giovedì 21 luglio 2011

CONSIGLIO DI STATO, Ad. Plen., 7 aprile 2011 n. 4


Il caso
La vicenda è piuttosto complessa.
La società Ferrovie del Sud Est e Servizi Automobilistici s.r.l. indiceva una gara per l’affidamento della progettazione esecutiva e dell’esecuzione dei lavori relativi a "interventi di trazione elettrica, segnalamento e armamento lungo la rete gestita dalla FSE”, per un importo complessivo di euro 136.162.402,97. Alla procedura selettiva partecipavano tre concorrenti.
All’esito della gara l’appalto era aggiudicato all’associazione temporanea di imprese (a.t.i.) di cui era mandataria la società Eredi Giuseppe Mercuri s.p.a. (di seguito: “MERCURI”).
Seconda classificata era l’a.t.i. con mandataria la SITE s.p.a. (d’ora innanzi: “SITE”), mentre terza classificata, infine, era l’a.t.i. di cui era mandataria la società G.E. Transportation System s.p.a. (d’ora innanzi: “GETS”).
SITE proponeva un primo ricorso dinanzi al TAR con cui contestava l’eccessiva brevità dei termini di gara. Successivamente, con un primo atto di motivi aggiunti, censurava l’aggiudicazione in favore della prima classificata MERCURI, deducendo motivi di esclusione di questa dalla gara e lamentando l’illegittimità dei punteggi attribuiti dalla commissione.
MERCURI si costituiva in giudizio proponendo anche ricorso incidentale, volto a confutare la legittimità dell’ammissione in gara della ricorrente SITE e, conseguentemente, la sua legittimazione e il suo interesse alla proposizione della domanda principale.
A fronte del ricorso incidentale, SITE, al dichiarato scopo di dimostrare il proprio “interesse strumentale” al ricorso, in relazione alla domanda, subordinata, di annullamento dell’intera procedura di gara, proponeva, con un secondo ricorso per motivi aggiunti, ulteriori censure, rivolte anche contro l’ammissione in gara della concorrente terza classificata GETS.
Quest’ultima resisteva mediante atto di intervento, con il quale, tra l'altro, aderiva alle censure contro l’ammissione di MERCURI che, dal canto suo ed in via nuovamente incidentale, impugnava anche l’ammissione alla gara di GETS.
Frattanto, in altro distinto processo dinanzi al TAR la stessa terza classificata GETS, proponeva un autonomo ricorso contro gli atti della procedura, con cui contestava, in via gradata:
- l’ammissione in gara sia della seconda (SITE), che della prima classificata (MERCURI);
- i punteggi assegnati alle offerte;
- la legittimità dell’intera procedura di gara seguita dalla stazione appaltante.
In questo secondo giudizio si costituivano entrambe le controinteressate SITE e MERCURI, le quali articolavano due separati ricorsi incidentali, di analogo contenuto, volti ad impugnare l’ammissione in gara della ricorrente GETS e a eccepirne la legittimazione e l’interesse alla proposizione del ricorso principale.
Il TAR manteneva separati i due giudizi, ancorché riferiti alla medesima procedura di gara, e li definiva con due distinte pronunce di sostanziale reiezione dei ricorsi principali. L’aggiudicazione disposta in favore della prima classificata MERCURI conservava quindi intatta la propria efficacia. Le due sentenze hanno formano oggetto di altrettanti appelli principali, nonché di impugnazioni incidentali incrociate, ad opera di tutti e tre i concorrenti partecipanti alla gara in contestazione.
Riuniti gli appelli la Sesta Sezione del Consiglio di Stato ha deferito l'esame dei ricorsi ex art. 99 del Codice del Processo Amministrativo all'Adunanza Plenaria, sottoponendole numerosi quesiti di diritto.


Norme rilevanti


Decreto Legislativo 2 luglio 2010 , n. 104 (Codice del Processo Amministrativo)
Art.42
Ricorso incidentale e domanda riconvenzionale
1. Le parti resistenti e i controinteressati possono proporre domande il cui interesse sorge in dipendenza della domanda proposta in via principale, a mezzo di ricorso incidentale. Il ricorso si propone nel termine di sessanta giorni decorrente dalla ricevuta notificazione del ricorso principale. Per i soggetti intervenuti il termine decorre dall'effettiva conoscenza della proposizione del ricorso principale.
2. Il ricorso incidentale, notificato ai sensi dell'articolo 41 alle controparti personalmente o, se costituite, ai sensi dell'articolo 170 del codice di procedura civile, ha i contenuti di cui all'articolo 40 ed e' depositato nei termini e secondo le modalita' previste dall'articolo 45.
3. Le altre parti possono presentare memorie e produrre documenti nei termini e secondo le modalita' previsti dall'articolo 46.
4. La cognizione del ricorso incidentale e' attribuita al giudice competente per quello principale, salvo che la domanda introdotta con il ricorso incidentale sia devoluta alla competenza del Tribunale amministrativo regionale del Lazio, sede di Roma, ovvero alla competenza funzionale di un tribunale amministrativo regionale, ai sensi dell'articolo 14; in tal caso la competenza a conoscere dell'intero giudizio spetta al Tribunale amministrativo regionale del Lazio, sede di Roma, ovvero al tribunale amministrativo regionale avente competenza funzionale ai sensi dell'articolo 14.
5. Nelle controversie in cui si faccia questione di diritti soggettivi le domande riconvenzionali dipendenti da titoli gia' dedotti in giudizio sono proposte nei termini e con le modalita' di cui al presente articolo.


Art.99
Deferimento all'adunanza plenaria
1. La sezione cui e' assegnato il ricorso, se rileva che il punto di diritto sottoposto al suo esame ha dato luogo o possa dare luogo a contrasti giurisprudenziali, con ordinanza emanata su richiesta delle parti o d'ufficio puo' rimettere il ricorso all'esame dell'adunanza plenaria.
2. Prima della decisione, il presidente del Consiglio di Stato, su richiesta delle parti o d'ufficio, puo' deferire all'adunanza plenaria qualunque ricorso, per risolvere questioni di massima di particolare importanza ovvero per dirimere contrasti giurisprudenziali.
3. Se la sezione cui e' assegnato il ricorso ritiene di non condividere un principio di diritto enunciato dall'adunanza plenaria, rimette a quest'ultima, con ordinanza motivata, la decisione del ricorso.
4. L'adunanza plenaria decide l'intera controversia, salvo che ritenga di enunciare il principio di diritto e di restituire per il resto il giudizio alla sezione remittente.
5. Se ritiene che la questione e' di particolare importanza, l'adunanza plenaria puo' comunque enunciare il principio di diritto nell'interesse della legge anche quando dichiara il ricorso irricevibile, inammissibile o improcedibile, ovvero l'estinzione del giudizio. In tali casi, la pronuncia dell'adunanza plenaria non ha effetto sulla sentenza impugnata.


