giovedì 23 luglio 2009

Consulenza tecnica e accertamento tecnico preventivo davanti al giudice amministrativo

L'istruttoria nel processo giurisdizionale davanti al giudice amministrativo era in origine limitata ai mezzi di prova previsti dall'art. 44, primo e terzo comma, del T.U. n. 1054 del 1924 sul Consiglio di Stato. Essi erano costituiti, essenzialmente, dalla richiesta di nuovi documenti o di chiarimenti e dalle nuove verificazioni, che possono essere disposte nei confronti della stessa amministrazione parte in causa. La verificazione, in particolare, può consistere in accertamenti come ispezioni, esami di carte e documenti, visite di luoghi, apprezzamenti tecnici di opere e costruzioni, assunzione di informazioni presso uffici pubblici e privati. Tali accertamenti sono compiuti da tecnici dell'amministrazione e vanno documentati in un'apposita relazione.
Poiché la verificazione consiste nell'accertamento dei fatti senza possibilità di effettuare valutazioni, la verificazione si distingue la consulenza tecnica d'ufficio: “La verificazione disposta dal giudice consiste in un mero accertamento disposto al fine di completare la conoscenza dei fatti che non siano desumibili dalle risultanze documentali e, sotto tale aspetto, si differenzia dalla consulenza tecnica d'ufficio che si estrinseca in una valutazione tecnica di determinate situazioni da utilizzare ai fini della decisione, con una valenza non meramente ricognitiva e circoscritta ad un fatto specifico” (Consiglio Stato , sez. IV, 21 novembre 2005, n. 6447; cfr. anche Consiglio di Stato, sez. IV, 19 febbraio 2007, n. 881).

