazione d'inservibilità non può tuttavia essere sostituita da un accertamento dell'Autorità giudiziaria, involgendo un giudizio discrezionale dell'autorità amministrativa in ordine all'esistenza o meno di un rapporto di utilità tra il relitto e l'opera compiuta, anche in ragione di una semplice accessorietà o dipendenza.
4. Ove non vi sia stata dichiarazione formale d'inservibilità, valore equipollente può essere ricercato solo in un comportamento dell'Amministrazione come ad esempio la messa in vendita dei beni, in quanto non più necessari alla realizzazione dell'opera per la quale essi furono espropriati. Poichè infatti è evidente che la reimmissione dei cespiti sul mercato è sintomatica della definitiva decisione di non utilizzare quella parte di beni per l'opera pubblica, può ritenersi equivalente alla dichiarazione di inservibilità una delibera con la quale l'ente espropriante destini a vendita o permuta i fondi per scopi - uffici pubblici, studi professionali, bar, ristoranti - diversi dalle programmate iniziative di tipo industriale e relative infrastrutture.
5. Il soggetto che sia interessato alla definizione del procedimento valutativo ai fini di ottenere la retrovendita dei beni espropriatigli, può sollecitare la dichiarazione d'inservibilità, e in mancanza ben può attivare la procedura di formazione del silenzio-inadempimento, strumentale alla rimozione della inerzia amministrativa, rimessa al giudice amministrativo, che è giudice di pari dignità e idoneo ad assicurare adeguata tutela delle posizioni giuridiche soggettive del cittadino
6. Il mancato perfezionamento del diritto soggettivo alla retrocessione, per l'assenza di una dichiarazione d'inservibilità di parte dei beni espropriati, comporta la sussistenza della giurisdizione del giudice amministrativo in materia.

Norme rilevanti
Legge 25 giugno 1865, n. 2359 (in Gazz. Uff., 8 luglio 1865, n. 158). - Espropriazioni per causa di utilità pubblica. (1)
(1) Legge abrogata dall'articolo 58 del D.P.R. 8 giugno 2001, n. 327, a decorrere dal 30 giugno 2003.
Art. 60.
Dopo l'esecuzione di un'opera di pubblica utilità, se qualche fondo a tal fine acquistato non ricevette o in tutto o in parte la preveduta destinazione, gli espropriati o gli aventi ragione da essi che abbiano la proprietà dei beni da cui fu staccato quello espropriato, hanno diritto ad ottenerne la retrocessione.
Il prezzo di tali fondi, ove non sia pattuito amichevolmente fra le parti, sarà fissato giudizialmente in seguito a perizia fatta a norma degli artt. 32 e 33.
Esso non potrà eccedere l'ammontare dell'indennità ricevuta dal proprietario per l'espropriazione del suo fondo, salvo vi si fossero dall'espropriante eseguite nuove opere che ne avessero aumentato il valore (2).(2) Comma abrogato dall'articolo 1 del R.D.L. 11 marzo 1923, n. 691.
Art. 61.
Un avviso pubblicato nel modo prescritto dall'art. 17 deve indicare i beni che, non dovendo più servire all'eseguimento dell'opera pubblica, sono in condizione di essere rivenduti.
Nei tre mesi successivi a questa pubblicazione i precedenti proprietari o gli aventi ragione da essi che intendano riacquistare la proprietà dei suddetti fondi, debbono farne espressa dichiarazione da notificarsi per atto d'usciere [ora ufficiale giudiziario] all'espropriante: nel mese successivo poi alla fissazione del prezzo debbono effettuarne il pagamento: il tutto sotto pena di decadere dalla preferenza che la legge loro accorda.
Ove l'avviso anzidetto non venga pubblicato, potranno i proprietari o gli aventi ragione da essi rivolgersi al Prefetto, perché con suo decreto dichiari che i beni più non servono all'opera pubblica.
Art. 63.
Fatta l'espropriazione, se l'opera non siasi eseguita e siano trascorsi i termini a tal uopo concessi o prorogati, gli espropriati potranno domandare che sia dall'Autorità giudiziaria competente pronunciata la decadenza dell'ottenuta dichiarazione di pubblica utilità, e sieno loro restituiti i beni espropriati, mediante il pagamento del prezzo che sarà determinato nel modo indicato dall'art. 60 della presente legge.

Altri precedenti in materia
CORTE DI CASSAZIONE, SEZ. UNITE, sentenza 13-4-2000, n. 134, in materia di retrocessione totale.
CONSIGLIO DI STATO SEZ. V, sentenza 19-2-2007, n. 833, sull’illegittimità del diniego di retrocessione aree inutilizzate ricomprese in un piano di zona ove non siano più possibili destinazioni alternative.
CGA - SEZ. GIURISDIZIONALE, sentenza 28-12-2005, n. 983, sulla natura e funzione della dichiarazione di inservibilità dell’area ex artt. 60 ss. della L. n. 2359 del 1865 prevista nel caso di retrocessione parziale e sull'obbligo della P.A. di rilasciarla.
TAR SICILIA - PALERMO SEZ. III, sentenza 7-7-2006, n. 1605, sull’illegittimità della retrocessione di un terreno disposta dalla P.A. in favore del soggetto espropriato, nel caso in cui gli atti relativi al procedimento espropriativo siano stati annullati in sede giurisdizionale.

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