Massime estratte dalla decisione
1. Il ricorso incidentale, diretto a contestare la legittimazione del ricorrente principale, mediante la censura della sua ammissione alla procedura di gara, deve essere sempre esaminato prioritariamente, anche nel caso in cui il ricorrente principale alleghi l'interesse strumentale alla rinnovazione dell'intera procedura. Detta priorità logica sussiste indipendentemente dal numero dei partecipanti alla procedura selettiva, dal tipo di censura prospettata dal ricorrente incidentale e dalle richieste formulate dall'amministrazione resistente. L'esame prioritario del ricorso principale è ammesso, per ragioni di economia processuale, qualora sia evidente la sua infondatezza, inammissibilità, irricevibilità o improcedibilità.
2. Resta fermo il principio secondo il quale la legittimazione al ricorso, nelle controversie riguardanti l'affidamento dei contratti pubblici, spetti esclusivamente ai soggetti partecipanti alla gara, poiché solo tale qualità si connette all'attribuzione di una posizione sostanziale differenziata e meritevole di tutela. In questa veste, il ricorrente che ha partecipato legittimamente alla gara può far valere tanto un interesse "finale" al conseguimento dell'appalto affidato al controinteressato, quanto, in via alternativa (e normalmente subordinata) l'interesse "strumentale" alla caducazione dell'intera gara e alla sua riedizione (sempre che sussistano, in concreto, ragionevoli possibilità di ottenere l'utilità richiesta).
3. La regola secondo cui la legittimazione al ricorso deve essere correlata ad una situazione differenziata, in modo certo, per effetto della partecipazione alla stessa procedura oggetto di contestazione può subire alcune notevoli deroghe solo nel caso del soggetto che contrasta, "in radice", la scelta della stazione appaltante di indire la procedura; dell'operatore economico "di settore", che intende contestare un "affidamento diretto" o senza gara; dell'operatore che manifesta l'intenzione di impugnare una clausola del bando "escludente", in relazione alla illegittima previsione di determinati requisiti di qualificazione.
4. La mera partecipazione (di fatto) alla gara non è sufficiente per attribuire la legittimazione al ricorso. La situazione legittimante costituita dall'intervento nel procedimento selettivo, infatti, deriva da una qualificazione di carattere normativo, che postula il positivo esito del sindacato sulla ritualità dell'ammissione del soggetto ricorrente alla procedura selettiva. Pertanto, la definitiva esclusione o l'accertamento della illegittimità della partecipazione alla gara impedisce di assegnare al concorrente la titolarità di una situazione sostanziale che lo abiliti ad impugnare gli esiti della procedura selettiva. Tale esito rimane fermo in tutti i casi in cui l'illegittimità della partecipazione alla gara è definitivamente accertata, sia per inoppugnabilità dell'atto di esclusione, sia per annullamento dell'atto di ammissione.
5. La legittimazione al ricorso del soggetto che impugna la decisione di indire una gara è ammessa nei soli casi in cui questi dimostri, comunque, la sussistenza di un'adeguata posizione differenziata, costituita dalla titolarità di un rapporto incompatibile con il nuovo affidamento contestato.


Precedenti rilevanti
Sulla questione del ricorso incidentale vedi su questo blog l'articolo “Ricorso principale e ricorso incidentale: ordine di esame” ed i precedenti ivi esaminati alla pagina http://diritto-giurisprudenza-amministrativo.blogspot.com/search/label/ricorso%20incidentale

giovedì 3 marzo 2011

Il caso
Con sentenza n. 623/2007 il Tar per la Puglia, sezione di Lecce, ha respinto il ricorso proposto dal un privato che aveva chiesto la condanna del comune di Leporano al risarcimento dei danni derivanti dall’illegittimo ritardo nel rilascio del permesso di costruire in variante, richiesto dal ricorrente in data 27.12.2001. In particolare l'amministrazione, sebbene ai primi di maggio 2002 l'istruttoria fosse ormai completa, ritardò l'emanazione del titolo edilizio fino al maggio 2004 e solo dopo che il richiedente propose ricorso avverso il silenzio ai sensi dell'art. 21-bis della Legge Tar allora vigente.
A fronte della reiezione della domanda di risarcimento il cittadino ha impugnato la relativa decisione al Consiglio di Stato, il quale ha ritenuto necessario disporre due consulenze tecniche d'ufficio ai fini di accertare i pregiudizi economici e psicologici patiti.

Norme rilevanti

Legge 7 agosto 1990, n. 241 (Nuove norme sul procedimento amministrativo)

