lunedì 2 novembre 2009

Rimborso delle spese legali agli amministratori degli enti locali

La questione della rimborsabilità delle spese legali sostenute da un amministratore degli enti locali in un giudizio penale o civile in conseguenza di fatti ed atti direttamente connessi all'esercizio e a causa della funzione pubblica ricoperta, conclusosi con una sentenza di assoluzione piena, non ha, al contrario del semplice dipendente, una specifica normativa.
Ciò ha creato vari filoni interpretativi che ancora oggi non sembrano aver trovato una soluzione univoca.
Una parte della giurisprudenza è dell'avviso che le disposizioni contrattuali previste per i dipendenti degli enti locali possano analogicamente estendersi agli amministratori (cfr. ad esempio Cass. Civ., Sez. I, 3 gennaio 2001 n. 54; Cons. Stato, Sez. V, 17 luglio 2001 n. 3946 e da ultimo Corte dei Conti, sez. giur., Regione Lazio, 13 luglio 2009 n. 1356). Tale tesi troverebbe un'ulteriore conferma dall'esistenza di specifiche disposizioni di carattere primario per i dipendenti statali (art. 18 della L. 23 maggio 1997 n. 135).
La conseguenza, in mancanza ovviamente di un conflitto di interessi con l'amministrazione, sarebbe l'esistenza di un diritto soggettivo al rimborso in capo all'amministratore.
Diversamente altra parte della giurisprudenza non ritiene analogicamente applicabile agli amministratori locali la normativa, per di più contrattuale, prevista per i dipendenti locali, in quanto relativa a soggetti collegati all'amministrazione da un rapporto di subordinazione e non da un incarico onorario (cfr. Cass. Civ., Sez. I, 23 aprile 2002 n. 5914 e addirittura Corte Cost., 16 giugno 2000 n. 197).
Rilevato, per completezza, che alcune isolate pronunce di merito ritengono applicabile per analogia la normativa prevista dal D.L. 23 ottobre 1996 n. 543 (convertito con L. 20 dicembre 1996 n. 639) in merito alle spese sostenute dall'amministratore pubblico in un procedimento dinnanzi alla Corte dei Conti, la soluzione della vexata quaestio potrebbe rinvenirsi nell'applicazione analogica della disciplina civilistica del mandato ed in particolare, per quanto concerne specificatamente il rimborso delle spese legali, dall'art. 1720 c.c. (cfr. Cons. Stato, Sez. V, 14 aprile 2000 n. 2242; Cons. Stato, sez. III, parere 16 marzo 2004 n. 792; T.A.R. Piemonte Torino, sez. II, 30 gennaio 2007, n. 480; Cassazione civile, sez. un., 13 gennaio 2006, n. 478; Cassazione civile, sez. I, 16 aprile 2008, n. 10052).
Al di là delle decisioni del Tar Piemonte e delle Sezioni Unite della Cassazione testé citate e che si riferiscono esclusivamente a questioni di giurisdizione (infatti dall'applicabilità della disciplina del mandato, trattandosi di questione di diritto soggettivo, discende la giurisdizione del Giudice Ordinario), le due altre sentenze fanno tuttavia discendere come conseguenza dell'applicazione della disciplina civilistica, la non rimborsabilità delle spese legali, nemmeno in caso di proscioglimento dell'amministratore con formula assolutoria piena.
Le predette decisioni del Consiglio di Stato (n. 2242/2002) e della Cassazione (n. 10052/2008) si fondano sul fatto che secondo la giurisprudenza civile, ai sensi dell'art. 1720 c.c., al mandatario spetterebbe il rimborso soltanto delle spese sostenute in stretta dipendenza, ossia a causa, dell'adempimento dei propri obblighi, e non in occasione di esso. E il caso delle spese legali inerenti un procedimento penale a carico del mandatario-amministratore per reati correlati alle funzioni pubbliche rientrerebbe proprio in quelle fattispecie in cui il rapporto con il mandato sarebbe di mera connessione e non di stretta causalità. Infatti, sempre secondo tale tesi, il nesso di causalità diretta con l'esecuzione del mandato sarebbe interrotto, spezzato da un elemento intermedio dovuto all'attività di una terza persona, pubblica o privata, e dato dall'accusa rivelatasi poi infondata (nello stesso senso anche Corte di Appello di Milano, se. I, 24 febbraio 2006 n. 484).
