tag:blogger.com,1999:blog-89882064480547964472023-11-15T05:08:54.961-08:00Diritto amministrativoRaccolta di giurisprudenzaAnonymoushttp://www.blogger.com/profile/07368369773792917576noreply@blogger.comBlogger90125tag:blogger.com,1999:blog-8988206448054796447.post-22933078581432039762011-07-21T06:09:00.000-07:002011-07-21T06:14:33.176-07:00<strong><a href="http://giurisprudenza-amministrativa.blogspot.com/2011/07/consiglio-di-stato-adunanza-plenaria-7.html">CONSIGLIO DI STATO, Ad. Plen., 7 aprile 2011 n. 4 </a></strong><br /><br /><div align="justify"><br /><strong>Il caso</strong><strong><br /></strong>La vicenda è piuttosto complessa.<br />La società Ferrovie del Sud Est e Servizi Automobilistici s.r.l. indiceva una gara per l’affidamento della progettazione esecutiva e dell’esecuzione dei lavori relativi a "interventi di trazione elettrica, segnalamento e armamento lungo la rete gestita dalla FSE”, per un importo complessivo di euro 136.162.402,97. Alla procedura selettiva partecipavano tre concorrenti.<br />All’esito della gara l’appalto era aggiudicato all’associazione temporanea di imprese (a.t.i.) di cui era mandataria la società Eredi Giuseppe Mercuri s.p.a. (di seguito: “MERCURI”).<br />Seconda classificata era l’a.t.i. con mandataria la SITE s.p.a. (d’ora innanzi: “SITE”), mentre terza classificata, infine, era l’a.t.i. di cui era mandataria la società G.E. Transportation System s.p.a. (d’ora innanzi: “GETS”).<br />SITE proponeva un primo ricorso dinanzi al TAR con cui contestava l’eccessiva brevità dei termini di gara. Successivamente, con un primo atto di motivi aggiunti, censurava l’aggiudicazione in favore della prima classificata MERCURI, deducendo motivi di esclusione di questa dalla gara e lamentando l’illegittimità dei punteggi attribuiti dalla commissione.<br />MERCURI si costituiva in giudizio proponendo anche ricorso incidentale, volto a confutare la legittimità dell’ammissione in gara della ricorrente SITE e, conseguentemente, la sua legittimazione e il suo interesse alla proposizione della domanda principale.<br />A fronte del ricorso incidentale, SITE, al dichiarato scopo di dimostrare il proprio “interesse strumentale” al ricorso, in relazione alla domanda, subordinata, di annullamento dell’intera procedura di gara, proponeva, con un secondo ricorso per motivi aggiunti, ulteriori censure, rivolte anche contro l’ammissione in gara della concorrente terza classificata GETS.<br />Quest’ultima resisteva mediante atto di intervento, con il quale, tra l'altro, aderiva alle censure contro l’ammissione di MERCURI che, dal canto suo ed in via nuovamente incidentale, impugnava anche l’ammissione alla gara di GETS.<br />Frattanto, in altro distinto processo dinanzi al TAR la stessa terza classificata GETS, proponeva un autonomo ricorso contro gli atti della procedura, con cui contestava, in via gradata:<br />- l’ammissione in gara sia della seconda (SITE), che della prima classificata (MERCURI);<br />- i punteggi assegnati alle offerte;<br />- la legittimità dell’intera procedura di gara seguita dalla stazione appaltante.<br />In questo secondo giudizio si costituivano entrambe le controinteressate SITE e MERCURI, le quali articolavano due separati ricorsi incidentali, di analogo contenuto, volti ad impugnare l’ammissione in gara della ricorrente GETS e a eccepirne la legittimazione e l’interesse alla proposizione del ricorso principale.<br />Il TAR manteneva separati i due giudizi, ancorché riferiti alla medesima procedura di gara, e li definiva con due distinte pronunce di sostanziale reiezione dei ricorsi principali. L’aggiudicazione disposta in favore della prima classificata MERCURI conservava quindi intatta la propria efficacia. Le due sentenze hanno formano oggetto di altrettanti appelli principali, nonché di impugnazioni incidentali incrociate, ad opera di tutti e tre i concorrenti partecipanti alla gara in contestazione.<br />Riuniti gli appelli la Sesta Sezione del Consiglio di Stato ha deferito l'esame dei ricorsi ex art. 99 del Codice del Processo Amministrativo all'Adunanza Plenaria, sottoponendole numerosi quesiti di diritto.</div><br /><div align="justify"><br /><strong>Norme rilevanti</strong></div><br /><div align="justify"><br />Decreto Legislativo 2 luglio 2010 , n. 104 (Codice del Processo Amministrativo)<br />Art.42<br />Ricorso incidentale e domanda riconvenzionale<br />1. Le parti resistenti e i controinteressati possono proporre domande il cui interesse sorge in dipendenza della domanda proposta in via principale, a mezzo di ricorso incidentale. Il ricorso si propone nel termine di sessanta giorni decorrente dalla ricevuta notificazione del ricorso principale. Per i soggetti intervenuti il termine decorre dall'effettiva conoscenza della proposizione del ricorso principale.<br />2. Il ricorso incidentale, notificato ai sensi dell'articolo 41 alle controparti personalmente o, se costituite, ai sensi dell'articolo 170 del codice di procedura civile, ha i contenuti di cui all'articolo 40 ed e' depositato nei termini e secondo le modalita' previste dall'articolo 45.<br />3. Le altre parti possono presentare memorie e produrre documenti nei termini e secondo le modalita' previsti dall'articolo 46.<br />4. La cognizione del ricorso incidentale e' attribuita al giudice competente per quello principale, salvo che la domanda introdotta con il ricorso incidentale sia devoluta alla competenza del Tribunale amministrativo regionale del Lazio, sede di Roma, ovvero alla competenza funzionale di un tribunale amministrativo regionale, ai sensi dell'articolo 14; in tal caso la competenza a conoscere dell'intero giudizio spetta al Tribunale amministrativo regionale del Lazio, sede di Roma, ovvero al tribunale amministrativo regionale avente competenza funzionale ai sensi dell'articolo 14.<br />5. Nelle controversie in cui si faccia questione di diritti soggettivi le domande riconvenzionali dipendenti da titoli gia' dedotti in giudizio sono proposte nei termini e con le modalita' di cui al presente articolo.</div><br /><div align="justify"><br />Art.99<br />Deferimento all'adunanza plenaria<br />1. La sezione cui e' assegnato il ricorso, se rileva che il punto di diritto sottoposto al suo esame ha dato luogo o possa dare luogo a contrasti giurisprudenziali, con ordinanza emanata su richiesta delle parti o d'ufficio puo' rimettere il ricorso all'esame dell'adunanza plenaria.<br />2. Prima della decisione, il presidente del Consiglio di Stato, su richiesta delle parti o d'ufficio, puo' deferire all'adunanza plenaria qualunque ricorso, per risolvere questioni di massima di particolare importanza ovvero per dirimere contrasti giurisprudenziali.<br />3. Se la sezione cui e' assegnato il ricorso ritiene di non condividere un principio di diritto enunciato dall'adunanza plenaria, rimette a quest'ultima, con ordinanza motivata, la decisione del ricorso.<br />4. L'adunanza plenaria decide l'intera controversia, salvo che ritenga di enunciare il principio di diritto e di restituire per il resto il giudizio alla sezione remittente.<br />5. Se ritiene che la questione e' di particolare importanza, l'adunanza plenaria puo' comunque enunciare il principio di diritto nell'interesse della legge anche quando dichiara il ricorso irricevibile, inammissibile o improcedibile, ovvero l'estinzione del giudizio. In tali casi, la pronuncia dell'adunanza plenaria non ha effetto sulla sentenza impugnata.</div><br /><div align="justify"><br /><strong>Massime estratte dalla decisione<br /></strong>1. Il ricorso incidentale, diretto a contestare la legittimazione del ricorrente principale, mediante la censura della sua ammissione alla procedura di gara, deve essere sempre esaminato prioritariamente, anche nel caso in cui il ricorrente principale alleghi l'interesse strumentale alla rinnovazione dell'intera procedura. Detta priorità logica sussiste indipendentemente dal numero dei partecipanti alla procedura selettiva, dal tipo di censura prospettata dal ricorrente incidentale e dalle richieste formulate dall'amministrazione resistente. L'esame prioritario del ricorso principale è ammesso, per ragioni di economia processuale, qualora sia evidente la sua infondatezza, inammissibilità, irricevibilità o improcedibilità.<br />2. Resta fermo il principio secondo il quale la legittimazione al ricorso, nelle controversie riguardanti l'affidamento dei contratti pubblici, spetti esclusivamente ai soggetti partecipanti alla gara, poiché solo tale qualità si connette all'attribuzione di una posizione sostanziale differenziata e meritevole di tutela. In questa veste, il ricorrente che ha partecipato legittimamente alla gara può far valere tanto un interesse "finale" al conseguimento dell'appalto affidato al controinteressato, quanto, in via alternativa (e normalmente subordinata) l'interesse "strumentale" alla caducazione dell'intera gara e alla sua riedizione (sempre che sussistano, in concreto, ragionevoli possibilità di ottenere l'utilità richiesta).<br />3. La regola secondo cui la legittimazione al ricorso deve essere correlata ad una situazione differenziata, in modo certo, per effetto della partecipazione alla stessa procedura oggetto di contestazione può subire alcune notevoli deroghe solo nel caso del soggetto che contrasta, "in radice", la scelta della stazione appaltante di indire la procedura; dell'operatore economico "di settore", che intende contestare un "affidamento diretto" o senza gara; dell'operatore che manifesta l'intenzione di impugnare una clausola del bando "escludente", in relazione alla illegittima previsione di determinati requisiti di qualificazione.<br />4. La mera partecipazione (di fatto) alla gara non è sufficiente per attribuire la legittimazione al ricorso. La situazione legittimante costituita dall'intervento nel procedimento selettivo, infatti, deriva da una qualificazione di carattere normativo, che postula il positivo esito del sindacato sulla ritualità dell'ammissione del soggetto ricorrente alla procedura selettiva. Pertanto, la definitiva esclusione o l'accertamento della illegittimità della partecipazione alla gara impedisce di assegnare al concorrente la titolarità di una situazione sostanziale che lo abiliti ad impugnare gli esiti della procedura selettiva. Tale esito rimane fermo in tutti i casi in cui l'illegittimità della partecipazione alla gara è definitivamente accertata, sia per inoppugnabilità dell'atto di esclusione, sia per annullamento dell'atto di ammissione.<br />5. La legittimazione al ricorso del soggetto che impugna la decisione di indire una gara è ammessa nei soli casi in cui questi dimostri, comunque, la sussistenza di un'adeguata posizione differenziata, costituita dalla titolarità di un rapporto incompatibile con il nuovo affidamento contestato.</div><br /><div align="justify"><br /><strong>Precedenti rilevanti<br /></strong>Sulla questione del ricorso incidentale vedi su questo blog l'articolo “Ricorso principale e ricorso incidentale: ordine di esame” ed i precedenti ivi esaminati alla pagina http://diritto-giurisprudenza-amministrativo.blogspot.com/search/label/ricorso%20incidentale</div>Massimo Contihttp://www.blogger.com/profile/00309411404827751864noreply@blogger.com0tag:blogger.com,1999:blog-8988206448054796447.post-49364469714205074892011-03-03T08:15:00.000-08:002011-03-03T08:22:59.522-08:00<div align="justify"><strong><a href="http://giurisprudenza-amministrativa.blogspot.com/2011/03/consiglio-di-stato-sez-v-28-febbraio.html">CONSIGLIO DI STATO, SEZ. V, 28 febbraio 2011 n. 1271<br /></a></strong></div><div align="justify"><strong></strong> </div><div align="justify"><strong>Il caso<br /></strong>Con sentenza n. 623/2007 il Tar per la Puglia, sezione di Lecce, ha respinto il ricorso proposto dal un privato che aveva chiesto la condanna del comune di Leporano al risarcimento dei danni derivanti dall’illegittimo ritardo nel rilascio del permesso di costruire in variante, richiesto dal ricorrente in data 27.12.2001. In particolare l'amministrazione, sebbene ai primi di maggio 2002 l'istruttoria fosse ormai completa, ritardò l'emanazione del titolo edilizio fino al maggio 2004 e solo dopo che il richiedente propose ricorso avverso il silenzio ai sensi dell'art. 21-bis della Legge Tar allora vigente.<br />A fronte della reiezione della domanda di risarcimento il cittadino ha impugnato la relativa decisione al Consiglio di Stato, il quale ha ritenuto necessario disporre due consulenze tecniche d'ufficio ai fini di accertare i pregiudizi economici e psicologici patiti.