Art. 2 (Conclusione del procedimento)
(articolo così sostituito dall'articolo 7, comma 1, legge n. 69 del 2009)
1. Ove il procedimento consegua obbligatoriamente ad un’istanza, ovvero debba essere iniziato d’ufficio, le pubbliche amministrazioni hanno il dovere di concluderlo mediante l’adozione di un provvedimento espresso.
2. Nei casi in cui disposizioni di legge ovvero i provvedimenti di cui ai commi 3, 4 e 5 non prevedono un termine diverso, i procedimenti amministrativi di competenza delle amministrazioni statali e degli enti pubblici nazionali devono concludersi entro il termine di trenta giorni.
3. Con uno o più decreti del Presidente del Consiglio dei ministri, adottati ai sensi dell’articolo 17, comma 3, della legge 23 agosto 1988, n. 400, su proposta dei Ministri competenti e di concerto con i Ministri per la pubblica amministrazione e l’innovazione e per la semplificazione normativa, sono individuati i termini non superiori a novanta giorni entro i quali devono concludersi i procedimenti di competenza delle amministrazioni statali. Gli enti pubblici nazionali stabiliscono, secondo i propri ordinamenti, i termini non superiori a novanta giorni entro i quali devono concludersi i procedimenti di propria competenza.
4. Nei casi in cui, tenendo conto della sostenibilità dei tempi sotto il profilo dell’organizzazione amministrativa, della natura degli interessi pubblici tutelati e della particolare complessità del procedimento, sono indispensabili termini superiori a novanta giorni per la conclusione dei procedimenti di competenza delle amministrazioni statali e degli enti pubblici nazionali, i decreti di cui al comma 3 sono adottati su proposta anche dei Ministri per la pubblica amministrazione e l’innovazione e per la semplificazione normativa e previa deliberazione del Consiglio dei ministri. I termini ivi previsti non possono comunque superare i centottanta giorni, con la sola esclusione dei procedimenti di acquisto della cittadinanza italiana e di quelli riguardanti l’immigrazione.
5. Fatto salvo quanto previsto da specifiche disposizioni normative, le autorità di garanzia e di vigilanza disciplinano, in conformità ai propri ordinamenti, i termini di conclusione dei procedimenti di rispettiva competenza.
6. I termini per la conclusione del procedimento decorrono dall’inizio del procedimento d’ufficio o dal ricevimento della domanda, se il procedimento è ad iniziativa di parte.
7. Fatto salvo quanto previsto dall’articolo 17, i termini di cui ai commi 2, 3, 4 e 5 del presente articolo possono essere sospesi, per una sola volta e per un periodo non superiore a trenta giorni, per l’acquisizione di informazioni o di certificazioni relative a fatti, stati o qualità non attestati in documenti già in possesso dell’amministrazione stessa o non direttamente acquisibili presso altre pubbliche amministrazioni. Si applicano le disposizioni dell’articolo 14, comma 2.
8. La tutela in materia di silenzio dell'amministrazione è disciplinata dal codice del processo amministrativo.
(comma così sostituito dall'Allegato 4, articolo 3, comma 2, decreto legislativo n. 104 del 2010)
9. La mancata emanazione del provvedimento nei termini costituisce elemento di valutazione della responsabilità dirigenziale.
Art. 2-bis. (Conseguenze per il ritardo dell’amministrazione nella conclusione del procedimento)
(articolo introdotto dall'articolo 7, comma 1, legge n. 69 del 2009)
1. Le pubbliche amministrazioni e i soggetti di cui all’articolo 1, comma 1-ter, sono tenuti al risarcimento del danno ingiusto cagionato in conseguenza dell’inosservanza dolosa o colposa del termine di conclusione del procedimento.
2. [Le controversie relative all'applicazione del presente articolo sono attribuite alla giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo. Il diritto al risarcimento del danno si prescrive in cinque anni.] (comma abrogato dall'Allegato 4, articolo 4, del decreto legislativo n. 104 del 2010)
Art. 29 (Ambito di applicazione della legge)
(articolo così sostituito dall'articolo 19 della legge n. 15 del 2005)
Omissis...
2-bis. Attengono ai livelli essenziali delle prestazioni di cui all’articolo 117, secondo comma, lettera m), della Costituzione le disposizioni della presente legge concernenti gli obblighi per la pubblica amministrazione di garantire la partecipazione dell’interessato al procedimento, di individuarne un responsabile, di concluderlo entro il termine prefissato e di assicurare l’accesso alla documentazione amministrativa, nonché quelle relative alla durata massima dei procedimenti.

Cfr. ora anche
Decreto Legislativo 2 luglio 2010 , n. 104 (Codice del Processo Amministrativo)
Art. 30 (Azione di condanna )
1. L'azione di condanna puo' essere proposta contestualmente ad altra azione o, nei soli casi di giurisdizione esclusiva e nei casi di cui al presente articolo, anche in via autonoma.
2. Puo' essere chiesta la condanna al risarcimento del danno ingiusto derivante dall'illegittimo esercizio dell'attivita' amministrativa o dal mancato esercizio di quella obbligatoria. Nei casi di giurisdizione esclusiva puo' altresi' essere chiesto il risarcimento del danno da lesione di diritti soggettivi. Sussistendo i presupposti previsti dall'articolo 2058 del codice civile, puo' essere chiesto il risarcimento del danno in forma specifica.
3. La domanda di risarcimento per lesione di interessi legittimi e' proposta entro il termine di decadenza di centoventi giorni decorrente dal giorno in cui il fatto si e' verificato ovvero dalla conoscenza del provvedimento se il danno deriva direttamente da questo. Nel determinare il risarcimento il giudice valuta tutte le circostanze di fatto e il comportamento complessivo delle parti e, comunque, esclude il risarcimento dei danni che si sarebbero potuti evitare usando l'ordinaria diligenza, anche attraverso l'esperimento degli strumenti di tutela previsti.
4. Per il risarcimento dell'eventuale danno che il ricorrente comprovi di aver subito in conseguenza dell'inosservanza dolosa o colposa del termine di conclusione del procedimento, il termine di cui al comma 3 non decorre fintanto che perdura l'inadempimento. Il termine di cui al comma 3 inizia comunque a decorrere dopo un anno dalla scadenza del termine per provvedere.
5. Nel caso in cui sia stata proposta azione di annullamento la domanda risarcitoria puo' essere formulata nel corso del giudizio o, comunque, sino a centoventi giorni dal passaggio in giudicato della relativa sentenza.
6. Di ogni domanda di condanna al risarcimento di danni per lesioni di interessi legittimi o, nelle materie di giurisdizione esclusiva, di diritti soggettivi conosce esclusivamente il giudice amministrativo.