Consulenza tecnica d'ufficio.
La consulenza tecnica d'ufficio fu inizialmente introdotta dall'art. 35, terzo comma, del decreto legislativo n. 80 del 1998 ma limitatamente ai casi di giurisdizione esclusiva.
Successivamente, l'art. 44 del T.U. n. 1054 del 1924 sul Consiglio di Stato è stato modificato dalla legge 21 luglio 2000, n. 205 che ha incluso tra i mezzi istruttori che possono essere disposti anche la consulenza tecnica d'ufficio.
Le regole che disciplinano la consulenza tecnica, in assenza di disposizioni speciali, sono le stesse dettate dal codice di procedura civile. Vale quindi anche nel processo amministrativo il principio per cui la CTU non è un vero e proprio mezzo di prova ma uno strumento conoscitivo con il quale il giudice acquista le conoscenze tecniche necessarie per decisione della causa tramite un esperto, che assume la veste di suo ausiliario: “La c.t.u. non è uno strumento idoneo ad esonerare la parte dalla prova dei fatti dalla stessa dedotti e posti a base delle proprie richieste (fatti che devono essere dimostrati dalla medesima parte alla stregua dei criteri di ripartizione dell'onere della prova posti dall'art. 2697 c.c.), ma ha la funzione di fornire all'attività valutativa del giudice l'apporto di cognizioni tecniche non possedute” (Consiglio Stato , sez. VI, 27 giugno 2007, n. 3691).
La consulenza tecnica, nell'ambito del processo amministrativo, subisce delle limitazioni per ragioni di ordine sostanziale. Tale mezzo istruttorio, infatti, non può essere disposto per sindacare valutazioni discrezionali riservate all'amministrazione: “In tema di gara di appalto, la valutazione sull'anomalia di un'offerta può essere sindacato in sede giurisdizionale esclusivamente per vizi logici e di motivazione, sicché l'eventuale consulenza tecnica disposta dal giudice può riguardare la valutazione di fatti e prove per ampliarne la conoscenza in ambiti specialistici, ma non può spingersi fino alla verifica della sussistenza dei profili di eccesso di potere né a sostituire la valutazione dell'Amministrazione, atteso che a quest'ultima spetta, nel caso di annullamento del provvedimento impugnato, di rideterminarsi con il solo limite di emendare il nuovo atto da emanare dai vizi riscontrati in sede di legittimità” (Cons. Stato Sez. IV 21-05-2008 n. 2404; cfr. anche Sez. V 11 novembre 2004 n. 7346).
La consulenza tecnica trova il suo campo di elezione nel sindacato degli apprezzamenti tecnici della pubblica amministrazione. Il giudice amministrativo, quando necessario, può ricorrere alla consulenza tecnica per verificare il corretto esercizio della discrezionalità tecnica da parte dell'amministrazione, individuando le regole da queste utilizzate e giudicandone la corretta applicazione nel caso concreto. È, infatti, ormai tramontata l'equiparazione tra la discrezionalità tecnica e il merito amministrativo, insindacabile in sede di legittimità: “Nel procedimento amministrativo, la discrezionalità tecnica non costituisce espressione di una libera scelta della Pubblica amministrazione tra diverse soluzioni idonee a soddisfare l'interesse pubblico, e quindi non configura propriamente una discrezionalità, trattandosi della scelta tra alternative altrettanto legittime in cui l'agire dell'Amministrazione persegue l'interesse pubblico ma con ricadute differenti sugli interessi privati coinvolti: nel caso della discrezionalità propriamente tecnica, invece, la P.A. è tenuta a seguire regole proprie delle scienze e delle arti, con la conseguenza che il giudice amministrativo deve verificare le regole della scienza e dell'arte applicate al caso di specie siano state correttamente seguite e interpretate” (Cons. Stato C.G.A. Reg. Sicilia 23-07-2007 n. 673). Il giudice amministrativo, pertanto, può dunque esercitare propri sindacato sugli apprezzamenti tecnici della P.A.:“Il sindacato giurisdizionale sugli apprezzamenti tecnici della Pubblica amministrazione ― tramontata l'equazione discrezionalità tecnica merito insindacabile a partire dalla sentenza del Consiglio di Stato, Sez. IV n. 601 del 1999 ― può oggi svolgersi in base non al mero controllo formale ed estrinseco dell'iter logico seguito dall'autorità amministrativa, bensì alla verifica diretta dell'attendibilità delle operazioni tecniche sotto il profilo della loro correttezza quanto a criterio tecnico ed a procedimento applicativo, potendo il giudice utilizzare per tale controllo sia il tradizionale strumento della verificazione che la consulenza tecnica d'ufficio” (T.A.R. Catania Sez. I 23-01-2009 n. 170; Cons. Stato, Sez. VI, 11 aprile 2006 n. 2001, 9 novembre 2006 n. 6607 e 22 maggio 2008 n. 2449).
Il giudice amministrativo può addirittura avvalersi della consulenza tecnica svolta in un giudizio diverso tra le stesse parti: “Il giudice di merito, in mancanza di un divieto di legge, può utilizzare anche prove raccolte in un giudizio diverso fra le stesse o altre parti, compresa la consulenza tecnica ammessa ed espletata in diverso procedimento, valutandone liberamente gli accertamenti e i suggerimenti una volta che la relativa relazione peritale sia stata ritualmente prodotta dalla parte interessata” (Cons. Stato Sez. V 19-01-2009 n. 223).