</div><br /><strong>Norme rilevanti<br /></strong><br /><strong>Legge 7 agosto 1990, n. 241 (Nuove norme sul procedimento amministrativo)<br /><br /></strong><strong></strong><div align="justify">Art. 2 (Conclusione del procedimento)<br />(articolo così sostituito dall'articolo 7, comma 1, legge n. 69 del 2009)<br />1. Ove il procedimento consegua obbligatoriamente ad un’istanza, ovvero debba essere iniziato d’ufficio, le pubbliche amministrazioni hanno il dovere di concluderlo mediante l’adozione di un provvedimento espresso.<br />2. Nei casi in cui disposizioni di legge ovvero i provvedimenti di cui ai commi 3, 4 e 5 non prevedono un termine diverso, i procedimenti amministrativi di competenza delle amministrazioni statali e degli enti pubblici nazionali devono concludersi entro il termine di trenta giorni.<br />3. Con uno o più decreti del Presidente del Consiglio dei ministri, adottati ai sensi dell’articolo 17, comma 3, della legge 23 agosto 1988, n. 400, su proposta dei Ministri competenti e di concerto con i Ministri per la pubblica amministrazione e l’innovazione e per la semplificazione normativa, sono individuati i termini non superiori a novanta giorni entro i quali devono concludersi i procedimenti di competenza delle amministrazioni statali. Gli enti pubblici nazionali stabiliscono, secondo i propri ordinamenti, i termini non superiori a novanta giorni entro i quali devono concludersi i procedimenti di propria competenza.<br />4. Nei casi in cui, tenendo conto della sostenibilità dei tempi sotto il profilo dell’organizzazione amministrativa, della natura degli interessi pubblici tutelati e della particolare complessità del procedimento, sono indispensabili termini superiori a novanta giorni per la conclusione dei procedimenti di competenza delle amministrazioni statali e degli enti pubblici nazionali, i decreti di cui al comma 3 sono adottati su proposta anche dei Ministri per la pubblica amministrazione e l’innovazione e per la semplificazione normativa e previa deliberazione del Consiglio dei ministri. I termini ivi previsti non possono comunque superare i centottanta giorni, con la sola esclusione dei procedimenti di acquisto della cittadinanza italiana e di quelli riguardanti l’immigrazione.<br />5. Fatto salvo quanto previsto da specifiche disposizioni normative, le autorità di garanzia e di vigilanza disciplinano, in conformità ai propri ordinamenti, i termini di conclusione dei procedimenti di rispettiva competenza.<br />6. I termini per la conclusione del procedimento decorrono dall’inizio del procedimento d’ufficio o dal ricevimento della domanda, se il procedimento è ad iniziativa di parte.<br />7. Fatto salvo quanto previsto dall’articolo 17, i termini di cui ai commi 2, 3, 4 e 5 del presente articolo possono essere sospesi, per una sola volta e per un periodo non superiore a trenta giorni, per l’acquisizione di informazioni o di certificazioni relative a fatti, stati o qualità non attestati in documenti già in possesso dell’amministrazione stessa o non direttamente acquisibili presso altre pubbliche amministrazioni. Si applicano le disposizioni dell’articolo 14, comma 2.<br />8. La tutela in materia di silenzio dell'amministrazione è disciplinata dal codice del processo amministrativo.<br />(comma così sostituito dall'Allegato 4, articolo 3, comma 2, decreto legislativo n. 104 del 2010)<br />9. La mancata emanazione del provvedimento nei termini costituisce elemento di valutazione della responsabilità dirigenziale.<br /></div><div align="justify">Art. 2-bis. (Conseguenze per il ritardo dell’amministrazione nella conclusione del procedimento)<br />(articolo introdotto dall'articolo 7, comma 1, legge n. 69 del 2009)<br />1. Le pubbliche amministrazioni e i soggetti di cui all’articolo 1, comma 1-ter, sono tenuti al risarcimento del danno ingiusto cagionato in conseguenza dell’inosservanza dolosa o colposa del termine di conclusione del procedimento.<br />2. [Le controversie relative all'applicazione del presente articolo sono attribuite alla giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo. Il diritto al risarcimento del danno si prescrive in cinque anni.] (comma abrogato dall'Allegato 4, articolo 4, del decreto legislativo n. 104 del 2010)<br /></div><div align="justify">Art. 29 (Ambito di applicazione della legge)<br />(articolo così sostituito dall'articolo 19 della legge n. 15 del 2005)<br />Omissis...<br />2-bis. Attengono ai livelli essenziali delle prestazioni di cui all’articolo 117, secondo comma, lettera m), della Costituzione le disposizioni della presente legge concernenti gli obblighi per la pubblica amministrazione di garantire la partecipazione dell’interessato al procedimento, di individuarne un responsabile, di concluderlo entro il termine prefissato e di assicurare l’accesso alla documentazione amministrativa, nonché quelle relative alla durata massima dei procedimenti. </div><div align="justify"><br /> </div><div align="justify">Cfr. ora anche<br /><strong>Decreto Legislativo 2 luglio 2010 , n. 104 (Codice del Processo Amministrativo)<br /></strong></div><div align="justify">Art. 30 (Azione di condanna )<br />1. L'azione di condanna puo' essere proposta contestualmente ad altra azione o, nei soli casi di giurisdizione esclusiva e nei casi di cui al presente articolo, anche in via autonoma.<br />2. Puo' essere chiesta la condanna al risarcimento del danno ingiusto derivante dall'illegittimo esercizio dell'attivita' amministrativa o dal mancato esercizio di quella obbligatoria. Nei casi di giurisdizione esclusiva puo' altresi' essere chiesto il risarcimento del danno da lesione di diritti soggettivi. Sussistendo i presupposti previsti dall'articolo 2058 del codice civile, puo' essere chiesto il risarcimento del danno in forma specifica.<br />3. La domanda di risarcimento per lesione di interessi legittimi e' proposta entro il termine di decadenza di centoventi giorni decorrente dal giorno in cui il fatto si e' verificato ovvero dalla conoscenza del provvedimento se il danno deriva direttamente da questo. Nel determinare il risarcimento il giudice valuta tutte le circostanze di fatto e il comportamento complessivo delle parti e, comunque, esclude il risarcimento dei danni che si sarebbero potuti evitare usando l'ordinaria diligenza, anche attraverso l'esperimento degli strumenti di tutela previsti.<br />4. Per il risarcimento dell'eventuale danno che il ricorrente comprovi di aver subito in conseguenza dell'inosservanza dolosa o colposa del termine di conclusione del procedimento, il termine di cui al comma 3 non decorre fintanto che perdura l'inadempimento. Il termine di cui al comma 3 inizia comunque a decorrere dopo un anno dalla scadenza del termine per provvedere.<br />5. Nel caso in cui sia stata proposta azione di annullamento la domanda risarcitoria puo' essere formulata nel corso del giudizio o, comunque, sino a centoventi giorni dal passaggio in giudicato della relativa sentenza.<br />6. Di ogni domanda di condanna al risarcimento di danni per lesioni di interessi legittimi o, nelle materie di giurisdizione esclusiva, di diritti soggettivi conosce esclusivamente il giudice amministrativo.</div><div align="justify"><br /><strong>Massime estratte dalla decisione<br /></strong>1. Va riconosciuto il risarcimento dei danni derivanti dal colpevole ritardo nell'emanazione del provvedimento amministrativo favorevole. Nella specie il permesso di costruire in variante è stato rilasciato dopo oltre due anni dalla domanda e tale danno va ritenuto sussistente a decorrere dalla data in cui l’istruttoria sulla relativa domanda era completa, non potendosi giustificare il ritardo con le richieste istruttorie inviate dal Comune alla Soprintendenza dopo che quest’ultima aveva espresso il proprio parere favorevole (non sindacabile dal Comune) e tenuto conto peraltro che il rilascio del permesso di costruire in variante è intervenuto solo dopo la presentazione da parte del richiedente di un ricorso avverso il silenzio ai sensi dell’allora vigente art. 21-bis della L. Tar (ciò che conferma come nessun elemento ostativo sussisteva per il rilascio del provvedimento, avvenuto solo dopo la presentazione del ricorso e con due anni di ritardo).<br />2. Nei casi in cui il ritardo procedimentale ha determinato un ritardo nell'attribuzione del c.d. “bene della vita” la giurisprudenza è pacifica nell’ammettere il risarcimento del danno da ritardo (a condizione ovviamente che tale danno sussista e venga provato) e l’intervenuto art. 2-bis, comma 1, della legge n. 241/90, introdotto dalla legge n. 69/2009, conferma e rafforza la tutela risarcitoria del privato nei confronti dei ritardi delle p.a., stabilendo che le pubbliche amministrazioni e i soggetti equiparati sono tenuti al risarcimento del danno ingiusto cagionato in conseguenza dell’inosservanza dolosa o colposa del termine di conclusione del procedimento.<br />3. La norma dell'art. 2-bis, comma 1, della legge n. 241/90, introdotto dalla legge n. 69/2009 presuppone che anche il tempo è un bene della vita per il cittadino e la giurisprudenza ha riconosciuto che il ritardo nella conclusione di un qualunque procedimento, è sempre un costo, dal momento che il fattore tempo costituisce una essenziale variabile nella predisposizione e nell’attuazione di piani finanziari relativi a qualsiasi intervento, condizionandone la relativa convenienza economica (Cons. Giust. Amm. reg. Sic., 4 novembre 2010 n. 1368, che, traendo argomenti dal citato art. 2-bis, ha aggiunto che il danno sussisterebbe anche se il procedimento autorizzatorio non si fosse ancora concluso e finanche se l’esito fosse stato in ipotesi negativo).<br />4. Per ogni ipotesi di responsabilità della p.a. per i danni causati per l’illegittimo esercizio (o, come nel caso di specie, mancato esercizio) dell’attività amministrativa, spetta al ricorrente fornire in modo rigoroso la prova dell'esistenza del danno, non potendosi invocare il c.d. principio acquisitivo perché tale principio attiene allo svolgimento dell'istruttoria e non all'allegazione dei fatti; se anche può ammettersi il ricorso alle presunzioni semplici ex art. 2729 c.c. per fornire la prova del danno subito e della sua entità, è comunque ineludibile l'obbligo di allegare circostanze di fatto precise e quando il soggetto onerato della allegazione e della prova dei fatti non vi adempie non può darsi ingresso alla valutazione equitativa del danno ex art. 1226 c.c., perché tale norma presuppone l'impossibilità di provare l'ammontare preciso del pregiudizio subito, nè può essere invocata una consulenza tecnica d’ufficio, diretta a supplire al mancato assolvimento dell’onere probatorio da parte del privato<br />5. L'onere probatorio, come ha precisato la giurisprudenza del consiglio di Stato (Cons. Stato, V, 13 giugno 2008 n. 2967 e VI, 12 marzo 2004, n. 1261), può ritenersi assolto allorché il ricorrente indichi, a fronte di un danno certo nella sua verificazione, taluni criteri di quantificazione dello stesso, salvo il potere del giudice di vagliarne la condivisibilità attraverso l'apporto tecnico del consulente o, comunque, quando il ricorrente fornisca un principio di prova della sussistenza e quantificazione del danno (nel caso di specie l'onere probatorio era stato almeno in parte assolto avendo il ricorrente depositato in primo grado una serie di elementi probatori diretti a dimostrare la sussistenza del danno e il rapporto di causalità come relazione sul valore complessivo dell’immobile, bilanci di esercizio attestanti le perdite subite e perizia di parte circa il danno biologico subito a causa del protrarsi del ritardo dell’azione amministrativa).<br />6. In sede di determinazione del danno derivante dal ritardato rilascio di un permesso di costruire può farsi riferimento: a) agli interessi legali sulle somme che il ricorrente avrebbe ricavato dalla compravendita, se effettuata tempestivamente; b) agli interessi e spese per un finanziamento contratto presso un istituto bancario e che non sarebbe stato contratto o sarebbe stato subito estinto in caso di insussistenza del ritardo; c) all’importo dell’ICI, che il ricorrente ha continuato a pagare; d) alle spese sostenute nella causa promossa da un promittente compratore proprio per il ritardo nella stipula del contratto definitivo e per una riduzione del prezzo.