Massime estratte dalla decisione
1. Va riconosciuto il risarcimento dei danni derivanti dal colpevole ritardo nell'emanazione del provvedimento amministrativo favorevole. Nella specie il permesso di costruire in variante è stato rilasciato dopo oltre due anni dalla domanda e tale danno va ritenuto sussistente a decorrere dalla data in cui l’istruttoria sulla relativa domanda era completa, non potendosi giustificare il ritardo con le richieste istruttorie inviate dal Comune alla Soprintendenza dopo che quest’ultima aveva espresso il proprio parere favorevole (non sindacabile dal Comune) e tenuto conto peraltro che il rilascio del permesso di costruire in variante è intervenuto solo dopo la presentazione da parte del richiedente di un ricorso avverso il silenzio ai sensi dell’allora vigente art. 21-bis della L. Tar (ciò che conferma come nessun elemento ostativo sussisteva per il rilascio del provvedimento, avvenuto solo dopo la presentazione del ricorso e con due anni di ritardo).
2. Nei casi in cui il ritardo procedimentale ha determinato un ritardo nell'attribuzione del c.d. “bene della vita” la giurisprudenza è pacifica nell’ammettere il risarcimento del danno da ritardo (a condizione ovviamente che tale danno sussista e venga provato) e l’intervenuto art. 2-bis, comma 1, della legge n. 241/90, introdotto dalla legge n. 69/2009, conferma e rafforza la tutela risarcitoria del privato nei confronti dei ritardi delle p.a., stabilendo che le pubbliche amministrazioni e i soggetti equiparati sono tenuti al risarcimento del danno ingiusto cagionato in conseguenza dell’inosservanza dolosa o colposa del termine di conclusione del procedimento.
3. La norma dell'art. 2-bis, comma 1, della legge n. 241/90, introdotto dalla legge n. 69/2009 presuppone che anche il tempo è un bene della vita per il cittadino e la giurisprudenza ha riconosciuto che il ritardo nella conclusione di un qualunque procedimento, è sempre un costo, dal momento che il fattore tempo costituisce una essenziale variabile nella predisposizione e nell’attuazione di piani finanziari relativi a qualsiasi intervento, condizionandone la relativa convenienza economica (Cons. Giust. Amm. reg. Sic., 4 novembre 2010 n. 1368, che, traendo argomenti dal citato art. 2-bis, ha aggiunto che il danno sussisterebbe anche se il procedimento autorizzatorio non si fosse ancora concluso e finanche se l’esito fosse stato in ipotesi negativo).
4. Per ogni ipotesi di responsabilità della p.a. per i danni causati per l’illegittimo esercizio (o, come nel caso di specie, mancato esercizio) dell’attività amministrativa, spetta al ricorrente fornire in modo rigoroso la prova dell'esistenza del danno, non potendosi invocare il c.d. principio acquisitivo perché tale principio attiene allo svolgimento dell'istruttoria e non all'allegazione dei fatti; se anche può ammettersi il ricorso alle presunzioni semplici ex art. 2729 c.c. per fornire la prova del danno subito e della sua entità, è comunque ineludibile l'obbligo di allegare circostanze di fatto precise e quando il soggetto onerato della allegazione e della prova dei fatti non vi adempie non può darsi ingresso alla valutazione equitativa del danno ex art. 1226 c.c., perché tale norma presuppone l'impossibilità di provare l'ammontare preciso del pregiudizio subito, nè può essere invocata una consulenza tecnica d’ufficio, diretta a supplire al mancato assolvimento dell’onere probatorio da parte del privato
5. L'onere probatorio, come ha precisato la giurisprudenza del consiglio di Stato (Cons. Stato, V, 13 giugno 2008 n. 2967 e VI, 12 marzo 2004, n. 1261), può ritenersi assolto allorché il ricorrente indichi, a fronte di un danno certo nella sua verificazione, taluni criteri di quantificazione dello stesso, salvo il potere del giudice di vagliarne la condivisibilità attraverso l'apporto tecnico del consulente o, comunque, quando il ricorrente fornisca un principio di prova della sussistenza e quantificazione del danno (nel caso di specie l'onere probatorio era stato almeno in parte assolto avendo il ricorrente depositato in primo grado una serie di elementi probatori diretti a dimostrare la sussistenza del danno e il rapporto di causalità come relazione sul valore complessivo dell’immobile, bilanci di esercizio attestanti le perdite subite e perizia di parte circa il danno biologico subito a causa del protrarsi del ritardo dell’azione amministrativa).
6. In sede di determinazione del danno derivante dal ritardato rilascio di un permesso di costruire può farsi riferimento: a) agli interessi legali sulle somme che il ricorrente avrebbe ricavato dalla compravendita, se effettuata tempestivamente; b) agli interessi e spese per un finanziamento contratto presso un istituto bancario e che non sarebbe stato contratto o sarebbe stato subito estinto in caso di insussistenza del ritardo; c) all’importo dell’ICI, che il ricorrente ha continuato a pagare; d) alle spese sostenute nella causa promossa da un promittente compratore proprio per il ritardo nella stipula del contratto definitivo e per una riduzione del prezzo.
7. In sede di determinazione del risarcimento del danno da ritardo nell'emanazione del provvedimento favorevole può essere liquidato anche il danno biologico, il quale costituisce quell’aspetto del danno non patrimoniale che afferisce all’integrità fisica della persona, qualora sussista un nesso di causalità tra la patologia riscontrata ed il ritardo, benché fondato su valutazioni in parte probabilistiche. La quantificazione di tale danno va effettuata in via equitativa, tenendo anche conto della situazione psico-fisica del soggetto, della sua età e dei criteri di cui all’art. 139 del d.lgs. n. 209/2005.
Precedenti rilevanti
Sul giudice competente a decidere una azione di risarcimento del danno promossa per il colpevole ritardo del Comune nel rilascio di una concessione edilizia, cfr. Corte di Cassazione, Sezioni Unite, 31 marzo 2005)
In merito al costo del ritardo nella conclusione del procedimento cfr. Cons. Giust. Amm. reg. Sic., 4 novembre 2010 n. 1368, che, traendo argomenti dal citato art. 2-bis, ha aggiunto che il danno sussisterebbe anche se il procedimento autorizzatorio non si fosse ancora concluso e finanche se l’esito fosse stato in ipotesi negativo.
In merito all'onere probatorio cfr. Cons. Stato,. V, 13 giugno 2008 n. 2967 e VI, 12 marzo 2004, n. 1261, secondo cui la consulenza tecnica, pur disposta d'ufficio, non è certo destinata ad esonerare la parte dalla prova dei fatti dalla stessa dedotti e posti a base delle proprie richieste, fatti che devono essere dimostrati dalla medesima parte alla stregua dei criteri di ripartizione dell'onere della prova posti dall'art. 2697 c.c., ma ha la funzione di fornire all'attività valutativa del giudice l'apporto di cognizioni tecniche non possedute.
Sulla risarcibilità del danno non patrimoniale oltre i casi espressamente previsti dalla legge Cass. Sez. Unite, n. 26972, 26973, 26974 e 26975 dell’11 novembre 2008.

martedì 16 novembre 2010

La questione sottoposta alla Corte di Giustizia
La domanda di pronuncia pregiudiziale proposta alla Corte verte sull’interpretazione degli artt. 1, n. 1, e 2, nn. 1, lett. c), e 7, della direttiva 89/665/CEE relativa all’applicazione delle procedure di ricorso in materia di aggiudicazione degli appalti pubblici di forniture e di lavori, come modificata dalla direttiva del Consiglio 18 giugno 1992, 92/50/CEE.

Il giudice del rinvio austriaco ha sottoposto alla Corte la seguente questione: se la direttiva in oggetto osti ad una disciplina nazionale che subordini il diritto al risarcimento del danno, per violazioni della normativa comunitaria sugli appalti pubblici commesse dalla stazione appaltante, all’esistenza di un comportamento colpevole.


Principio di diritto espresso dalla Corte di Giustizia
La direttiva del Consiglio 21 dicembre 1989, 89/665/CEE, che coordina le disposizioni legislative, regolamentari e amministrative relative all’applicazione delle procedure di ricorso in materia di aggiudicazione degli appalti pubblici di forniture e di lavori, come modificata dalla direttiva del Consiglio 18 giugno 1992, 92/50/CEE, deve essere interpretata nel senso che essa osta ad una normativa nazionale, la quale subordini il diritto ad ottenere un risarcimento a motivo di una violazione della disciplina sugli appalti pubblici da parte di un’amministrazione aggiudicatrice al carattere colpevole di tale violazione, anche nel caso in cui l’applicazione della normativa in questione sia incentrata su una presunzione di colpevolezza in capo all’amministrazione suddetta, nonché sull’impossibilità per quest’ultima di far valere la mancanza di proprie capacità individuali e, dunque, un difetto di imputabilità soggettiva della violazione lamentata.

