martedì 15 settembre 2009

Consiglio di Stato, Sez. V, 19 maggio 2009, n. 3072

Il caso
Un comune nega l’accoglimento di un’istanza di autorizzazione di apertura di un’agenzia di pompe funebri. Il diniego si fonda su una serie di atti amministrativi presupposti, non impugnati, con i quali è stato prescritto il rapporto di una agenzia di pompe funebri ogni 25.000 abitanti. Viene proposto ricorso avverso suddetto provvedimento, per contrasto con i principi costituzionali comunitari in materia di libera concorrenza, invocando la sua diretta disapplicazione. Il Tar Puglia ha dichiarato inammissibile il ricorso, per omessa impugnazione degli atti presupposti, e comunque lo ha respinto nel merito. La sentenza viene appellata. La questione fondamentale oggetto del giudizio è la violazione del diritto comunitario e le sue conseguenze sia dal punto di vista sostanziale (nullità o annullabilità del provvedimento) e processuale.

Massime tratte dalla decisione
la violazione del diritto comunitario implica un vizio di illegittimità – annullabilità dell’atto amministrativo con esso contrastante, mentre la nullità (o l’inesistenza) è configurabile nella sola ipotesi in cui il provvedimento nazionale sia stato adottato sulla base di una norma interna (attributiva del potere) incompatibile con il diritto comunitario (e quindi disapplicabile);
Logici corollari di tale ricostruzione sono: a) sul piano processuale, l’onere dell’impugnazione del provvedimento contrastante con il diritto comunitario dinanzi al giudice amministrativo entro il prescritto termine di decadenza, pena la sua inoppugnabilità; b) l’obbligo per l’amministrazione di applicare l’atto illegittimo salvo il ricorso ai poteri di autotutela.

Norme rilevanti

Legge 7 agosto 1990, n. 241 - Nuove norme sul procedimento amministrativo

Art. 21-octies. (Annullabilità del provvedimento)
1. È annullabile il provvedimento amministrativo adottato in violazione di legge o viziato da eccesso di potere o da incompetenza.
2. Non è annullabile il provvedimento adottato in violazione di norme sul procedimento o sulla forma degli atti qualora, per la natura vincolata del provvedimento, sia palese che il suo contenuto dispositivo non avrebbe potuto essere diverso da quello in concreto adottato. Il provvedimento amministrativo non è comunque annullabile per mancata comunicazione dell'avvio del procedimento qualora l'amministrazione dimostri in giudizio che il contenuto del provvedimento non avrebbe potuto essere diverso da quello in concreto adottato.

Art. 21-nonies. (Annullamento d'ufficio)
(si veda anche l'articolo 1, comma 136, della legge n. 311 del 2004)
1. Il provvedimento amministrativo illegittimo ai sensi dell'articolo 21-octies può essere annullato d'ufficio, sussistendone le ragioni di interesse pubblico, entro un termine ragionevole e tenendo conto degli interessi dei destinatari e dei controinteressati, dall'organo che lo ha emanato, ovvero da altro organo previsto dalla legge.
2. È fatta salva la possibilità di convalida del provvedimento annullabile, sussistendone le ragioni di interesse pubblico ed entro un termine ragionevole.

Precedenti giurisprudenziali
Il provvedimento amministrativo, il cui contenuto risulti in contrasto con norme o principi comunitari, non può essere meramente disapplicato dall'amministrazione, ma deve essere da essa rimosso con ricorso ai poteri di autotutela di cui dispone e nel rispetto dei principi che li governano e con l'osservanza delle garanzie che l'ordinamento appresta per i soggetti incisi dall'atto di annullamento, prima fra tutte quella di consentire ad essi di partecipare al relativo procedimento. (Consiglio Stato , sez. V, 08 settembre 2008, n. 4263).

Il vizio che caratterizza l'atto amministrativo conforme ad una norma nazionale a propria volta in contrasto con il diritto comunitario è quello tipico dell'annullabilità per violazione di legge, in quanto tale deducibile in sede giurisdizionale nell'ordinario termine di decadenza. (Consiglio Stato , sez. VI, 23 luglio 2008, n. 3621).

La violazione, da parte dell'atto amministrativo nazionale, di norme appartenenti al diritto comunitario (primario o derivato), comporta una illegittimità dell'atto da inquadrare nell'ambito dell'annullabilità, con conseguente applicabilità, nei suoi confronti, delle ordinarie regole sostanziali e processuali in materia di efficacia, di inoppugnabilità per decorso dei termini di impugnazione e di non disapplicabilità dell'atto in sede di giurisdizione amministrativa (T.A.R. Sardegna Cagliari, sez. I, 11 luglio 2008, n. 1367).

È principio acquisito che la violazione di una disposizione comunitaria implica un vizio di illegittimità - annullabilità dell'atto amministrativo interno con essa contrastante, mentre la diversa forma patologica della nullità (o della inesistenza) risulta configurabile nella sola ipotesi in cui il provvedimento nazionale sia stato adottato sulla base di una norma interna (attributiva di potere) incompatibile (e quindi disapplicabile) con il diritto comunitario. Pertanto, al di fuori del caso da ultimo descritto, l'inosservanza di una disposizione comunitaria direttamente applicabile comporta l'annullabilità del provvedimento viziato, nonché, sul piano processuale, l'onere della sua impugnazione dinanzi al g.a. entro il prescritto termine di decadenza, pena la sua inoppugnabilità (Consiglio Stato , sez. IV, 21 febbraio 2005, n. 579).

Nel diritto amministrativo il vizio generato dall'inosservanza di una disposizione normativa diretta a regolare l'azione della p.a. consiste nella sola illegittimità per violazione di legge che implica, al pari del vizio di annullabilità dei negozi giuridici, l'efficacia dell'atto fino al suo annullamento da parte del giudice amministrativo o della stessa amministrazione (in sede giustiziale o di autotutela), senza quindi che possa in alcun modo configurarsi una più grave ipotesi di invalidità, paragonabile alla nullità, che impedisca al provvedimento di produrre i suoi effetti (se non nel diverso caso dell'atto adottato in carenza di potere) e che autorizzi il giudice amministrativo a disapplicarlo; pertanto, la violazione di una norma che regola l'azione dell'amministrazione in modo da escludere qualsiasi scelta discrezionale nell'esercizio del relativo potere comporta l'onere in capo al soggetto leso dal provvedimento così viziato di impugnarlo entro il termine perentorio al fine di farne accertare l'illegittimità e di ottenerne l'annullamento, non essendovi alcuna possibilità per il giudice amministrativo di sancirne l'inefficacia, prescindendo dalla sua rituale contestazione in giudizio. (Consiglio Stato , sez. V, 10 gennaio 2003, n. 35).

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