<br />7. In sede di determinazione del risarcimento del danno da ritardo nell'emanazione del provvedimento favorevole può essere liquidato anche il danno biologico, il quale costituisce quell’aspetto del danno non patrimoniale che afferisce all’integrità fisica della persona, qualora sussista un nesso di causalità tra la patologia riscontrata ed il ritardo, benché fondato su valutazioni in parte probabilistiche. La quantificazione di tale danno va effettuata in via equitativa, tenendo anche conto della situazione psico-fisica del soggetto, della sua età e dei criteri di cui all’art. 139 del d.lgs. n. 209/2005.<br /></div><div align="justify"><strong>Precedenti rilevanti<br /></strong>Sul giudice competente a decidere una azione di risarcimento del danno promossa per il colpevole ritardo del Comune nel rilascio di una concessione edilizia, cfr. Corte di Cassazione, Sezioni Unite, 31 marzo 2005)<br />In merito al costo del ritardo nella conclusione del procedimento cfr. Cons. Giust. Amm. reg. Sic., 4 novembre 2010 n. 1368, che, traendo argomenti dal citato art. 2-bis, ha aggiunto che il danno sussisterebbe anche se il procedimento autorizzatorio non si fosse ancora concluso e finanche se l’esito fosse stato in ipotesi negativo.<br />In merito all'onere probatorio cfr. Cons. Stato,. V, 13 giugno 2008 n. 2967 e VI, 12 marzo 2004, n. 1261, secondo cui la consulenza tecnica, pur disposta d'ufficio, non è certo destinata ad esonerare la parte dalla prova dei fatti dalla stessa dedotti e posti a base delle proprie richieste, fatti che devono essere dimostrati dalla medesima parte alla stregua dei criteri di ripartizione dell'onere della prova posti dall'art. 2697 c.c., ma ha la funzione di fornire all'attività valutativa del giudice l'apporto di cognizioni tecniche non possedute.<br />Sulla risarcibilità del danno non patrimoniale oltre i casi espressamente previsti dalla legge Cass. Sez. Unite, n. 26972, 26973, 26974 e 26975 dell’11 novembre 2008.</div>Massimo Contihttp://www.blogger.com/profile/00309411404827751864noreply@blogger.com0tag:blogger.com,1999:blog-8988206448054796447.post-76806719486776382852010-11-16T08:23:00.001-08:002010-11-16T08:25:07.800-08:00<div align="JUSTIFY" style="margin-bottom: 0.5cm;"><span style="font-size: medium;"><b><a href="http://giurisprudenza-amministrativa.blogspot.com/2010/11/corte-di-giustizia-sez-iii-30-settembre.html">Corte di Giustizia, sez. III, 30 settembre 2010, proc. C-314/09</a></b></span></div><div align="JUSTIFY" style="margin-bottom: 0cm;"><span style="font-size: medium;"><b>La questione sottoposta alla Corte di Giustizia</b></span></div><div align="JUSTIFY" style="margin-bottom: 0cm;"><span style="font-size: medium;">La domanda di pronuncia pregiudiziale proposta alla Corte verte sull’interpretazione degli artt. 1, n. 1, e 2, nn. 1, lett. c), e 7, della direttiva 89/665/CEE relativa all’applicazione delle procedure di ricorso in materia di aggiudicazione degli appalti pubblici di forniture e di lavori, come modificata dalla direttiva del Consiglio 18 giugno 1992, 92/50/CEE.</span></div><div align="JUSTIFY" style="margin-bottom: 0cm;"><br />
</div><div align="JUSTIFY" style="margin-bottom: 0cm;"><span style="font-size: medium;">Il giudice del rinvio austriaco ha sottoposto alla Corte la seguente questione: se la direttiva in oggetto osti ad una disciplina nazionale che subordini il diritto al risarcimento del danno, per violazioni della normativa comunitaria sugli appalti pubblici commesse dalla stazione appaltante, all’esistenza di un comportamento colpevole.</span></div><div align="JUSTIFY" style="margin-bottom: 0cm;"><br />
</div><div align="JUSTIFY" style="margin-bottom: 0cm;"><br />
</div><div align="JUSTIFY" style="margin-bottom: 0cm;"><span style="font-size: medium;"><b>Principio di diritto espresso dalla Corte di Giustizia</b></span></div><div align="JUSTIFY" style="margin-bottom: 0cm;"><span style="font-size: medium;"><b>La direttiva del Consiglio 21 dicembre 1989, 89/665/CEE</b>, che coordina le disposizioni legislative, regolamentari e amministrative relative all’applicazione delle procedure di ricorso in materia di aggiudicazione degli appalti pubblici di forniture e di lavori, come modificata dalla direttiva del Consiglio 18 giugno 1992, 92/50/CEE, <b>deve essere interpretata nel senso che essa osta ad una normativa nazionale, la quale subordini il diritto ad ottenere un risarcimento a motivo di una violazione della disciplina sugli appalti pubblici da parte di un’amministrazione aggiudicatrice al carattere colpevole di tale violazione</b>, anche nel caso in cui l’applicazione della normativa in questione sia incentrata su una presunzione di colpevolezza in capo all’amministrazione suddetta, nonché sull’impossibilità per quest’ultima di far valere la mancanza di proprie capacità individuali e, dunque, un difetto di imputabilità soggettiva della violazione lamentata.</span></div><div align="JUSTIFY" style="margin-bottom: 0cm;"><br />
</div><div align="JUSTIFY" style="margin-bottom: 0cm;"><span style="font-size: medium;"><b>Giurisprudenza rilevante</b></span></div><div align="JUSTIFY" style="font-weight: normal; margin-bottom: 0cm;"><span style="font-size: medium;">Il TAR LOMBARDIA - BRESCIA, SEZ. II - sentenza 4 novembre 2010 n. 4552, in applicazione del principio di diritto espresso dalla Corte di Giustizia, si è così recentemente espresso: Alla luce della giurisprudenza comunitaria ed in particolare della recente sentenza della Corte di Giustizia CE, sez. III, 30 settembre 2010 (causa C-314/2009), deve ritenersi che il requisito della colpa della P.A., necessario per il risarcimento del danno derivante da lesione di interessi legittimi, sia destinato a perdere consistenza, non potendosi in particolare subordinare la concessione di un risarcimento al riconoscimento del carattere colpevole della violazione della normativa sugli appalti pubblici commessa dall’Amministrazione aggiudicatrice.</span></div>Anonymoushttp://www.blogger.com/profile/07368369773792917576noreply@blogger.com0tag:blogger.com,1999:blog-8988206448054796447.post-67720572328961159812010-11-16T03:04:00.000-08:002010-11-16T03:04:46.280-08:00<div align="JUSTIFY" style="margin-bottom: 0.5cm;"><span style="font-size: medium;"><b><a href="http://giurisprudenza-amministrativa.blogspot.com/2010/11/corte-costituzionale-8-ottobre-2010-n.html">Corte Costituzionale, 8 ottobre 2010, n. 293</a></b></span></div><div align="JUSTIFY" style="margin-bottom: 0cm;"><span class="Apple-style-span" style="font-size: large;"><b>Fatto</b></span></div><div align="JUSTIFY" style="margin-bottom: 0cm;"><span style="font-size: medium;">Il Tribunale amministrativo regionale per la Campania, con tre ordinanze di identico tenore, pronunciate in altrettanti giudizi, ha sollevato, in riferimento agli articoli 3, 24, 42, 76, 97, 113 e 117, primo comma, della Costituzione, questione di legittimità costituzionale dell’articolo 43 del decreto del Presidente della Repubblica 8 giugno 2001, n. 327 (Testo unico delle disposizioni legislative e regolamentari in materia di espropriazione per pubblica utilità).</span></div><div align="JUSTIFY" style="margin-bottom: 0cm;"><span style="font-size: medium;">Nei casi relativi alle prime due ordinanze, gli atti espropriativi erano stati annullati dal giudice amministrativo e, in seguito alla richiesta di restituzione, la pubblica amministrazione aveva applicato il secondo comma dell'art. 43 del T.U. degli espropri. Nel caso della terza ordinanza, invece, il giudice ordinario aveva ritenuto la natura usurpativa dell'espropriazione e ordinato la restituzione dell'immobile. Di nuovo, la pubblica amministrazione aveva applicato l'istituto dell'acquisizione sanante di cui al citato secondo comma dell'art. 43 T.U. degli espropri.</span></div><div align="JUSTIFY" style="margin-bottom: 0cm;"><br />
</div><div align="JUSTIFY" style="margin-bottom: 0cm;"><span style="font-size: medium;"><b>Contenuto</b></span></div><div align="JUSTIFY" style="margin-bottom: 0cm;"><span style="font-size: medium;">La Corte Costituzionale dichiara illegittimità costituzionale dell'articolo 43 del decreto del Presidente della Repubblica 8 giugno 2001, n. 327, per violazione dell'art. 76 della Costituzione. La norma censurata è contenuta nel testo unico, in materia di espropriazioni, redatto in attuazione della legge n. 50 del 1999, che aveva previsto un generale strumento permanente di semplificazione e di delegificazione. La legge-delega aveva conferito, sul punto, al legislatore delegato il potere di provvedere ad un coordinamento formale relativo a disposizioni vigenti; l'istituto previsto e disciplinato dalla norma impugnata, viceversa, è connotato da numerosi aspetti di novità. Il citato art. 43, infatti, ha anzitutto introdotto la possibilità per l'amministrazione e per chi utilizza il bene di chiedere al giudice amministrativo, in ogni caso e senza limiti di tempo, la condanna al risarcimento in luogo della restituzione. Peraltro, esso estende tale disciplina anche alle servitù, rispetto alle quali la giurisprudenza aveva escluso l'applicabilità della c.d. occupazione appropriativa, trattandosi di fattispecie non applicabile all'acquisto di un diritto reale in re aliena, in quanto difetta la non emendabile trasformazione del suolo in una componente essenziale dell'opera pubblica. Infine, la norma censurata differisce il prodursi dell'effetto traslativo al momento dell'atto di acquisizione.</span></div><div align="JUSTIFY" style="margin-bottom: 0cm;"><br />
</div><div align="JUSTIFY" style="margin-bottom: 0cm;"><span style="font-size: medium;"><b>Riferimenti normativi</b></span></div><div align="JUSTIFY" style="margin-bottom: 0cm;"><span style="font-size: medium;"><b>DECRETO DEL PRESIDENTE DELLA REPUBBLICA 8 giugno 2001, n. 327</b> (in Suppl. ordinario n. 211 alla Gazz. Uff., 16 agosto, n. 189). - Testo unico delle disposizioni legislative e regolamentari in materia di espropriazione per pubblica utilità. (Testo A)(T.U. ESPROPRIAZIONE PER PUBBLICA UTILITA'). (1)</span></div><div align="JUSTIFY" style="margin-bottom: 0cm;"><span style="font-size: medium;">(1) Il termine di entrata in vigore del presente decreto è, da ultimo, prorogato al 30 giugno 2003, dall'art. 3, d.l. 20 giugno 2002, n. 122, conv., con modificazioni, in l. 1° agosto 2002, n. 185.</span></div><div align="JUSTIFY" style="margin-bottom: 0cm;"><span style="font-size: medium;">ARTICOLO 43</span></div><div align="JUSTIFY" style="margin-bottom: 0cm;"><span style="font-size: medium;">(L) Utilizzazione senza titolo di un bene per scopi di interesse pubblico</span></div><div align="JUSTIFY" style="margin-bottom: 0cm;"><span style="font-size: medium;">1. Valutati gli interessi in conflitto, l'autorità che utilizza un bene immobile per scopi di interesse pubblico, modificato in assenza del valido ed efficace provvedimento di esproprio o dichiarativo della pubblica utilità, può disporre che esso vada acquisito al suo patrimonio indisponibile e che al proprietario vadano risarciti i danni. (L)</span></div><div align="JUSTIFY" style="margin-bottom: 0cm;"><span style="font-size: medium;">2. L'atto di acquisizione:</span></div><div align="JUSTIFY" style="margin-bottom: 0cm;"><span style="font-size: medium;">a) può essere emanato anche quando sia stato annullato l'atto da cui sia sorto il vincolo preordinato all'esproprio, l'atto che abbia dichiarato la pubblica utilità di un'opera o il decreto di esproprio;</span></div><div align="JUSTIFY" style="margin-bottom: 0cm;"><span style="font-size: medium;">b) dà atto delle circostanze che hanno condotto alla indebita utilizzazione dell'area, indicando, ove risulti, la data dalla quale essa si è verificata;</span></div><div align="JUSTIFY" style="margin-bottom: 0cm;"><span style="font-size: medium;">c) determina la misura del risarcimento del danno e ne dispone il pagamento, entro il termine di trenta giorni, senza pregiudizio per l'eventuale azione già proposta;</span></div><div align="JUSTIFY" style="margin-bottom: 0cm;"><span style="font-size: medium;">d) è notificato al proprietario nelle forme degli atti processuali civili;</span></div><div align="JUSTIFY" style="margin-bottom: 0cm;"><span style="font-size: medium;">e) comporta il passaggio del diritto di proprietà;</span></div><div align="JUSTIFY" style="margin-bottom: 0cm;"><span style="font-size: medium;">f) è trascritto senza indugio presso l'ufficio dei registri immobiliari;</span></div><div align="JUSTIFY" style="margin-bottom: 0cm;"><span style="font-size: medium;">g) è trasmesso all'ufficio istituito ai sensi dell'articolo 14, comma 2 (1). (L)</span></div><div align="JUSTIFY" style="margin-bottom: 0cm;"><span style="font-size: medium;">3. Qualora sia impugnato uno dei provvedimenti indicati nei commi 1 e 2 ovvero sia esercitata