Giurisprudenza rilevante
Il TAR LOMBARDIA - BRESCIA, SEZ. II - sentenza 4 novembre 2010 n. 4552, in applicazione del principio di diritto espresso dalla Corte di Giustizia, si è così recentemente espresso: Alla luce della giurisprudenza comunitaria ed in particolare della recente sentenza della Corte di Giustizia CE, sez. III, 30 settembre 2010 (causa C-314/2009), deve ritenersi che il requisito della colpa della P.A., necessario per il risarcimento del danno derivante da lesione di interessi legittimi, sia destinato a perdere consistenza, non potendosi in particolare subordinare la concessione di un risarcimento al riconoscimento del carattere colpevole della violazione della normativa sugli appalti pubblici commessa dall’Amministrazione aggiudicatrice.
Fatto
Il Tribunale amministrativo regionale per la Campania, con tre ordinanze di identico tenore, pronunciate in altrettanti giudizi, ha sollevato, in riferimento agli articoli 3, 24, 42, 76, 97, 113 e 117, primo comma, della Costituzione, questione di legittimità costituzionale dell’articolo 43 del decreto del Presidente della Repubblica 8 giugno 2001, n. 327 (Testo unico delle disposizioni legislative e regolamentari in materia di espropriazione per pubblica utilità).
Nei casi relativi alle prime due ordinanze, gli atti espropriativi erano stati annullati dal giudice amministrativo e, in seguito alla richiesta di restituzione, la pubblica amministrazione aveva applicato il secondo comma dell'art. 43 del T.U. degli espropri. Nel caso della terza ordinanza, invece, il giudice ordinario aveva ritenuto la natura usurpativa dell'espropriazione e ordinato la restituzione dell'immobile. Di nuovo, la pubblica amministrazione aveva applicato l'istituto dell'acquisizione sanante di cui al citato secondo comma dell'art. 43 T.U. degli espropri.

Contenuto
La Corte Costituzionale dichiara illegittimità costituzionale dell'articolo 43 del decreto del Presidente della Repubblica 8 giugno 2001, n. 327, per violazione dell'art. 76 della Costituzione. La norma censurata è contenuta nel testo unico, in materia di espropriazioni, redatto in attuazione della legge n. 50 del 1999, che aveva previsto un generale strumento permanente di semplificazione e di delegificazione. La legge-delega aveva conferito, sul punto, al legislatore delegato il potere di provvedere ad un coordinamento formale relativo a disposizioni vigenti; l'istituto previsto e disciplinato dalla norma impugnata, viceversa, è connotato da numerosi aspetti di novità. Il citato art. 43, infatti, ha anzitutto introdotto la possibilità per l'amministrazione e per chi utilizza il bene di chiedere al giudice amministrativo, in ogni caso e senza limiti di tempo, la condanna al risarcimento in luogo della restituzione. Peraltro, esso estende tale disciplina anche alle servitù, rispetto alle quali la giurisprudenza aveva escluso l'applicabilità della c.d. occupazione appropriativa, trattandosi di fattispecie non applicabile all'acquisto di un diritto reale in re aliena, in quanto difetta la non emendabile trasformazione del suolo in una componente essenziale dell'opera pubblica. Infine, la norma censurata differisce il prodursi dell'effetto traslativo al momento dell'atto di acquisizione.

Riferimenti normativi
DECRETO DEL PRESIDENTE DELLA REPUBBLICA 8 giugno 2001, n. 327 (in Suppl. ordinario n. 211 alla Gazz. Uff., 16 agosto, n. 189). - Testo unico delle disposizioni legislative e regolamentari in materia di espropriazione per pubblica utilità. (Testo A)(T.U. ESPROPRIAZIONE PER PUBBLICA UTILITA'). (1)
(1) Il termine di entrata in vigore del presente decreto è, da ultimo, prorogato al 30 giugno 2003, dall'art. 3, d.l. 20 giugno 2002, n. 122, conv., con modificazioni, in l. 1° agosto 2002, n. 185.
ARTICOLO 43
(L) Utilizzazione senza titolo di un bene per scopi di interesse pubblico
1. Valutati gli interessi in conflitto, l'autorità che utilizza un bene immobile per scopi di interesse pubblico, modificato in assenza del valido ed efficace provvedimento di esproprio o dichiarativo della pubblica utilità, può disporre che esso vada acquisito al suo patrimonio indisponibile e che al proprietario vadano risarciti i danni. (L)
2. L'atto di acquisizione:
a) può essere emanato anche quando sia stato annullato l'atto da cui sia sorto il vincolo preordinato all'esproprio, l'atto che abbia dichiarato la pubblica utilità di un'opera o il decreto di esproprio;
b) dà atto delle circostanze che hanno condotto alla indebita utilizzazione dell'area, indicando, ove risulti, la data dalla quale essa si è verificata;
c) determina la misura del risarcimento del danno e ne dispone il pagamento, entro il termine di trenta giorni, senza pregiudizio per l'eventuale azione già proposta;
d) è notificato al proprietario nelle forme degli atti processuali civili;
e) comporta il passaggio del diritto di proprietà;
f) è trascritto senza indugio presso l'ufficio dei registri immobiliari;
g) è trasmesso all'ufficio istituito ai sensi dell'articolo 14, comma 2 (1). (L)
3. Qualora sia impugnato uno dei provvedimenti indicati nei commi 1 e 2 ovvero sia esercitata una azione volta alla restituzione di un bene utilizzato per scopi di interesse pubblico, l'amministrazione che ne ha interesse o chi utilizza il bene può chiedere che il giudice amministrativo, nel caso di fondatezza del ricorso o della domanda, disponga la condanna al risarcimento del danno, con esclusione della restituzione del bene senza limiti di tempo. (L)
4. Qualora il giudice amministrativo abbia escluso la restituzione del bene senza limiti di tempo ed abbia disposto la condanna al risarcimento del danno, l'autorità che ha disposto l'occupazione dell'area emana l'atto di acquisizione, dando atto dell'avvenuto risarcimento del danno. Il decreto è trascritto nei registri immobiliari, a cura e spese della medesima autorità. (L)
5. Le disposizioni di cui ai precedenti commi si applicano, in quanto compatibili, anche quando un terreno sia stato utilizzato per finalità di edilizia residenziale pubblica, agevolata e convenzionata nonché quando sia imposta una servitù di diritto privato o di diritto pubblico ed il bene continui ad essere utilizzato dal proprietario o dal titolare di un altro diritto reale. (L)
6. Salvi i casi in cui la legge disponga altrimenti, nei casi previsti nei precedenti commi il risarcimento del danno è determinato:
a) nella misura corrispondente al valore del bene utilizzato per scopi di pubblica utilità e, se l'occupazione riguarda un terreno edificabile, sulla base delle disposizioni dell'articolo 37, commi 3, 4, 5, 6 e 7;
b) col computo degli interessi moratori, a decorrere dal giorno in cui il terreno sia stato occupato senza titolo. (L)
6-bis. Ai sensi dell' articolo 3 della legge 1 agosto 2002, n. 166 , l'autorità espropriante può procedere, ai sensi dei commi precedenti, disponendo, con oneri di esproprio a carico dei soggetti beneficiari, l'eventuale acquisizione del diritto di servitù al patrimonio di soggetti, privati o pubblici, titolari di concessioni, autorizzazioni o licenze o che svolgono, anche in base alla legge, servizi di interesse pubblico nei settori dei trasporti, telecomunicazioni, acqua, energia. (L) (2) (3)
(1) [Così rettificato in Gazz. Uff., 14 settembre 2001, n. 214.]
(2) Comma aggiunto dall'articolo 1 del D.LGS. del 27 dicembre 2002, n. 302 .
(3) La Corte Costituzionale, con sentenza 8 ottobre 2010, n. 293 (in Gazz. Uff., 13 ottobre, n. 41), ha dichiarato l'illegittimita' costituzionale del presente articolo.

