lunedì 12 maggio 2008

Consiglio di Stato, VI, sentenza 6 maggio 2008 n. 2015

Il Caso
Un preside di una scuola presentò una domanda di risarcimento per i danni asseritamene subiti a seguito di un comportamento ritenuto vessatorio da parte dell’amministrazione, concretatosi in diversi provvedimenti, la cui illegittimità era stata accertata e passata in cosa giudicata.
Tali comportamenti vessatori (critiche, maltrattamenti, ingiustificate ed esasperate offese alla dignità personale, lesione e delegittimazione dell’immagine all’interno e all’esterno della sede di lavoro, attacchi alla professionalità) avrebbero concretato un’ipotesi di mobbing, generatrice dei compositi profili di danno morale, danno biologico e danno alla professionalità.
Il giudice di primo grado ritenne che la prova della sussistenza del comportamento vessatorio da parte dell’amministrazione e della sussistenza della fattispecie del mobbing non emergesse dalla sentenza del Tar e non fosse stata fornita dal ricorrente.
Il preside appellante contesta tale statuizione e sostiene che le plurime illegittimità commesse dall’amministrazione ed ormai accertate con sentenza passata in giudicato siano il chiaro indice di un disegno mirato a colpire il ricorrente e a screditarlo, con evidente pregiudizio di carattere patrimoniale e non, collegato al deterioramento delle condizioni di salute e agli effetti del demansionamento subito.

Massime estratte dalla decisione
1. L’illegittimità dell’atto amministrativo, accertata con sentenza del giudice, è un requisito necessario ma non sufficiente per l’accoglimento dell’azione risarcitoria, occorrendo altresì che l’interessato dimostri: a) la sussistenza di un evento dannoso; b) la qualificazione del danno come danno ingiusto, in relazione alla sua incidenza su un interesse rilevante per l'ordinamento; c) il nesso di causalità con l’illegittimità o comunque con la condotta (positiva o omissiva) della p.a.; d) l’elemento soggettivo (colpa della P.A.).
2. Costituisce mobbing (termine questo che deriva dal verbo to mob, che significa assalire, prendere d’assalto, malmenare e viene spesso utilizzato in luogo del termine harassment per indicare le molestie morali sul luogo di lavoro) l'insieme delle condotte datoriali protratte nel tempo e con le caratteristiche della persecuzione finalizzata all'emarginazione del dipendente con comportamenti datoriali, materiali o provvedimentali, indipendentemente dall'inadempimento di specifici obblighi contrattuali o dalla violazione di specifiche norme attinenti alla tutela del lavoratore subordinato; sicché, la sussistenza della lesione, del bene protetto e delle sue conseguenze deve essere verificata - procedendosi alla valutazione complessiva degli episodi dedotti in giudizio come lesivi - considerando l'idoneità offensiva della condotta, che può essere dimostrata, per la sistematicità e durata dell'azione nel tempo, dalle sue caratteristiche oggettive di persecuzione e discriminazione, risultanti specificamente da una connotazione emulativa e pretestuosa (Cass. civ. sez. lav., n. 4774/2006).
3. Determinati comportamenti non possono essere qualificati come harassment o mobbing se è dimostrato che vi è una ragionevole ed alternativa spiegazione (nella specie è stato ritenuto che i provvedimenti adottati dall’amministrazione nei confronti di un insegnante, seppur risultati poi illegittimi, non costituivano mobbing, essendo stati adottati a seguito di una serie di proteste di genitori ed alunni nei confronti del ricorrente, che avevano indotto l’amministrazione ad intervenire).
4. Il riconoscimento del diritto del lavoratore al risarcimento del danno professionale, biologico o esistenziale, che asseritamente deriva dal demansionamento, non può prescindere da una specifica allegazione sulla natura e sulle caratteristiche del pregiudizio medesimo; mentre il risarcimento del danno biologico è subordinato all'esistenza di una lesione dell'integrità psico-fisica medicalmente accertabile, il danno esistenziale - da intendere come ogni pregiudizio (di natura non meramente emotiva ed interiore, ma oggettivamente accertabile) provocato sul fare areddittuale del soggetto, che alteri le sue abitudini e gli assetti relazionali propri, inducendolo a scelte di vita diverse quanto all'espressione e realizzazione della sua personalità nel mondo esterno - va dimostrato in giudizio con tutti i mezzi consentiti dall'ordinamento (Cass. civ., sez. lav., n. 6572/2006).
5. Non può essere accolta una domanda di risarcimento del danno biologico, nel caso in cui il dipendente pubblico si sia limitato a produrre alcuni certificati medici, idonei a provare al massimo l’esistenza di alcune patologie, ma non la dipendenza delle stesse dalla condotta dell’Amministrazione datrice di lavoro.

Precedenti rilevanti
1) CORTE DI CASSAZIONE - SEZIONI UNITE, sentenza 4-5-2004, n. 8438: afferma che se si tratta di azione contrattuale, la cognizione della domanda rientra nella giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo (allorché la controversia abbia per oggetto una questione relativa ad un periodo dei rapporto di lavoro antecedente al 30 giugno 1998); se si tratta invece di azione extracontrattuale, la giurisdizione appartiene al giudice ordinario; il mobbing, nel caso in cui vengano lamentate violazioni di specifici obblighi contrattuali derivanti dal rapporto di impiego, rientra nella giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo. In tal caso, infatti, la fattispecie di responsabilità va ricondotta alla violazione degli obblighi contrattuali stabiliti da tali norme, indipendentemente dalla natura dei danni subiti dei quali si chiede il ristoro e dai riflessi su situazioni soggettive (quale il diritto alla salute) che trovano la loro tutela specifica nell'ambito dei rapporto obbligatorio;
2) CORTE DI CASSAZIONE, SEZ. LAVORO, sentenza 29-8-2007, n. 18262, sulla sussistenza della responsabilità per danni derivanti da mobbing anche nel caso in cui il datore di lavoro non sia l’autore dei comportamenti scorretti, ma tuttavia non si sia attivato per farli cessare;

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