una azione volta alla restituzione di un bene utilizzato per scopi di interesse pubblico, l'amministrazione che ne ha interesse o chi utilizza il bene può chiedere che il giudice amministrativo, nel caso di fondatezza del ricorso o della domanda, disponga la condanna al risarcimento del danno, con esclusione della restituzione del bene senza limiti di tempo. (L)</span></div><div align="JUSTIFY" style="margin-bottom: 0cm;"><span style="font-size: medium;">4. Qualora il giudice amministrativo abbia escluso la restituzione del bene senza limiti di tempo ed abbia disposto la condanna al risarcimento del danno, l'autorità che ha disposto l'occupazione dell'area emana l'atto di acquisizione, dando atto dell'avvenuto risarcimento del danno. Il decreto è trascritto nei registri immobiliari, a cura e spese della medesima autorità. (L)</span></div><div align="JUSTIFY" style="margin-bottom: 0cm;"><span style="font-size: medium;">5. Le disposizioni di cui ai precedenti commi si applicano, in quanto compatibili, anche quando un terreno sia stato utilizzato per finalità di edilizia residenziale pubblica, agevolata e convenzionata nonché quando sia imposta una servitù di diritto privato o di diritto pubblico ed il bene continui ad essere utilizzato dal proprietario o dal titolare di un altro diritto reale. (L)</span></div><div align="JUSTIFY" style="margin-bottom: 0cm;"><span style="font-size: medium;">6. Salvi i casi in cui la legge disponga altrimenti, nei casi previsti nei precedenti commi il risarcimento del danno è determinato:</span></div><div align="JUSTIFY" style="margin-bottom: 0cm;"><span style="font-size: medium;">a) nella misura corrispondente al valore del bene utilizzato per scopi di pubblica utilità e, se l'occupazione riguarda un terreno edificabile, sulla base delle disposizioni dell'articolo 37, commi 3, 4, 5, 6 e 7;</span></div><div align="JUSTIFY" style="margin-bottom: 0cm;"><span style="font-size: medium;">b) col computo degli interessi moratori, a decorrere dal giorno in cui il terreno sia stato occupato senza titolo. (L)</span></div><div align="JUSTIFY" style="margin-bottom: 0cm;"><span style="font-size: medium;">6-bis. Ai sensi dell' articolo 3 della legge 1 agosto 2002, n. 166 , l'autorità espropriante può procedere, ai sensi dei commi precedenti, disponendo, con oneri di esproprio a carico dei soggetti beneficiari, l'eventuale acquisizione del diritto di servitù al patrimonio di soggetti, privati o pubblici, titolari di concessioni, autorizzazioni o licenze o che svolgono, anche in base alla legge, servizi di interesse pubblico nei settori dei trasporti, telecomunicazioni, acqua, energia. (L) (2) (3)</span></div><div align="JUSTIFY" style="margin-bottom: 0cm;"><span style="font-size: medium;">(1) [Così rettificato in Gazz. Uff., 14 settembre 2001, n. 214.]</span></div><div align="JUSTIFY" style="margin-bottom: 0cm;"><span style="font-size: medium;">(2) Comma aggiunto dall'articolo 1 del D.LGS. del 27 dicembre 2002, n. 302 .</span></div><div align="JUSTIFY" style="margin-bottom: 0cm;"><span style="font-size: medium;">(3) La Corte Costituzionale, con sentenza 8 ottobre 2010, n. 293 (in Gazz. Uff., 13 ottobre, n. 41), ha dichiarato l'illegittimita' costituzionale del presente articolo.</span></div>Anonymoushttp://www.blogger.com/profile/07368369773792917576noreply@blogger.com0tag:blogger.com,1999:blog-8988206448054796447.post-90819787739143719142010-06-22T02:59:00.000-07:002010-06-22T03:01:31.677-07:00<div style="text-align: justify;"><b><a href="http://giurisprudenza-amministrativa.blogspot.com/2010/06/corte-di-cassazione-ssuu-8-febbraio.html">Corte di Cassazione, SS.UU., 8 febbraio 2010, n. 2715</a></b></div><div style="text-align: justify;"><br /></div><div style="text-align: justify;"><b>Il Caso</b></div><div style="text-align: justify;">Un’USL propose opposizione avverso il decreto con il quale le era stato ingiunto il pagamento in favore di una clinica di una somma di danaro costituente il corrispettivo di prestazioni sanitarie eseguite in favore della USL stessa.</div><div style="text-align: justify;">Il Tribunale accolse l'opposizione e revocò il decreto ingiuntivo. La sentenza fu impugnata dalla sola clinica e la Corte d'appello, d'ufficio, dichiarò il proprio difetto di giurisdizione.</div><div style="text-align: justify;"><br /></div><div style="text-align: justify;"><b>Massime estratte dalla decisione</b></div><div style="text-align: justify;">1. L’art. 37 c.p.c. deve essere così interpretato: a) il difetto di giurisdizione può essere eccepito dalle parti anche dopo la scadenza del termine previsto dall'art. 38 cod. proc. civ. (non oltre la prima udienza di trattazione), fino a quando la causa non sia stata decisa nel merito in primo grado; b) la sentenza di primo grado di merito può sempre essere impugnata per difetto di giurisdizione; c) le sentenze di appello sono impugnabili per difetto di giurisdizione soltanto se sul punto non si sia formato il giudicato esplicito o implicito, operando la relativa preclusione anche per il giudice di legittimità; d) il giudice può rilevare anche d'ufficio il difetto di giurisdizione fino a quando sul punto non si sia formato il giudicato esplicito o implicito.</div><div style="text-align: justify;">2. il giudicato implicito sulla giurisdizione può formarsi tutte le volte che la causa sia stata decisa nel merito, con esclusione per le sole decisioni che non contengano statuizioni che implicano l'affermazione della giurisdizione, come nel caso in cui l'unico tema dibattuto sia stato quello relativo all'ammissibilità della domanda o quando dalla motivazione della sentenza risulti che l'evidenza di una soluzione abbia assorbito ogni altra valutazione (ad es., per manifesta infondatezza della pretesa) ed abbia indotto il giudice a decidere il merito per saltum, non rispettando la progressione logica stabilita dal legislatore per la trattazione delle questioni di rito rispetto a quelle di merito.</div><div style="text-align: justify;"><br /></div><div style="text-align: justify;"><b>Norme rilevanti</b></div><div style="text-align: justify;">Codice di procedura civile</div><div style="text-align: justify;">Art. 37 (Difetto di giurisdizione) Il difetto di giurisdizione del giudice ordinario nei confronti della pubblica amministrazione o dei giudici speciali e' rilevato, anche d'ufficio, in qualunque stato e grado del processo. Il difetto di giurisdizione del giudice italiano nei confronti dello straniero e' rilevato dal giudice d'ufficio in qualunque stato e grado del processo relativamente alle cause che hanno per oggetto beni immobili situati all'estero; in ogni altro caso e' rilevato egualmente d'ufficio dal giudice se il convenuto e' contumace e puo' essere rilevato soltanto dal convenuto costituito che non abbia accettato espressamente o tacitamente la giurisdizione italiana (1). (1) Comma abrogato dall'art. 73, L. 31 maggio 1995, n. 218.</div><div style="text-align: justify;">Art. 38 (Incompetenza) L'incompetenza per materia, quella per valore e quella per territorio nei casi previsti dall'articolo 28 sono rilevate, anche d'ufficio, non oltre la prima udienza di trattazione. L'incompetenza per territorio, fuori dei casi previsti dall'articolo 28, e' eccepita a pena di decadenza nella comparsa di risposta. L'eccezione si ha per non proposta se non contiene l'indicazione del giudice che la parte ritiene competente. Quando le parti costituite aderiscono a tale indicazione, la competenza del giudice rimane ferma se la causa e' riassunta entro tre mesi dalla cancellazione dal ruolo. Le questioni di cui ai commi precedenti sono decise, ai soli fini della competenza, in base a quello che risulta dagli atti e, quando sia reso necessario dall'eccezione del convenuto o dal rilievo del giudice, assunte sommarie informazioni. N.B.: Articolo cosi' sostituito dall'art. 4, L. 26 novembre 1990, n. 353.</div><div style="text-align: justify;"><br /></div><div style="text-align: justify;"><br /></div><div style="text-align: justify;">L’art. 9 dello schema di decreto legislativo n. 212, recante riordino del processo amministrativo (Parere ai sensi dell'articolo 44 della legge 18 giugno 2009, n. 69), trasmesso alla Presidenza della Camera dei deputati il 30 aprile 2010, in merito al difetto di giurisdizione, recependo l’indirizzo giurisprudenziale sopra riportato, dispone:</div><div style="text-align: justify;">“Il difetto di giurisdizione è rilevato in primo grado anche d’ufficio. Nei giudizi di impugnazione è rilevato se dedotto con specifico motivo avverso il capo della pronuncia impugnata che, in modo implicito o esplicito, ha statuito sulla giurisdizione”.</div><div style="text-align: justify;"><br /></div><div style="text-align: justify;"><br /></div><div style="text-align: justify;"><br /></div><div style="text-align: justify;"><b>Giurisprudenza rilevante</b></div><div style="text-align: justify;">L’interpretazione dell’art. 37 c.p.c., secondo la massima sopra riportata è conforme ad un indirizzo consolidato a partire dalla seguente decisione:</div><div style="text-align: justify;">L'interpretazione dell'art. 37 c.p.c., secondo cui il difetto di giurisdizione "è rilevato, anche d'ufficio, in qualunque stato e grado del processo", deve tenere conto dei principi di economia processuale e di ragionevole durata del processo ("asse portante della nuova lettura della norma"), della progressiva forte assimilazione delle questioni di giurisdizione a quelle di competenza e dell'affievolirsi dell'idea di giurisdizione intesa come espressione della sovranità statale, essendo essa un servizio reso alla collettività con effettività e tempestività, per la realizzazione del diritto della parte ad avere una valida decisione nel merito in tempi ragionevoli. All'esito della nuova interpretazione della predetta disposizione, volta a delinearne l'ambito applicativo in senso restrittivo e residuale, ne consegue che: 1) il difetto di giurisdizione può essere eccepito dalle parti anche dopo la scadenza del termine previsto dall'art. 38 c.p.c. (non oltre la prima udienza di trattazione), fino a quando la causa non sia stata decisa nel merito in primo grado; 2) la sentenza di primo grado di merito può sempre essere impugnata per difetto di giurisdizione; 3) le sentenze di appello sono impugnabili per difetto di giurisdizione soltanto se sul punto non si sia formato il giudicato esplicito o implicito, operando la relativa preclusione anche per il giudice di legittimità; 4) il giudice può rilevare anche d'ufficio il difetto di giurisdizione fino a quando sul punto non si sia formato il giudicato esplicito o implicito. In particolare, il giudicato implicito sulla giurisdizione può formarsi tutte le volte che la causa sia stata decisa nel merito, con esclusione per le sole decisioni che non contengano statuizioni che implicano l'affermazione della giurisdizione, come nel caso in cui l'unico tema dibattuto sia stato quello relativo all'ammissibilità della domanda o quando dalla motivazione della sentenza risulti che l'evidenza di una soluzione abbia assorbito ogni altra valutazione (ad es., per manifesta infondatezza della pretesa) ed abbia indotto il giudice a decidere il merito "per saltum", non rispettando la progressione logica stabilita dal legislatore per la trattazione delle questioni di rito rispetto a quelle di merito. (Nella specie, le Sezioni Unite hanno giudicato inammissibile l'eccezione di difetto di giurisdizione sollevata per la prima volta in sede di legittimità dalla parte che, soccombente nel merito in primo grado, aveva appellato la sentenza del giudice tributario senza formulare alcuna eccezione sulla giurisdizione, così ponendo in essere un comportamento incompatibile con la volontà di eccepire il difetto di giurisdizione e prestando acquiescenza al capo implicito sulla giurisdizione della sentenza di primo grado, ai sensi dell'art. 329, comma 2, c.p.c.). (Cassazione civile , sez. un., 09 ottobre 2008, n. 24883).</div><div style="text-align: justify;"><br /></div><div style="text-align: justify;">Sul giudicato implicito, si richiamano le seguenti decisioni: Consiglio di Stato, IV, 28 settembre 2009, n. 5840, Cassazione, SS.UU., 1° luglio 2009, n. 15387, Cassazione, SS.UU., 24 luglio 2009, n. 17349. </div><div style="text-align: justify;">Si segnala, infine, la seguente decisione che esclude il formarsi del giudicato implicito quando il giudice ha deciso il merito “per saltum”: </div><div style="text-align: justify;">Il giudicato implicito sulla giurisdizione non si forma se l'unico tema dibattuto nel giudizio è stato quello relativo all'ammissibilità della domanda o se l'evidenza di una soluzione ha assorbito ogni altra valutazione (ad es., per manifesta infondatezza della pretesa) ed ha indotto il giudice a decidere il merito "per saltum", non rispettando la progressione logica stabilita dal legislatore per la trattazione delle questioni di rito rispetto a quelle di merito. (Cassazione civile, sez. un., 18 dicembre 2008, n. 29523).