martedì 22 giugno 2010


Il Caso
Un’USL propose opposizione avverso il decreto con il quale le era stato ingiunto il pagamento in favore di una clinica di una somma di danaro costituente il corrispettivo di prestazioni sanitarie eseguite in favore della USL stessa.
Il Tribunale accolse l'opposizione e revocò il decreto ingiuntivo. La sentenza fu impugnata dalla sola clinica e la Corte d'appello, d'ufficio, dichiarò il proprio difetto di giurisdizione.

Massime estratte dalla decisione
1. L’art. 37 c.p.c. deve essere così interpretato: a) il difetto di giurisdizione può essere eccepito dalle parti anche dopo la scadenza del termine previsto dall'art. 38 cod. proc. civ. (non oltre la prima udienza di trattazione), fino a quando la causa non sia stata decisa nel merito in primo grado; b) la sentenza di primo grado di merito può sempre essere impugnata per difetto di giurisdizione; c) le sentenze di appello sono impugnabili per difetto di giurisdizione soltanto se sul punto non si sia formato il giudicato esplicito o implicito, operando la relativa preclusione anche per il giudice di legittimità; d) il giudice può rilevare anche d'ufficio il difetto di giurisdizione fino a quando sul punto non si sia formato il giudicato esplicito o implicito.
2. il giudicato implicito sulla giurisdizione può formarsi tutte le volte che la causa sia stata decisa nel merito, con esclusione per le sole decisioni che non contengano statuizioni che implicano l'affermazione della giurisdizione, come nel caso in cui l'unico tema dibattuto sia stato quello relativo all'ammissibilità della domanda o quando dalla motivazione della sentenza risulti che l'evidenza di una soluzione abbia assorbito ogni altra valutazione (ad es., per manifesta infondatezza della pretesa) ed abbia indotto il giudice a decidere il merito per saltum, non rispettando la progressione logica stabilita dal legislatore per la trattazione delle questioni di rito rispetto a quelle di merito.

Norme rilevanti
Codice di procedura civile
Art. 37 (Difetto di giurisdizione) Il difetto di giurisdizione del giudice ordinario nei confronti della pubblica amministrazione o dei giudici speciali e' rilevato, anche d'ufficio, in qualunque stato e grado del processo. Il difetto di giurisdizione del giudice italiano nei confronti dello straniero e' rilevato dal giudice d'ufficio in qualunque stato e grado del processo relativamente alle cause che hanno per oggetto beni immobili situati all'estero; in ogni altro caso e' rilevato egualmente d'ufficio dal giudice se il convenuto e' contumace e puo' essere rilevato soltanto dal convenuto costituito che non abbia accettato espressamente o tacitamente la giurisdizione italiana (1). (1) Comma abrogato dall'art. 73, L. 31 maggio 1995, n. 218.
Art. 38 (Incompetenza) L'incompetenza per materia, quella per valore e quella per territorio nei casi previsti dall'articolo 28 sono rilevate, anche d'ufficio, non oltre la prima udienza di trattazione. L'incompetenza per territorio, fuori dei casi previsti dall'articolo 28, e' eccepita a pena di decadenza nella comparsa di risposta. L'eccezione si ha per non proposta se non contiene l'indicazione del giudice che la parte ritiene competente. Quando le parti costituite aderiscono a tale indicazione, la competenza del giudice rimane ferma se la causa e' riassunta entro tre mesi dalla cancellazione dal ruolo. Le questioni di cui ai commi precedenti sono decise, ai soli fini della competenza, in base a quello che risulta dagli atti e, quando sia reso necessario dall'eccezione del convenuto o dal rilievo del giudice, assunte sommarie informazioni. N.B.: Articolo cosi' sostituito dall'art. 4, L. 26 novembre 1990, n. 353.


L’art. 9 dello schema di decreto legislativo n. 212, recante riordino del processo amministrativo (Parere ai sensi dell'articolo 44 della legge 18 giugno 2009, n. 69), trasmesso alla Presidenza della Camera dei deputati il 30 aprile 2010, in merito al difetto di giurisdizione, recependo l’indirizzo giurisprudenziale sopra riportato, dispone:
“Il difetto di giurisdizione è rilevato in primo grado anche d’ufficio. Nei giudizi di impugnazione è rilevato se dedotto con specifico motivo avverso il capo della pronuncia impugnata che, in modo implicito o esplicito, ha statuito sulla giurisdizione”.



Giurisprudenza rilevante
L’interpretazione dell’art. 37 c.p.c., secondo la massima sopra riportata è conforme ad un indirizzo consolidato a partire dalla seguente decisione:
L'interpretazione dell'art. 37 c.p.c., secondo cui il difetto di giurisdizione "è rilevato, anche d'ufficio, in qualunque stato e grado del processo", deve tenere conto dei principi di economia processuale e di ragionevole durata del processo ("asse portante della nuova lettura della norma"), della progressiva forte assimilazione delle questioni di giurisdizione a quelle di competenza e dell'affievolirsi dell'idea di giurisdizione intesa come espressione della sovranità statale, essendo essa un servizio reso alla collettività con effettività e tempestività, per la realizzazione del diritto della parte ad avere una valida decisione nel merito in tempi ragionevoli. All'esito della nuova interpretazione della predetta disposizione, volta a delinearne l'ambito applicativo in senso restrittivo e residuale, ne consegue che: 1) il difetto di giurisdizione può essere eccepito dalle parti anche dopo la scadenza del termine previsto dall'art. 38 c.p.c. (non oltre la prima udienza di trattazione), fino a quando la causa non sia stata decisa nel merito in primo grado; 2) la sentenza di primo grado di merito può sempre essere impugnata per difetto di giurisdizione; 3) le sentenze di appello sono impugnabili per difetto di giurisdizione soltanto se sul punto non si sia formato il giudicato esplicito o implicito, operando la relativa preclusione anche per il giudice di legittimità; 4) il giudice può rilevare anche d'ufficio il difetto di giurisdizione fino a quando sul punto non si sia formato il giudicato esplicito o implicito. In particolare, il giudicato implicito sulla giurisdizione può formarsi tutte le volte che la causa sia stata decisa nel merito, con esclusione per le sole decisioni che non contengano statuizioni che implicano l'affermazione della giurisdizione, come nel caso in cui l'unico tema dibattuto sia stato quello relativo all'ammissibilità della domanda o quando dalla motivazione della sentenza risulti che l'evidenza di una soluzione abbia assorbito ogni altra valutazione (ad es., per manifesta infondatezza della pretesa) ed abbia indotto il giudice a decidere il merito "per saltum", non rispettando la progressione logica stabilita dal legislatore per la trattazione delle questioni di rito rispetto a quelle di merito. (Nella specie, le Sezioni Unite hanno giudicato inammissibile l'eccezione di difetto di giurisdizione sollevata per la prima volta in sede di legittimità dalla parte che, soccombente nel merito in primo grado, aveva appellato la sentenza del giudice tributario senza formulare alcuna eccezione sulla giurisdizione, così ponendo in essere un comportamento incompatibile con la volontà di eccepire il difetto di giurisdizione e prestando acquiescenza al capo implicito sulla giurisdizione della sentenza di primo grado, ai sensi dell'art. 329, comma 2, c.p.c.). (Cassazione civile , sez. un., 09 ottobre 2008, n. 24883).