A nostro avviso le conclusioni cui giunge tale giurisprudenza, seppur autorevole, non paiono del tutto giuridicamente corrette. Occorre osservare, infatti, che se il procedimento penale riguarda reati originatisi a causa dell'incarico ricoperto e quindi strettamente connessi alle funzioni pubbliche esercitate (come ad es. l'abuso d'ufficio) non può sostenersi che manchi un rapporto di causalità diretta con l'espletamento delle funzioni, nemmeno tentando di recuperare una interruzione dello stesso nell'attività di un terza persona che originerebbe l'accusa infondata. In altre parole quest'ultimo elemento non mi pare sufficiente a spezzare il legame causale con l'incarico ricoperto dall'amministratore dell'ente.
Inoltre, tale tesi pare contraddire l'opinione prevalente secondo la quale le diverse disposizioni che consentono, con varie modalità, l'assunzione da parte dell'amministrazione delle spese di difesa sostenute dai dipendenti, costituiscono espressione di un principio generalissimo e fondamentale dell'ordinamento amministrativo desumibile proprio dalla disciplina civilistica del mandato e dal divieto di arricchimento senza giusta causa di cui all'art. 2041 c.c..
Riteniamo pertanto che l'amministratore dell'ente locale, imputato in un giudizio penale in conseguenza di fatti ed atti direttamente connessi all'esercizio e a causa della funzione pubblica ricoperta e conclusosi con una sentenza di assoluzione piena, abbia diritto al rimborso delle spese legali sostenute. Ciò, ovviamente, a condizione che manchi un qualsiasi conflitto di interessi con l'amministrazione, conflitto valutabile anche ex post, ossia alla conclusione del procedimento penale, come di recente affermato da Corte dei Conti, sez. giur., Regione Lazio, 13 luglio 2009 n. 1356,
Ciò, tuttavia, non significa che l'amministratore abbia diritto ad un integrale rimborso semplicemente dietro presentazione delle fatture debitamente vistate dall'Ordine Professionale e della prova dell'avvenuto pagamento all'Avvocato difensore.
Trattandosi infatti di denaro pubblico occorre considerare che tali erogazioni vanno contenute al massimo, anche per evitare facili ed ingiustificati abusi. Al riguardo, per identità di ratio, può ben essere applicabile come principio generale quanto affermato da Cassazione civile, sez. lav., 23 gennaio 2007, n. 1418, secondo la quale “il dipendente, ingiustamente accusato di abuso d'ufficio, ha diritto al rimborso da parte della Amministrazione di appartenenza delle spese sopportate per la sua difesa, ma entro il limite di quanto strettamente necessario (trattandosi di erogazioni che gravano sulla finanza pubblica e devono quindi essere contenute al massimo)”. E ciò “secondo il parere di un organo tecnico altamente qualificato [l'Avvocatura dello Stato, n.d.r.] per valutare sia le necessità difensive del funzionario, in relazione alle accuse che gli vengono mosse ed ai rischi del giudizio penale, e sia la conformità della parcella presentata dal difensore alla tariffa professionale.”.
Riteniamo quindi, in definitiva, che un ente locale, per stabilire l'entità del rimborso, e magari previa informale richiesta, possa rivolgersi all'Avvocatura dello Stato che nell'ambito dei suoi generali poteri consultivi attivabili a richiesta delle singole amministrazioni ex art. 13 R.D. 30 ottobre 1933 n. 1611, dovrà fornire le sue valutazioni tecnico-discrezionali in merito alla congruità o meno delle spese legali oggetto della richiesta di rimborso.
È comunque evidente che in virtù dell'autorevole indirizzo giurisprudenziale, da noi allo stato non condiviso, che nega qualunque rimborso, l'amministrazione potrebbe anche “legittimamente” scegliere proprio questa strada.

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