</div><div><br /></div><div><br /></div>Anonymoushttp://www.blogger.com/profile/07368369773792917576noreply@blogger.com0tag:blogger.com,1999:blog-8988206448054796447.post-9794526239396445902010-06-16T07:02:00.000-07:002010-06-16T07:04:15.054-07:00<div style="text-align: justify;"><b><a href="http://giurisprudenza-amministrativa.blogspot.com/2010/06/tar-piemonte-sez-ii-10-giugno-2010-n.html">TAR Piemonte, Sez. II, 10 giugno 2010, n. 2750</a></b></div><div style="text-align: justify;"><br /></div><div style="text-align: justify;"><b>Il Caso</b></div><div style="text-align: justify;">Un’azienda esercente un’attività di trasporto pubblico di persone promuove un ricorso al T.A.R. Piemonte per ottenere l’accertamento del diritto a ricevere una somma di denaro a titolo di compensazione degli oneri economici sostenuti per l’adempimento degli obblighi di servizio pubblico non sufficientemente remunerativi e imposti dalla sottoscrizione di numerosi contratti di servizio. A tale scopo viene eccepita la nullità degli articoli dei contratti di servizio stipulati nel corso degli anni, per contrarietà a norme imperative comunitarie.</div><div style="text-align: justify;"><br /></div><div style="text-align: justify;"><b>Norme rilevanti</b></div><div style="text-align: justify;">LEGGE 7 agosto 1990, n. 241 (in Gazz. Uff., 18 agosto, n. 192). - Nuove norme in materia di procedimento amministrativo e di diritto di accesso ai documenti amministrativi</div><div style="text-align: justify;">Art. 21-octies</div><div style="text-align: justify;">Annullabilità del provvedimento (1) </div><div style="text-align: justify;">1. E' annullabile il provvedimento amministrativo adottato in violazione di legge o viziato da eccesso di potere o da incompetenza. </div><div style="text-align: justify;">2. Non è annullabile il provvedimento adottato in violazione di norme sul procedimento o sulla forma degli atti qualora, per la natura vincolata del provvedimento, sia palese che il suo contenuto dispositivo non avrebbe potuto essere diverso da quello in concreto adottato. Il provvedimento amministrativo non è comunque annullabile per mancata comunicazione dell'avvio del procedimento qualora l'amministrazione dimostri in giudizio che il contenuto del provvedimento non avrebbe potuto essere diverso da quello in concreto adottato. </div><div style="text-align: justify;">(1) Articolo inserito dall'articolo 14, comma 1, della legge 11 febbraio 2005, n. 15. </div><div style="text-align: justify;"><br /></div><div style="text-align: justify;"><br /></div><div style="text-align: justify;">Accordi integrativi o sostitutivi del provvedimento (1) </div><div style="text-align: justify;">Art. 11. </div><div style="text-align: justify;">1. In accoglimento di osservazioni e proposte presentate a norma dell'articolo 10, l'amministrazione procedente può concludere, senza pregiudizio dei diritti dei terzi, e in ogni caso nel perseguimento del pubblico interesse, accordi con gli interessati al fine di determinare il contenuto discrezionale del provvedimento finale ovvero in sostituzione di questo (2) . </div><div style="text-align: justify;">…omissis…</div><div style="text-align: justify;">2. Gli accordi di cui al presente articolo debbono essere stipulati, a pena di nullità, per atto scritto, salvo che la legge disponga altrimenti. Ad essi si applicano, ove non diversamente previsto, i princìpi del codice civile in materia di obbligazioni e contratti in quanto compatibili. </div><div style="text-align: justify;">3. Gli accordi sostitutivi di provvedimenti sono soggetti ai medesimi controlli previsti per questi ultimi. </div><div style="text-align: justify;">…omissis…</div><div style="text-align: justify;">5. Le controversie in materia di formazione, conclusione ed esecuzione degli accordi di cui al presente articolo sono riservate alla giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo. </div><div style="text-align: justify;">(1) Rubrica apposta dall'articolo 21 della legge 11 febbraio 2005, n. 15. </div><div style="text-align: justify;">(2) Comma modificato dall'articolo 7 della legge 11 febbraio 2005, n. 15. </div><div style="text-align: justify;"><br /></div><div style="text-align: justify;"><br /></div><div style="text-align: justify;">Art. 1418 c..c.</div><div style="text-align: justify;">Cause di nullità del contratto.</div><div style="text-align: justify;">[I]. Il contratto è nullo quando è contrario a norme imperative, salvo che la legge disponga diversamente [2126, 23322 ].</div><div style="text-align: justify;">[II]. Producono nullità del contratto la mancanza di uno dei requisiti indicati dall'articolo 1325, l'illiceità della causa [1343], la illiceità dei motivi nel caso indicato dall'articolo 1345 e la mancanza nell'oggetto dei requisiti stabiliti dall'articolo 1346.</div><div style="text-align: justify;">[III]. Il contratto è altresì nullo negli altri casi stabiliti dalla legge [160, 162, 458, 778, 779, 7852 , 788, 794, 1354, 1471, 14722 , 1895, 1904, 1972, 21032 , 2115, 2265, 2332, 2379, 2744].</div><div style="text-align: justify;"><br /></div><div style="text-align: justify;">Art. 1339 c.c.</div><div style="text-align: justify;">Inserzione automatica di clausole. </div><div style="text-align: justify;">[I]. Le clausole, i prezzi di beni o di servizi, imposti dalla legge [o da norme corporative] (1), sono di diritto inseriti nel contratto, anche in sostituzione delle clausole difformi apposte dalle parti [14192 , 16794 , 18152 , 19322 , 20662 , 20772 , 2597].</div><div style="text-align: justify;">(1) Le disposizioni richiamanti le norme corporative devono ritenersi abrogate in seguito alla soppressione dell'ordinamento corporativo.</div><div style="text-align: justify;"><br /></div><div style="text-align: justify;"><br /></div><div style="text-align: justify;"><b>Massime estratte dalla decisione</b></div><div style="text-align: justify;">1. – I “contratti” di servizio sono da ascrivere alla categoria degli accordi ex art. 11 l. 241 del 1990, nella species degli accordi necessari; sono espressione di funzione amministrativa (regolazione dei servizi pubblici, nel caso di specie, con il compito di fornire alla collettività servizi di trasporto conformi a norme di continuità, regolarità, qualità e capacità, a determinate condizioni e tariffe, nonché servizi complementari e adeguamenti dei servizi alle reali esigenze); rientrano a pieno titolo nella giurisdizione esclusiva del G.A. a norma dell’art. 11 richiamato.</div><div style="text-align: justify;">2. – Il contratto di servizio pubblico è un rapporto mediante il quale l’Ente pubblico affida al gestore lo svolgimento di determinati servizi pubblici, con contestuale ed eventuale trasferimento di pubbliche funzioni, nonché di beni pubblici strumentali allo svolgimento del servizio affidato e con l’individuazione di specifici obblighi standard di servizio pubblico.</div><div style="text-align: justify;">3. – L’esercizio consensuale di una potestà pubblicistica e la correlativa composizione di interessi che rilevano nel rapporto amministrativo non possono essere oggetto di un contratto di diritto privato ma di un accordo sostitutivo.</div><div style="text-align: justify;">4. – La nullità dell’atto consensuale, nella specie, l’accordo o, meglio, il “contratto di servizio” per violazione di norma imperativa può essere fatto valere soltanto tramite l’azione di annullamento ex artt. 21-octies l. 241 del 1990 e 26 r.d. 1054 del 1924. Con l’ovvia conseguenza che non potrà applicarsi il regime di cui all’art. 1339 c.c., relativamente alla sostituzione di clausole e prezzi imposti, norma che postula la nullità per violazione di norma imperativa e che, come visto, per gli atti dei pubblici poteri non può applicarsi, essendo un predicato tipico degli atti genuinamente privati.</div><div style="text-align: justify;">5. – Nei casi in cui il concessionario del servizio di trasporto pubblico contesti l’incompatibilità delle misure di aiuto con il regolamento CEE n. 1191/69, è tenuto a chiedere l’annullamento dell’accordo per violazione di legge.</div><div style="text-align: justify;"><br /></div><div style="text-align: justify;"><br /></div><div style="text-align: justify;"><b>Precedenti rilevanti</b></div><div style="text-align: justify;">Il provvedimento amministrativo può considerarsi assolutamente nullo o inesistente solo nelle ipotesi in cui esso sia espressamente qualificato tale dalla legge oppure manchi dei connotati essenziali dell'atto amministrativo, necessario "ex lege" a costituirlo, quali possono essere la radicale carenza di potere da parte dell'autorità procedente, ovvero il difetto della forma, della volontà, dell'oggetto o del destinatario, mentre non può parlarsi di inesistenza dell'atto allorché si discuta unicamente dei vizi del procedimento che lo ha preceduto. Le violazioni, per quanto gravi, di norme imperative, quali sono di regola tutte quelle attinenti allo svolgimento di poteri pubblici, od anche di attribuzioni di competenza disciplinate direttamente dalla Costituzione, danno luogo a semplice invalidità degli atti amministrativi, che deve essere fatta valere dall'interessato nel prescritto termine di decadenza, in quanto la radicale nullità dell'atto, a meno che non sia espressamente ed inequivocabilmente disposta dalla norma primaria, ricorre soltanto quando l'atto costituisca manifestazione di poteri spettanti ad organi che operino in settori del tutto diversi, ovvero sia destinato a spiegare efficacia al di fuori dell'area fisica su cui insiste l'Ente territoriale di cui tali organi facciano parte. (Consiglio Stato , sez. IV, 27 ottobre 2005, n. 6023).</div><div><br /></div><div><br /></div>Anonymoushttp://www.blogger.com/profile/07368369773792917576noreply@blogger.com0tag:blogger.com,1999:blog-8988206448054796447.post-31962569214948292332010-06-11T05:39:00.000-07:002010-06-11T05:47:20.908-07:00<div style="text-align: justify;"><b><a href="http://giurisprudenza-amministrativa.blogspot.com/2010/06/corte-di-cassazione-ssuu-ordinanza-13.html">Corte di Cassazione, SS.UU., ordinanza 13 giugno 2006 n. 13659</a></b></div><div style="text-align: justify;"><br /></div><div style="text-align: justify;"><b>Premessa</b></div><div style="text-align: justify;">Non vi sono molte pronunce o contributi dottrinali in materia di riparto di giurisdizione per i danni provocati da funzionari pubblici nell’emanazione di provvedimenti amministrativi.</div><div style="text-align: justify;"><span class="Apple-tab-span" style="white-space:pre"> </span>L’ordinanza della Suprema Corte 13 giugno 2006 n. 13659 costituisce uno dei pochi e più recenti esempi.</div><div><br /></div><div style="text-align: justify;"><span class="Apple-tab-span" style="white-space:pre"> </span>Il problema di maggior rilievo è costituito dal rapporto tra la giurisdizione ordinaria in materia di responsabilità ex art. 28 Cost. e quella del giudice amministrativo. L’emanazione del provvedimento da cui scaturisce il danno determina, infatti, una serie di possibilità tutela davanti a diverse giurisdizioni: impugnazione del provvedimento, azione per danni nei confronti della p.a. o del funzionario pubblico.</div><div style="text-align: justify;"><br /></div><div style="text-align: justify;"><br /></div><div style="text-align: justify;"><img src="http://2.bp.blogspot.com/_a38cRHc-cLk/TBIv_gr7rDI/AAAAAAAAAAc/buSuVwx0Bg4/s400/giurisdizione.jpg" style="cursor:pointer; cursor:hand;width: 400px; height: 288px;" border="0" alt="" id="BLOGGER_PHOTO_ID_5481496464615779378" /></div><div style="text-align: justify;"><br /></div><div style="text-align: justify;"><br /></div><div style="text-align: justify;"><b>Il Caso</b></div><div style="text-align: justify;">Un privato conviene in giudizio davanti al giudice ordinario un’Università ed un professore, per ottenere il risarciemento dei danni cagionatigli dall’illegittima esclusione da un corso di dottorato di ricerca.</div><div style="text-align: justify;">Le parti convenute eccepirono il difetto di giurisdizione.</div><div style="text-align: justify;">L’attore, quindi, propose regolamento di giurisdizione.