Sul giudicato implicito, si richiamano le seguenti decisioni: Consiglio di Stato, IV, 28 settembre 2009, n. 5840, Cassazione, SS.UU., 1° luglio 2009, n. 15387, Cassazione, SS.UU., 24 luglio 2009, n. 17349.
Si segnala, infine, la seguente decisione che esclude il formarsi del giudicato implicito quando il giudice ha deciso il merito “per saltum”:
Il giudicato implicito sulla giurisdizione non si forma se l'unico tema dibattuto nel giudizio è stato quello relativo all'ammissibilità della domanda o se l'evidenza di una soluzione ha assorbito ogni altra valutazione (ad es., per manifesta infondatezza della pretesa) ed ha indotto il giudice a decidere il merito "per saltum", non rispettando la progressione logica stabilita dal legislatore per la trattazione delle questioni di rito rispetto a quelle di merito. (Cassazione civile, sez. un., 18 dicembre 2008, n. 29523).


mercoledì 16 giugno 2010


Il Caso
Un’azienda esercente un’attività di trasporto pubblico di persone promuove un ricorso al T.A.R. Piemonte per ottenere l’accertamento del diritto a ricevere una somma di denaro a titolo di compensazione degli oneri economici sostenuti per l’adempimento degli obblighi di servizio pubblico non sufficientemente remunerativi e imposti dalla sottoscrizione di numerosi contratti di servizio. A tale scopo viene eccepita la nullità degli articoli dei contratti di servizio stipulati nel corso degli anni, per contrarietà a norme imperative comunitarie.

Norme rilevanti
LEGGE 7 agosto 1990, n. 241 (in Gazz. Uff., 18 agosto, n. 192). - Nuove norme in materia di procedimento amministrativo e di diritto di accesso ai documenti amministrativi
Art. 21-octies
Annullabilità del provvedimento (1)
1. E' annullabile il provvedimento amministrativo adottato in violazione di legge o viziato da eccesso di potere o da incompetenza.
2. Non è annullabile il provvedimento adottato in violazione di norme sul procedimento o sulla forma degli atti qualora, per la natura vincolata del provvedimento, sia palese che il suo contenuto dispositivo non avrebbe potuto essere diverso da quello in concreto adottato. Il provvedimento amministrativo non è comunque annullabile per mancata comunicazione dell'avvio del procedimento qualora l'amministrazione dimostri in giudizio che il contenuto del provvedimento non avrebbe potuto essere diverso da quello in concreto adottato.
(1) Articolo inserito dall'articolo 14, comma 1, della legge 11 febbraio 2005, n. 15.


Accordi integrativi o sostitutivi del provvedimento (1)
Art. 11.
1. In accoglimento di osservazioni e proposte presentate a norma dell'articolo 10, l'amministrazione procedente può concludere, senza pregiudizio dei diritti dei terzi, e in ogni caso nel perseguimento del pubblico interesse, accordi con gli interessati al fine di determinare il contenuto discrezionale del provvedimento finale ovvero in sostituzione di questo (2) .
…omissis…
2. Gli accordi di cui al presente articolo debbono essere stipulati, a pena di nullità, per atto scritto, salvo che la legge disponga altrimenti. Ad essi si applicano, ove non diversamente previsto, i princìpi del codice civile in materia di obbligazioni e contratti in quanto compatibili.
3. Gli accordi sostitutivi di provvedimenti sono soggetti ai medesimi controlli previsti per questi ultimi.
…omissis…
5. Le controversie in materia di formazione, conclusione ed esecuzione degli accordi di cui al presente articolo sono riservate alla giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo.
(1) Rubrica apposta dall'articolo 21 della legge 11 febbraio 2005, n. 15.
(2) Comma modificato dall'articolo 7 della legge 11 febbraio 2005, n. 15.


Art. 1418 c..c.
Cause di nullità del contratto.
[I]. Il contratto è nullo quando è contrario a norme imperative, salvo che la legge disponga diversamente [2126, 23322 ].
[II]. Producono nullità del contratto la mancanza di uno dei requisiti indicati dall'articolo 1325, l'illiceità della causa [1343], la illiceità dei motivi nel caso indicato dall'articolo 1345 e la mancanza nell'oggetto dei requisiti stabiliti dall'articolo 1346.
[III]. Il contratto è altresì nullo negli altri casi stabiliti dalla legge [160, 162, 458, 778, 779, 7852 , 788, 794, 1354, 1471, 14722 , 1895, 1904, 1972, 21032 , 2115, 2265, 2332, 2379, 2744].

Art. 1339 c.c.
Inserzione automatica di clausole.
[I]. Le clausole, i prezzi di beni o di servizi, imposti dalla legge [o da norme corporative] (1), sono di diritto inseriti nel contratto, anche in sostituzione delle clausole difformi apposte dalle parti [14192 , 16794 , 18152 , 19322 , 20662 , 20772 , 2597].
(1) Le disposizioni richiamanti le norme corporative devono ritenersi abrogate in seguito alla soppressione dell'ordinamento corporativo.