Accertamento tecnico preventivo
L'accertamento tecnico preventivo costituisce uno dei procedimenti di istruzione preventiva e svolge una funzione di tipo cautelare. Il mezzo istruttorio, disciplinato dall'art. 696 c.p.c., presuppone infatti l'urgenza di fare verificare, prima del giudizio, lo stato dei luoghi o la qualità o la condizione di cose.
Va subito evidenziato che mentre la consulenza tecnica d'ufficio è stata espressamente introdotta nel processo amministrativo dalla riforma del 2000, nessuna disposizione si occupa dei provvedimenti di istruzione preventiva.
Per questa ragione, uno dei problemi di maggiore rilevanza, al fine di valutare l'ammissibilità del mezzo istruttorio nell'ambito del processo amministrativo, è quello di stabilirne il fondamento normativo.
Per gli accertamenti tecnici richiesti in corso di causa, la norma di riferimento può essere costituita dall'art. 21 della legge n. 1034/1971. Data la pacifica natura cautelare del mezzo e gli ampi poteri conferiti al giudice, che si estendono genericamente all'emanazione delle misure più idonee, non sussistono difficoltà a comprendere tra queste anche l'ATP. In giurisprudenza, tra le rarissime pronunce si può citare T.A.R. Sicilia-Palermo, sez. II, decreto 2 febbraio 2002, n. 97, con cui è stato disposto un accertamento tecnico relativo allo stato dei luoghi e della consistenza dei beni mobili e immobili di un impianto del quale era stata disposta la demolizione.
Molto più problematico è valutare l'ammissibilità dell'ATP ante causam. In questo caso, infatti, non vale la copertura dell'art. 21 L. n. 1034/1971 che regola l'adozione di provvedimenti cautelari successivi al deposito del ricorso e quindi all'instaurazione del rapporto processuale.
Di particolare interesse, sotto questo profilo, è l'art. 245, terzo comma, del codice dei contratti pubblici di lavori, servizi, forniture (D.Lgs. 12 aprile 2006, n. 163) che, limitatamente a questa materia, consente esplicitamente l'adozione di misure interinali e provvisorie ante causam: “In caso di eccezionale gravità e urgenza, tale da non consentire neppure la previa notifica del ricorso e la richiesta di misure cautelari provvisorie di cui all'articolo 21, comma 9, della legge 6 dicembre 1971, n. 1034, il soggetto legittimato al ricorso può proporre istanza per l'adozione delle misure interinali e provvisorie che appaiono indispensabili durante il tempo occorrente per la proposizione del ricorso di merito e della domanda cautelare di cui ai commi 8 e 9 del citato articolo 21”.
La norma, si ricorderà, è stata introdotta in seguito ad una serie di interventi della Corte di Giustizia CE che, sulla base dell'art. 2 della Direttiva 89/65, aveva giudicato non conforme alla legislazione comunitaria la normativa italiana, in quanto non aveva conferito agli organi competenti a conoscere dei ricorsi la facoltà di adottare, indipendentemente dalla previa proposizione del ricorso di merito, qualsiasi provvedimento provvisorio a tutela degli interessi dei partecipanti alle procedure concorsuali.
In giurisprudenza, si segnala l'isolata pronuncia del Tar Lazio, Roma, ordinanza 4 luglio 2007, n. 5992, con cui i giudici hanno nominato un consulente tecnico d'ufficio in seguito a ricorso per accertamento tecnico preventivo diretto a verificare lo stato di abbandono o di utilizzo a fini pubblici di un fabbricato, in vista della presentazione di una domanda di retrocessione parziale (artt. 47 e 48 d.p.r. n. 327/2001).
Alla luce dei principi di rilevanza costituzionale del giusto processo (art. 111 Cost.) e della effettività della tutela giurisdizionale (art. 24 Cost.), anche indipendentemente da un esplicito richiamo, si possono considerare applicabili le norme in materia di istruzione preventiva del codice di procedura civile. Queste ultime, infatti, costituiscono la legge processuale generale a cui bisogna fare riferimento quando sia indispensabile assicurare l'efficienza o la legalità della procedura contenziosa: “Nessun rinvio al codice di procedura civile è stabilito dalla l. 6 dicembre 1971 n. 1034, per cui il richiamo al detto codice è corretto nella misura in cui la legge stessa non sia altrimenti interpretabile ed il codice ponga dei principi indispensabili per assicurare l'efficienza o la legalità delle procedure contenziose o giudiziarie in genere” (Consiglio Stato , sez. VI, 27 giugno 1978, n. 905). “Nel procedimento davanti ai giudici amministrativi, in mancanza di norme processuali espresse, sono applicabili analogicamente le norme generali del codice di procedura civile, ivi compreso l'art. 51 stesso codice, che disciplina i casi di astensione del giudice” (Consiglio Stato , sez. VI, 25 marzo 1985, n. 94).
“Per quanto non espressamente previsto, può farsi ricorso alla disciplina contenuta nel codice di procedura civile, il quale costituisce la legge processuale generale a cui bisogna fare riferimento in difetto di norme processuali speciali, per cui per il procedimento di ricusazione potranno applicarsi in via analogica gli art. 52 e 54 c.p.c.” (T.A.R. Abruzzo L'Aquila, 08 gennaio 1999, n. 7).
Problemi del tutto analoghi si pongono per la consulenza tecnica preventiva introdotta dall'art. 696-bis c.p.c. che, per di più, data la finalità conciliativa, è senza dubbio incompatibile quando il contenzioso abbia per oggetto interessi pubblici indisponibili. In ogni caso, allo stato, non è stato possibile reperire alcun precedente giurisprudenziale.

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