</div><div style="text-align: justify;"><br /></div><div style="text-align: justify;"><b>Massime estratte dalla decisione</b></div><div style="text-align: justify;">1. Deve essere riconosciuta la giurisdizione ordinaria per una azione di risarcimento dei danni nei confronti di un funzionario pubblico, essendo a tal fine irrilevante stabilire se il funzionario abbia agito quale organo dell’Ente pubblico, o, a causa del perseguimento di finalità private, si sia verificata la c.d. "frattura" del rapporto organico. In entrambi i casi, l’azione risarcitoria è proposta nei confronti del funzionario quale soggetto privato, distinto dall’amministrazione, con la quale, al più, può risultare solidalmente obbligato.</div><div style="text-align: justify;">2. [Al termine di un lungo excursus, la Corte sintetizza] i principi di diritto enunciati da queste Sezioni Unite:</div><div style="text-align: justify;">1) la giurisdizione del giudice amministrativo sussiste in presenza di un concreto esercizio del potere, riconoscibile per tale in base al procedimento svolto ed alle forme adottate, in consonanza con le norme che lo regolano;</div><div style="text-align: justify;">2) spetta al giudice amministrativo disporre le diverse forme di tutela che l'ordinamento appresta per le situazioni soggettive sacrificate dall'esercizio illegittimo del potere e tra queste forme di tutela rientra il risarcimento del danno;</div><div style="text-align: justify;">3) Il giudice amministrativo rifiuta di esercitare la giurisdizione e la sua decisione, a norma dell'art. 362 c.p.c., comma 1, si presta a cassazione da parte delle sezioni (unite quale giudice del riparto della giurisdizione, se l'esame del merito della domanda autonoma di risarcimento del danno è rifiutato per la ragione che nel termine per ciò stabilito non sono stati chiesti l'annullamento dell'atto e la conseguente rimozione dei suoi effetti.</div><div style="text-align: justify;">3. la giurisdizione è inderogabile per ragioni di connessione (salva diversa, specifica, previsione normativa) e …il coordinamento tra le giurisdizioni su rapporti diversi ma interdipendenti può trovare soluzione secondo le regole della sospensione del procedimento pregiudicato (Cass. S.U. 3508/2003).</div><div style="text-align: justify;"><br /></div><div style="text-align: justify;"><b>Precedenti giurisprudenziali</b></div><div style="text-align: justify;">Poiché intercorrente solo tra privati, rientra nella giurisdizione del giudice ordinario - e non sussiste il difetto assoluto di giurisdizione - nella controversia promossa da un insegnante nei confronti del preside di una scuola pubblica, per conseguire il risarcimento dei danni patiti per il mancato conferimento (in contrasto con l'ordine di graduatoria) di una supplenza. Tale pretesa - peraltro - è, nel merito, infondata poiché non costituisce causa di danno risarcibile, a norma degli art. 22 e 23 d.P.R. 10 gennaio 1957 n. 3, la condotta dell'impiegato pubblico che abbia provocato la lesione di un interesse legittimo, vantato dal terzo nei confronti della p.a. (Cassazione civile, sez. un., 18 marzo 1992, n. 3357)</div><div style="text-align: justify;"><br /></div>Anonymoushttp://www.blogger.com/profile/07368369773792917576noreply@blogger.com0tag:blogger.com,1999:blog-8988206448054796447.post-77377713477404655432010-02-16T08:07:00.000-08:002010-02-16T08:09:20.278-08:00<div style="text-align: justify;"><b>CORTE DI CASSAZIONE - SEZIONI UNITE - Ordinanza 10 febbraio 2010 n. 2906</b></div><div style="text-align: justify;"><br /></div><div style="text-align: justify;"><b>Il Caso</b></div><div style="text-align: justify;">Una società impugnava gli atti di una gara indetta da un comune per la gestione dei servizi per la costruzione di una struttura socio-assistenziale. La società chiedeva nello stesso ricorso il risarcimento del danno in forma specifica o, in subordine, per equivalente. Il Tar adito concesse la sospensione cautelare degli effetti dei provvedimenti impugnati. Nel frattempo, la società controinteressata aveva introdotto il regolamento di giurisdizione sostenendo che la cognizione della controversia non spettava al giudice amministrativo che, in ogni caso, non avrebbe potuto pronunciarsi sulla validità del contratto.</div><div style="text-align: justify;">Il Tar, ritenendo non manifestamente inammissibile o infondato il regolamento di giurisdizione, sospese il giudizio sulle domande di annullamento, declaratoria di nullità e/o inefficacia del contratto di appalto e sulle domande di risarcimento in forma specifica e per equivalente.</div><div style="text-align: justify;">La Cassazione, infine, si è pronunciata sulla giurisdizione esprimendo le seguenti massime.</div><div style="text-align: justify;"><br /></div><div style="text-align: justify;"><b>Massime estratte dalla decisione</b></div><div style="text-align: justify;">1. L’esigenza della cognizione del giudice amministrativo sulla domanda di annullamento dell’affidamento dell’appalto, per le illegittime modalità con cui si è svolto il relativo procedimento e della valutazione dei vizi di illegittimità del provvedimento di aggiudicazione di un appalto pubblico, comporta che lo stesso giudice adito per l’annullamento degli atti di gara, che abbia deciso su tale prima domanda, può conoscere pure della domanda del contraente pretermesso dal contratto illecitamente, di essere reintegrato nella sua posizione, con la privazione di effetti del contratto eventualmente stipulato dall’aggiudicante con il concorrente alla gara scelto in modo illegittimo.</div><div style="text-align: justify;"><br /></div><div style="text-align: justify;">2. La posizione soggettiva del ricorrente, che ha chiesto il risarcimento in forma specifica delle posizioni soggettive a base delle sue domande di annullamento dell’aggiudicazione e di caducazione del contratto concluso dall’aggiudicatario, è da trattare unitariamente dal giudice amministrativo in sede di giurisdizione esclusiva ai sensi della Direttiva CE n. 66/2007, che riconosce il rilievo peculiare in tal senso alla connessione tra le due indicate domande, che pertanto vanno decise di regola da un solo giudice.</div><div style="text-align: justify;">Tale soluzione è ormai ineludibile in quanto la tutela delle due posizioni soggettive connessa all’annullamento dell’aggiudicazione e alla caducazione del contratto rientra nella cognizione al giudice amministrativo in via di giurisdizione esclusiva e possa essere effettiva solo attraverso la perdita di efficacia dei contratti conclusi dall’aggiudicante con l’aggiudicatario prima o dopo l’annullamento degli atti di gara. Resta fermo, in ogni caso, il potere del giudice amministrativo di preferire, motivatamente e in relazione agli interessi generali e pubblici oggetto di controversia, un’eventuale reintegrazione per equivalente, se richiesta dal ricorrente in via subordinata.</div><div style="text-align: justify;"><br /></div><div style="text-align: justify;"><b>Precedenti giurisprudenziali</b></div><div style="text-align: justify;">In senso opposto alla decisione massimata, prima dell’entrata in vigore della Direttiva CE n. 66/2007 si segnalano:</div><div style="text-align: justify;">-Cassazione, ss.uu., 18 luglio 2008, n. 19805;</div><div style="text-align: justify;">-Cassazione, ss.uu., 28 dicembre 2007, n. 27169;</div><div style="text-align: justify;">-Cassazione, ss.uu., ordinanza 13 marzo 2009, n. 6068;</div><div style="text-align: justify;">-Consiglio di Stato, A.P., 30 luglio 2008, n. 9;</div><div style="text-align: justify;">-Consiglio di Stato, V, 19 maggio 2009, n. 3070</div>Anonymoushttp://www.blogger.com/profile/07368369773792917576noreply@blogger.com0tag:blogger.com,1999:blog-8988206448054796447.post-84997778891280658022010-01-26T01:58:00.000-08:002010-01-26T02:03:50.526-08:00<div align="justify"><strong><a href="http://giurisprudenza-amministrativa.blogspot.com/2010/01/repubblica-italiana-in-nome-del-popolo.html">T.A.R. Campania, Napoli, I, 11 gennaio 2010, n. 51</a></strong></div><div align="justify"><br /><strong>Il Caso</strong><br />Una società veniva dichiarata aggiudicataria provvisoria di una procedura aperta indetta per l’affidamento del servizio triennale di pulizia dei locali della casa comunale e della ex Pretura, gara da aggiudicarsi con il criterio del massimo ribasso.<br />Avviata la fase di verifica del possesso dei requisiti la stazione appaltante comunicava alla società aggiudicataria che dagli accertamenti eseguiti erano emerse violazioni di natura fiscale, oltre ad una condizione di irregolarità nel versamento dei contributi – emergente dal d.u.r.c. alla data di svolgimento della gara, risultando tale inadempimento sanato solo con pagamenti successivi.<br />La società rendeva giustificazioni sulla situazione contestata, evidenziando l’insussistenza di debiti tributari e rappresentando di avere eseguito i propri versamenti contributivi; faceva altresì presente di non essere mai venuta a conoscenza delle cause del mancato pagamento all’INPS, confermando comunque di aver pagato nello stesso giorno in cui aveva ricevuto apposito sollecito da parte dell’ente previdenziale.<br />Mentre la condizione di irregolarità tributaria risultava superata, per la situazione contributiva la stazione appaltante acquisiva un nuovo d.u.r.c. che confermava l’irregolarità dei versamenti.<br />Il dirigente del settore, sulla scorta dei dati emergenti dai due d.u.r.c. riteneva sussistenti i presupposti per la revoca dell’aggiudicazione provvisoria per mancanza del requisito di cui al’art. 38, primo comma lettera i) del d.lgs. 12 aprile 2006 n. 163; e disponeva con lo stesso provvedimento l’incameramento della cauzione provvisoria e la segnalazione all’Autorità di Vigilanza.<br />Avverso il provvedimento di revoca e contro la nota di comunicazione la società proponeva ricorso al T.A.R. Campania.</div><div align="justify"><br /><strong>Massime estratte dalla decisione</strong><br />La verifica della regolarità contributiva delle imprese partecipanti alla procedura di gara, nell’ambito della valutazione ex art. 38 D.Lgs. 12 aprile 2006, n. 163, requisiti di ordine generale di partecipazione alla gara di appalto, costituisce oggetto di autonoma valutazione da parte della stazione appaltante, rispetto alla quale le risultanze del documento unico di regolarità contributiva si pongono come elementi indiziari, da cui non può prescindersi, ma che comunque non esauriscono l’ambito di accertamento circa la sussistenza di una violazione "grave".</div><div align="justify"><br /><strong>Precedenti giurisprudenziali</strong><br />Consiglio di Stato V Sezione, 23 marzo 2009 n. 1755: "nell'ambito dei requisiti di ordine generale di partecipazione alla gara d'appalto, l'art. 38 del d.lgs. 12 aprile 2006 n. 163 prevede ipotesi per le quali la situazione ostativa, per essere tale, deve avere carattere di gravità, in materia di sicurezza del lavoro (lett. e), negligenza e malafede nell'esecuzione delle prestazioni (lett. f), irregolarità contributiva (lett. i) ed altre ipotesi per le quali il requisito della gravità non è richiesto, e, tra le quali, la irregolarità fiscale di cui alla lett. g); pertanto, il Legislatore ha inteso attribuire all'Amministrazione il potere di valutare l'entità dell'infrazione, ai fini della sussistenza del requisito di affidabilità, soltanto nelle ipotesi caratterizzate dalla gravità, mentre nelle altre la sussistenza dell'infrazione è di per sé sufficiente ad impedire la partecipazione alla procedura".<br />Consiglio Stato , sez. VI, 04 agosto 2009, n. 4907: "Se il bando richiede genericamente una dichiarazione di insussistenza delle cause di esclusione ex art. 38 del codice degli appalti, esso giustifica una valutazione di gravità/non gravità compiuta dal concorrente, che quindi non può essere escluso per il solo fatto dell’omissione formale, cioè di non aver dichiarato tutte le condanne penali o tutte le violazioni contributive. Lo stesso andrà escluso, pertanto, solo nel caso in cui la stazione appaltante ritenga che le condanne o le violazioni contributive siano gravi e definitivamente accertate e la dichiarazione del concorrente, in tale caso, non può essere ritenuta falsa. Diverso discorso deve essere fatto quando il bando sia più preciso, e non si limiti a chiedere una generica dichiarazione di insussistenza delle cause di esclusione di cui all’art. 38, codice, ma specifichi che vanno dichiarate tutte le condanne penali, o tutte le violazioni contributive: in tal caso, il bando esige una dichiarazione dal contenuto più ampio e più puntuale rispetto a quanto prescritto dall’art. 38 codice, all’evidente fine di riservare alla stazione appaltante la valutazione di gravità o meno dell’illecito, al fine dell’esclusione. Al di fuori dei casi espressamente previsti, la possibilità di incamerare la cauzione provvisoria discende direttamente dall’art. 75, comma 6, d.lg. n. 163/2006. tenuto conto che detta cauzione copre "la mancata sottoscrizione del contratto per fatto dell’affidatario"; il fatto dell’affidatario è qualunque ostacolo alla stipulazione a lui riconducibile, dunque non solo il rifiuto di stipulare o il difetto di requisiti speciali, ma anche il difetto di requisiti generali".