Massime estratte dalla decisione
1. – I “contratti” di servizio sono da ascrivere alla categoria degli accordi ex art. 11 l. 241 del 1990, nella species degli accordi necessari; sono espressione di funzione amministrativa (regolazione dei servizi pubblici, nel caso di specie, con il compito di fornire alla collettività servizi di trasporto conformi a norme di continuità, regolarità, qualità e capacità, a determinate condizioni e tariffe, nonché servizi complementari e adeguamenti dei servizi alle reali esigenze); rientrano a pieno titolo nella giurisdizione esclusiva del G.A. a norma dell’art. 11 richiamato.
2. – Il contratto di servizio pubblico è un rapporto mediante il quale l’Ente pubblico affida al gestore lo svolgimento di determinati servizi pubblici, con contestuale ed eventuale trasferimento di pubbliche funzioni, nonché di beni pubblici strumentali allo svolgimento del servizio affidato e con l’individuazione di specifici obblighi standard di servizio pubblico.
3. – L’esercizio consensuale di una potestà pubblicistica e la correlativa composizione di interessi che rilevano nel rapporto amministrativo non possono essere oggetto di un contratto di diritto privato ma di un accordo sostitutivo.
4. – La nullità dell’atto consensuale, nella specie, l’accordo o, meglio, il “contratto di servizio” per violazione di norma imperativa può essere fatto valere soltanto tramite l’azione di annullamento ex artt. 21-octies l. 241 del 1990 e 26 r.d. 1054 del 1924. Con l’ovvia conseguenza che non potrà applicarsi il regime di cui all’art. 1339 c.c., relativamente alla sostituzione di clausole e prezzi imposti, norma che postula la nullità per violazione di norma imperativa e che, come visto, per gli atti dei pubblici poteri non può applicarsi, essendo un predicato tipico degli atti genuinamente privati.
5. – Nei casi in cui il concessionario del servizio di trasporto pubblico contesti l’incompatibilità delle misure di aiuto con il regolamento CEE n. 1191/69, è tenuto a chiedere l’annullamento dell’accordo per violazione di legge.


Precedenti rilevanti
Il provvedimento amministrativo può considerarsi assolutamente nullo o inesistente solo nelle ipotesi in cui esso sia espressamente qualificato tale dalla legge oppure manchi dei connotati essenziali dell'atto amministrativo, necessario "ex lege" a costituirlo, quali possono essere la radicale carenza di potere da parte dell'autorità procedente, ovvero il difetto della forma, della volontà, dell'oggetto o del destinatario, mentre non può parlarsi di inesistenza dell'atto allorché si discuta unicamente dei vizi del procedimento che lo ha preceduto. Le violazioni, per quanto gravi, di norme imperative, quali sono di regola tutte quelle attinenti allo svolgimento di poteri pubblici, od anche di attribuzioni di competenza disciplinate direttamente dalla Costituzione, danno luogo a semplice invalidità degli atti amministrativi, che deve essere fatta valere dall'interessato nel prescritto termine di decadenza, in quanto la radicale nullità dell'atto, a meno che non sia espressamente ed inequivocabilmente disposta dalla norma primaria, ricorre soltanto quando l'atto costituisca manifestazione di poteri spettanti ad organi che operino in settori del tutto diversi, ovvero sia destinato a spiegare efficacia al di fuori dell'area fisica su cui insiste l'Ente territoriale di cui tali organi facciano parte. (Consiglio Stato , sez. IV, 27 ottobre 2005, n. 6023).


venerdì 11 giugno 2010


Premessa
Non vi sono molte pronunce o contributi dottrinali in materia di riparto di giurisdizione per i danni provocati da funzionari pubblici nell’emanazione di provvedimenti amministrativi.
L’ordinanza della Suprema Corte 13 giugno 2006 n. 13659 costituisce uno dei pochi e più recenti esempi.

Il problema di maggior rilievo è costituito dal rapporto tra la giurisdizione ordinaria in materia di responsabilità ex art. 28 Cost. e quella del giudice amministrativo. L’emanazione del provvedimento da cui scaturisce il danno determina, infatti, una serie di possibilità tutela davanti a diverse giurisdizioni: impugnazione del provvedimento, azione per danni nei confronti della p.a. o del funzionario pubblico.




Il Caso
Un privato conviene in giudizio davanti al giudice ordinario un’Università ed un professore, per ottenere il risarciemento dei danni cagionatigli dall’illegittima esclusione da un corso di dottorato di ricerca.
Le parti convenute eccepirono il difetto di giurisdizione.
L’attore, quindi, propose regolamento di giurisdizione.

Massime estratte dalla decisione
1. Deve essere riconosciuta la giurisdizione ordinaria per una azione di risarcimento dei danni nei confronti di un funzionario pubblico, essendo a tal fine irrilevante stabilire se il funzionario abbia agito quale organo dell’Ente pubblico, o, a causa del perseguimento di finalità private, si sia verificata la c.d. "frattura" del rapporto organico. In entrambi i casi, l’azione risarcitoria è proposta nei confronti del funzionario quale soggetto privato, distinto dall’amministrazione, con la quale, al più, può risultare solidalmente obbligato.
2. [Al termine di un lungo excursus, la Corte sintetizza] i principi di diritto enunciati da queste Sezioni Unite:
1) la giurisdizione del giudice amministrativo sussiste in presenza di un concreto esercizio del potere, riconoscibile per tale in base al procedimento svolto ed alle forme adottate, in consonanza con le norme che lo regolano;
2) spetta al giudice amministrativo disporre le diverse forme di tutela che l'ordinamento appresta per le situazioni soggettive sacrificate dall'esercizio illegittimo del potere e tra queste forme di tutela rientra il risarcimento del danno;
3) Il giudice amministrativo rifiuta di esercitare la giurisdizione e la sua decisione, a norma dell'art. 362 c.p.c., comma 1, si presta a cassazione da parte delle sezioni (unite quale giudice del riparto della giurisdizione, se l'esame del merito della domanda autonoma di risarcimento del danno è rifiutato per la ragione che nel termine per ciò stabilito non sono stati chiesti l'annullamento dell'atto e la conseguente rimozione dei suoi effetti.
3. la giurisdizione è inderogabile per ragioni di connessione (salva diversa, specifica, previsione normativa) e …il coordinamento tra le giurisdizioni su rapporti diversi ma interdipendenti può trovare soluzione secondo le regole della sospensione del procedimento pregiudicato (Cass. S.U. 3508/2003).

Precedenti giurisprudenziali
Poiché intercorrente solo tra privati, rientra nella giurisdizione del giudice ordinario - e non sussiste il difetto assoluto di giurisdizione - nella controversia promossa da un insegnante nei confronti del preside di una scuola pubblica, per conseguire il risarcimento dei danni patiti per il mancato conferimento (in contrasto con l'ordine di graduatoria) di una supplenza. Tale pretesa - peraltro - è, nel merito, infondata poiché non costituisce causa di danno risarcibile, a norma degli art. 22 e 23 d.P.R. 10 gennaio 1957 n. 3, la condotta dell'impiegato pubblico che abbia provocato la lesione di un interesse legittimo, vantato dal terzo nei confronti della p.a. (Cassazione civile, sez. un., 18 marzo 1992, n. 3357)