</div><div align="justify"><br /><strong>Norme rilevanti</strong><br />DECRETO LEGISLATIVO 12 aprile 2006 n.163 (in Suppl. ordinario n. 107 alla Gazz.Uff., 2 maggio, n. 100). - Codice dei contratti pubblici relativi a lavori, servizi e forniture in attuazione delle direttive 2004/17/CE e 2004/18/CE (1) (2).<br />Art. 38 (Requisiti di ordine generale)<br />1. Sono esclusi dalla partecipazione alle procedure di affidamento delle concessioni e degli appalti di lavori, forniture e servizi, nè possono essere affidatari di subappalti, e non possono stipulare i relativi contratti i soggetti:<br />(…)<br />i) che hanno commesso violazioni gravi, definitivamente accertate, alle norme in materia di contributi previdenziali e assistenziali, secondo la legislazione italiana o dello Stato in cui sono stabiliti;<br />(…)</div>Anonymoushttp://www.blogger.com/profile/07368369773792917576noreply@blogger.com0tag:blogger.com,1999:blog-8988206448054796447.post-78040104554759713362009-11-02T07:02:00.000-08:002009-11-02T07:10:40.665-08:00<div align="justify"><strong>Rimborso delle spese legali agli amministratori degli enti locali</strong><br /><br />La questione della rimborsabilità delle spese legali sostenute da un amministratore degli enti locali in un giudizio penale o civile in conseguenza di fatti ed atti direttamente connessi all'esercizio e a causa della funzione pubblica ricoperta, conclusosi con una sentenza di assoluzione piena, non ha, al contrario del semplice dipendente, una specifica normativa.<br />Ciò ha creato vari filoni interpretativi che ancora oggi non sembrano aver trovato una soluzione univoca.<br />Una parte della giurisprudenza è dell'avviso che le disposizioni contrattuali previste per i dipendenti degli enti locali possano analogicamente estendersi agli amministratori (cfr. ad esempio Cass. Civ., Sez. I, 3 gennaio 2001 n. 54; Cons. Stato, Sez. V, 17 luglio 2001 n. 3946 e da ultimo Corte dei Conti, sez. giur., Regione Lazio, 13 luglio 2009 n. 1356). Tale tesi troverebbe un'ulteriore conferma dall'esistenza di specifiche disposizioni di carattere primario per i dipendenti statali (art. 18 della L. 23 maggio 1997 n. 135).<br />La conseguenza, in mancanza ovviamente di un conflitto di interessi con l'amministrazione, sarebbe l'esistenza di un diritto soggettivo al rimborso in capo all'amministratore.<br />Diversamente altra parte della giurisprudenza non ritiene analogicamente applicabile agli amministratori locali la normativa, per di più contrattuale, prevista per i dipendenti locali, in quanto relativa a soggetti collegati all'amministrazione da un rapporto di subordinazione e non da un incarico onorario (cfr. Cass. Civ., Sez. I, 23 aprile 2002 n. 5914 e addirittura Corte Cost., 16 giugno 2000 n. 197).<br />Rilevato, per completezza, che alcune isolate pronunce di merito ritengono applicabile per analogia la normativa prevista dal D.L. 23 ottobre 1996 n. 543 (convertito con L. 20 dicembre 1996 n. 639) in merito alle spese sostenute dall'amministratore pubblico in un procedimento dinnanzi alla Corte dei Conti, la soluzione della vexata quaestio potrebbe rinvenirsi nell'applicazione analogica della disciplina civilistica del mandato ed in particolare, per quanto concerne specificatamente il rimborso delle spese legali, dall'art. 1720 c.c. (cfr. Cons. Stato, Sez. V, 14 aprile 2000 n. 2242; Cons. Stato, sez. III, parere 16 marzo 2004 n. 792; T.A.R. Piemonte Torino, sez. II, 30 gennaio 2007, n. 480; Cassazione civile, sez. un., 13 gennaio 2006, n. 478; Cassazione civile, sez. I, 16 aprile 2008, n. 10052).<br />Al di là delle decisioni del Tar Piemonte e delle Sezioni Unite della Cassazione testé citate e che si riferiscono esclusivamente a questioni di giurisdizione (infatti dall'applicabilità della disciplina del mandato, trattandosi di questione di diritto soggettivo, discende la giurisdizione del Giudice Ordinario), le due altre sentenze fanno tuttavia discendere come conseguenza dell'applicazione della disciplina civilistica, la non rimborsabilità delle spese legali, nemmeno in caso di proscioglimento dell'amministratore con formula assolutoria piena.<br />Le predette decisioni del Consiglio di Stato (n. 2242/2002) e della Cassazione (n. 10052/2008) si fondano sul fatto che secondo la giurisprudenza civile, ai sensi dell'art. 1720 c.c., al mandatario spetterebbe il rimborso soltanto delle spese sostenute in stretta dipendenza, ossia a causa, dell'adempimento dei propri obblighi, e non in occasione di esso. E il caso delle spese legali inerenti un procedimento penale a carico del mandatario-amministratore per reati correlati alle funzioni pubbliche rientrerebbe proprio in quelle fattispecie in cui il rapporto con il mandato sarebbe di mera connessione e non di stretta causalità. Infatti, sempre secondo tale tesi, il nesso di causalità diretta con l'esecuzione del mandato sarebbe interrotto, spezzato da un elemento intermedio dovuto all'attività di una terza persona, pubblica o privata, e dato dall'accusa rivelatasi poi infondata (nello stesso senso anche Corte di Appello di Milano, se. I, 24 febbraio 2006 n. 484).<br />A nostro avviso le conclusioni cui giunge tale giurisprudenza, seppur autorevole, non paiono del tutto giuridicamente corrette. Occorre osservare, infatti, che se il procedimento penale riguarda reati originatisi a causa dell'incarico ricoperto e quindi strettamente connessi alle funzioni pubbliche esercitate (come ad es. l'abuso d'ufficio) non può sostenersi che manchi un rapporto di causalità diretta con l'espletamento delle funzioni, nemmeno tentando di recuperare una interruzione dello stesso nell'attività di un terza persona che originerebbe l'accusa infondata. In altre parole quest'ultimo elemento non mi pare sufficiente a spezzare il legame causale con l'incarico ricoperto dall'amministratore dell'ente.<br />Inoltre, tale tesi pare contraddire l'opinione prevalente secondo la quale le diverse disposizioni che consentono, con varie modalità, l'assunzione da parte dell'amministrazione delle spese di difesa sostenute dai dipendenti, costituiscono espressione di un principio generalissimo e fondamentale dell'ordinamento amministrativo desumibile proprio dalla disciplina civilistica del mandato e dal divieto di arricchimento senza giusta causa di cui all'art. 2041 c.c..<br />Riteniamo pertanto che l'amministratore dell'ente locale, imputato in un giudizio penale in conseguenza di fatti ed atti direttamente connessi all'esercizio e a causa della funzione pubblica ricoperta e conclusosi con una sentenza di assoluzione piena, abbia diritto al rimborso delle spese legali sostenute. Ciò, ovviamente, a condizione che manchi un qualsiasi conflitto di interessi con l'amministrazione, conflitto valutabile anche ex post, ossia alla conclusione del procedimento penale, come di recente affermato da Corte dei Conti, sez. giur., Regione Lazio, 13 luglio 2009 n. 1356,<br />Ciò, tuttavia, non significa che l'amministratore abbia diritto ad un integrale rimborso semplicemente dietro presentazione delle fatture debitamente vistate dall'Ordine Professionale e della prova dell'avvenuto pagamento all'Avvocato difensore.<br />Trattandosi infatti di denaro pubblico occorre considerare che tali erogazioni vanno contenute al massimo, anche per evitare facili ed ingiustificati abusi. Al riguardo, per identità di ratio, può ben essere applicabile come principio generale quanto affermato da Cassazione civile, sez. lav., 23 gennaio 2007, n. 1418, secondo la quale <em>“il dipendente, ingiustamente accusato di abuso d'ufficio, ha diritto al rimborso da parte della Amministrazione di appartenenza delle spese sopportate per la sua difesa, ma entro il limite di quanto strettamente necessario (trattandosi di erogazioni che gravano sulla finanza pubblica e devono quindi essere contenute al massimo)”</em>. E ciò <em>“secondo il parere di un organo tecnico altamente qualificato [l'Avvocatura dello Stato, n.d.r.] per valutare sia le necessità difensive del funzionario, in relazione alle accuse che gli vengono mosse ed ai rischi del giudizio penale, e sia la conformità della parcella presentata dal difensore alla tariffa professionale.”.</em><br />Riteniamo quindi, in definitiva, che un ente locale, per stabilire l'entità del rimborso, e magari previa informale richiesta, possa rivolgersi all'Avvocatura dello Stato che nell'ambito dei suoi generali poteri consultivi attivabili a richiesta delle singole amministrazioni ex art. 13 R.D. 30 ottobre 1933 n. 1611, dovrà fornire le sue valutazioni tecnico-discrezionali in merito alla congruità o meno delle spese legali oggetto della richiesta di rimborso.<br />È comunque evidente che in virtù dell'autorevole indirizzo giurisprudenziale, da noi allo stato non condiviso, che nega qualunque rimborso, l'amministrazione potrebbe anche “legittimamente” scegliere proprio questa strada.</div>Massimo Contihttp://www.blogger.com/profile/00309411404827751864noreply@blogger.com0tag:blogger.com,1999:blog-8988206448054796447.post-14338937302778847302009-09-17T08:21:00.000-07:002009-09-17T08:26:40.913-07:00<p align="justify"><strong><a href="http://giurisprudenza-amministrativa.blogspot.com/2009/09/consiglio-di-stato-sez-v-11-maggio-2009.html">Consiglio di Stato, sez. V, 11 maggio 2009, n. 2874 </a><br /><a href="http://giurisprudenza-amministrativa.blogspot.com/2009/09/consiglio-di-stato-sez-iv-12-marzo-2009.html">Consiglio di Stato, Sez. IV, 12 marzo 2009, n. 1458</a></strong><a href="http://giurisprudenza-amministrativa.blogspot.com/2009/09/consiglio-di-stato-sez-iv-12-marzo-2009.html"><br /></a><br /><br /><strong>Rilevanza del requisito della regolarità contributiva previdenziale ai fini della partecipazione alle gare di appalto</strong><br />Le due decisioni del Consiglio di Stato si occupano della rilevanza, ai fini delle gare appalto, del requisito della regolarità contributiva e previdenziale.<br /><br /><strong>Norme rilevanti</strong><br />Decreto legislativo 12 aprile 2006, n. 163 - Codice dei contratti pubblici relativi a lavori, servizi e forniture in attuazione delle direttive 2004/17/CE e 2004/18/CE - (G.U. n. 100 del 2 maggio 2006)<br /><br />Art. 38, primo e terzo comma - Requisiti di ordine generale (art. 45, dir. 2004/18; art. 75, d.P.R. n. 554/1999; art. 17, d.P.R. n. 34/2000)<br /><br />1. Sono esclusi dalla partecipazione alle procedure di affidamento delle concessioni e degli appalti di lavori, forniture e servizi, né possono essere affidatari di subappalti, e non possono stipulare i relativi contratti i soggetti:<br /><br />a) che si trovano in stato di fallimento, di liquidazione coatta, di concordato preventivo, o nei cui riguardi sia in corso un procedimento per la dichiarazione di una di tali situazioni;<br />b) nei cui confronti è pendente procedimento per l'applicazione di una delle misure di prevenzione di cui all'articolo 3 della legge 27 dicembre 1956, n. 1423 o di una delle cause ostative previste dall'articolo 10 della legge 31 maggio 1965, n. 575; l'esclusione e il divieto operano se la pendenza del procedimento riguarda il titolare o il direttore tecnico, se si tratta di impresa individuale; il socio o il direttore tecnico se si tratta di società in nome collettivo, i soci accomandatari o il direttore tecnico se si tratta di società in accomandita semplice, gli amministratori muniti di poteri di rappresentanza o il direttore tecnico, se si tratta di altro tipo di società;<br />c) nei cui confronti è stata pronunciata sentenza di condanna passata in giudicato, o emesso decreto penale di condanna divenuto irrevocabile, oppure sentenza di applicazione della pena su richiesta, ai sensi dell'articolo 444 del codice di procedura penale, per reati gravi in danno dello Stato o della Comunità che incidono sulla moralità professionale; è comunque causa di esclusione la condanna, con sentenza passata in giudicato, per uno o più reati di partecipazione a un'organizzazione criminale, corruzione, frode, riciclaggio, quali definiti dagli atti comunitari citati all'articolo 45, paragrafo 1, direttiva Ce 2004/18; l'esclusione e il divieto operano se la sentenza o il decreto sono stati emessi nei confronti: del titolare o del direttore tecnico se si tratta di impresa individuale; del socio o del direttore tecnico, se si tratta di società in nome collettivo; dei soci accomandatari o del direttore tecnico se si tratta di società in accomandita semplice; degli amministratori muniti di potere di rappresentanza o del direttore tecnico se si tratta di altro tipo di società o consorzio. In ogni caso l'esclusione e il divieto operano anche nei confronti dei soggetti cessati dalla carica nel triennio antecedente la data di pubblicazione del bando di gara, qualora l'impresa non dimostri di aver adottato atti o misure di completa dissociazione della condotta penalmente sanzionata; resta salva in ogni caso l'applicazione dell'articolo 178 del codice penale e dell'articolo 445, comma 2, del codice di procedura penale;<br />d) che hanno violato il divieto di intestazione fiduciaria posto all'articolo 17 della legge 19 marzo 1990, n. 55;<br />e) che hanno commesso gravi infrazioni debitamente accertate alle norme in materia di sicurezza e a ogni altro obbligo derivante dai rapporti di lavoro, risultanti dai dati in possesso dell'Osservatorio;<br />f) che, secondo motivata valutazione della stazione appaltante, hanno commesso grave negligenza o malafede nell'esecuzione delle prestazioni affidate dalla stazione appaltante che bandisce la gara; o che hanno commesso un errore grave nell'esercizio della loro attività professionale, accertato con qualsiasi mezzo di prova da parte della stazione appaltante;<br />g) che hanno commesso violazioni, definitivamente accertate, rispetto agli obblighi relativi al pagamento delle imposte e tasse, secondo la legislazione italiana o quella dello Stato in cui sono stabiliti;<br />h) che nell'anno antecedente la data di pubblicazione del bando di gara hanno reso false dichiarazioni in merito ai requisiti e alle condizioni rilevanti per la partecipazione alle procedure di gara e per l'affidamento dei subappalti, risultanti dai dati in possesso dell'Osservatorio;<br />(lettera così modificata dall'art. 2, comma 1, lett. h), d.lgs. n. 152 del 2008)<br />i) che hanno commesso violazioni gravi, definitivamente accertate, alle norme in materia di contributi previdenziali e assistenziali, secondo la legislazione italiana o dello Stato in cui sono stabiliti;<br />l) che non presentino la certificazione di cui all'articolo 17 della legge 12 marzo 1999, n. 68, salvo il disposto del comma 2;<br />m) nei cui confronti è stata applicata la sanzione interdittiva di cui all'articolo 9, comma 2, lettera c), del decreto legislativo dell'8 giugno 2001 n. 231 o altra sanzione che comporta il divieto di contrarre con la pubblica amministrazione compresi i provvedimenti interdittivi di cui all'articolo 36-bis, comma 1, del decreto-legge 4 luglio 2006, n. 223, convertito, con modificazioni, dalla legge 4 agosto 2006, n. 248;<br />(lettera così modificata dall'art. 3, comma 1, lettera e), d.lgs. n. 113 del 2007)<br />m-bis) nei cui confronti sia stata applicata la sospensione o la decadenza dell'attestazione SOA per aver prodotto falsa documentazione o dichiarazioni mendaci, risultanti dal casellario informatico.<br />(lettera aggiunta dall'art. 3, comma 1, lett. e), d.lgs. n. 113 del 2007, poi modificata dall'art. 2, comma 1, lett. h), d.lgs. n. 152 del 2008)<br />m-ter) di cui alla precedente lettera b) che, anche in assenza nei loro confronti di un procedimento per l’applicazione di una misura di prevenzione o di una causa ostativa ivi previste, pur essendo stati vittime dei reati previsti e puniti dagli articoli 317 e 629 del codice penale aggravati ai sensi dell’articolo 7 del decreto-legge 13 maggio 1991, n. 152, convertito, con modificazioni, dalla legge 12 luglio 1991, n. 203, non risultino aver denunciato i fatti all’autorità giudiziaria, salvo che ricorrano i casi previsti dall’articolo 4, primo comma, della legge 24 novembre 1981, n. 689. La circostanza di cui al primo periodo deve emergere dagli indizi a base della richiesta di rinvio a giudizio formulata nei confronti dell’imputato nei tre anni antecedenti alla pubblicazione del bando e deve essere comunicata, unitamente alle generalità del soggetto che ha omesso la predetta denuncia, dal procuratore della Repubblica procedente all’Autorità di cui all’articolo 6, la quale cura la pubblicazione della comunicazione sul sito dell’Osservatorio.<br />(lettera aggiunta dall'art. 2, comma 19, legge n. 94 del 2009)<br /><br />… omissis…<br /><br />3. Ai fini degli accertamenti relativi alle cause di esclusione di cui al presente articolo, si applica l'articolo 43 del d.P.R. 28 dicembre 2000, n. 445; resta fermo, per l'affidatario, l'obbligo di presentare la certificazione di regolarità contributiva di cui all'articolo 2, del decreto-legge 25 settembre 2002, n. 210, convertito dalla legge 22 novembre 2002, n. 266 e di cui all'articolo 3, comma 8, del decreto legislativo 14 agosto 1996, n. 494 (ora articolo 90, comma 9, del decreto legislativo n. 81 del 2008) e successive modificazioni e integrazioni. In sede di verifica delle dichiarazioni di cui ai commi 1 e 2 le stazioni appaltanti chiedono al competente ufficio del casellario giudiziale, relativamente ai candidati o ai concorrenti, i certificati del casellario giudiziale di cui all'articolo 21 del d.P.R. 14 novembre 2002, n. 313, oppure le visure di cui all'articolo 33, comma 1, del medesimo decreto n. 313 del 2002.<br /><br /><br />DECRETO-LEGGE 25 settembre 2002, n. 210 (in Gazz. Uff., 25 settembre, n. 225). - Decreto convertito in l. 22 novembre 2002, n. 266 (in Gazz. Uff. 23 novembre, n. 275). -- Disposizioni urgenti in materia di emersione del lavoro sommerso e di rapporti di lavoro a tempo parziale.<br />Art. 2, primo comma - Norme in materia di appalti pubblici<br />1. Le imprese che risultano affidatarie di un appalto pubblico sono tenute a presentare alla stazione appaltante la certificazione relativa alla regolarità contributiva a pena di revoca dell'affidamento.<br /><br /><br />Decreto 24 Ottobre 2007<br />Art. 8 (cause non ostative al rilascio del DURC)<br />1. Il DURC e' rilasciato anche qualora vi siano crediti iscritti a ruolo per i quali sia stata disposta la sospensione della cartella amministrativa a seguito di ricorso amministrativo o giudiziario.<br />2. Relativamente ai crediti non ancora iscritti a ruolo:<br />a) in pendenza di contenzioso amministrativo, la regolarita' puo' essere dichiarata sino alla decisione che respinge il ricorso;<br />b) in pendenza di contenzioso giudiziario, la regolarita' e' dichiarata sino al passaggio in giudicato della sentenza di condanna, salvo l'ipotesi in cui l'Autorita' giudiziaria abbia adottato un provvedimento esecutivo che consente l'iscrizione a ruolo delle somme oggetto del giudizio ai sensi dell'art. 24 del decreto legislativo 26 febbraio 1999, n. 46.<br />3. Ai soli fini della partecipazione a gare di appalto non osta al rilascio del DURC uno scostamento non grave tra le somme dovute e quelle versate, con riferimento a ciascun Istituto previdenziale ed a ciascuna Cassa edile. Non si considera grave lo scostamento inferiore o pari al 5% tra le somme dovute e quelle versate con riferimento a ciascun periodo di paga o di contribuzione o, comunque, uno scostamento inferiore ad Euro 100,00, fermo restando l'obbligo di versamento del predetto importo entro i trenta giorni successivi al rilascio del DURC.<br />4. Non costituisce causa ostativa al rilascio del DURC l'aver beneficiato degli aiuti di Stato specificati nel decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri emanato ai sensi dell'art. 1, comma 1223 della legge 27 dicembre 2006, n. 296, sebbene non ancora rimborsati o depositati in un conto bloccato.<br /><br /><br /><strong>Orientamenti in materia di irregolarità contributiva e partecipazione alla gara</strong><br />In materia di irregolarità contributiva, sulla base dell’interpretazione delle norme sopra riportate, possono essere individuati due diversi orientamenti. Il primo, più formalistico, è attualmente prevalente, considera la regolarità contributiva come condizione per la partecipazione alla gara, con obbligo di esclusione in caso di posizione debitoria, che giudica irrilevante qualsiasi sanatoria postuma. Il secondo, sostanzialistico, se da una parte considera essenziale la regolarità contributiva al fine della stipulazione del contratto, giudica ostative alla partecipazione alla gara solo le irregolarità gravi, definitivamente accertate, secondo valutazione discrezionale della stazione appaltante.<br /><br /><strong>Giurisprudenza rappresentativa dell’orientamento formalistico</strong><br />La regolarità contributiva e fiscale per la partecipazione alle selezione per l'aggiudicazione di un appalto pubblico è requisito indispensabile per la partecipazione alla gara; di conseguenza non può riconoscersi alcuna valenza alla regolarizzazione spontanea del relativo debito, intervenuta successivamente alla data di autodichiarazione di correttezza contributiva (T.A.R. Lazio Roma, sez. III, 05 marzo 2009, n. 2279).<br /><br /><br />In tema di appalti pubblici, la regolarità contributiva costituisce requisito sostanziale di partecipazione alla gara, per cui non può attribuirsi alcun effetto sanante alla domanda di dilazione e di rateizzazione del debito contributivo presentata dalla impresa, che trova il suo presupposto in uno stato di irregolarità contributiva (T.A.R. Bari Sez. I 02-10-2008 n. 2258).<br /><br /><br />La regolarità contributiva è requisito indispensabile non solo per la stipulazione del contratto, bensì per la stessa partecipazione alla gara, per cui l'impresa deve essere in regola con i relativi obblighi fin dalla presentazione della domanda e conservare tale regolarità per tutto lo svolgimento della procedura, essendo tale requisito indice rivelatore della correttezza dell'impresa nei rapporti con le proprie maestranze.<br />A seguito dell'entrata in vigore della disciplina sul certificato di regolarità contributiva, dettata dall'art. 2 D.L. 25 settembre 2002 n. 210, come modificato dalla L. di conversione 22 novembre 2002 n. 266 e dall'art. 3 comma 8 lett. b bis) D.L.vo 14 agosto 1996 n. 494 (lettera aggiunta dall'art. 86 comma 10 D.L.vo 10 settembre 2003 n. 276), la relativa verifica non è più di competenza della Stazione appaltante, essendo demandata agli Enti previdenziali le cui certificazioni non sono sindacabili dalle prime (T.A.R. Bologna Sez. I 22-07-2008 n. 3470 e Cons. Stato Sez. VI 18-03-2008 n. 1126).<br /><br /><br />La regolarità contributiva e fiscale delle imprese partecipanti alla gara per l’aggiudicazione di appalti con la p.a. deve essere presente al momento della offerta e deve essere assicurata pure in momenti successivi alla presentazione della domanda e dell’offerta e quindi certamente fino al momento della aggiudicazione, essendo palese la esigenza per la stazione appaltante di verificare l’affidabilità del soggetto partecipante alla gara fino alla conclusione della stessa (C. Stato, IV, 31 maggio 2007, n.2876).<br />E’ doverosa la esclusione dalla gara quante volte, come nella specie, la situazione di irregolarità sia conclamata, alla stregua della documentazione amministrativa in possesso dalla stazione appaltante, in uno stadio anteriore all’intervento della aggiudicazione; e tanto al fine di evitare la illogica aggiudicazione di una gara destinata ad essere oggetto di successiva ed obbligatoria autotutela alla stregua della normativa ora richiamata (Consiglio di Stato, VI; 29 ottobre 2004, n.7045) [Consiglio di Stato, Sez. IV, 12 marzo 2009, n. 1458]<br /><br /><br /><br /><br />Consiglio di Stato, sez. V, 11 maggio 2009, n. 2874<br />L’art. 2, comma 3, D.L. n. 210/2002 sanziona con la revoca dell’affidamento non l’irregolarita` contributiva, che comporta automaticamente l’esclusione dalla gara solo nel caso di violazioni ritenute gravi dalla stazione appaltante, bensı` l’omessa presentazione del certificato che attesta la posizione verso gli istituti previdenziali.<br />Una volta che l’amministrazione, a fronte di irregolarita` contributive, abbia instaurato un contraddittorio con la concorrente, non puo`, per il principio dell’affidamento, ignorare le difese prodotte.<br /><br /><br /><strong>Giurisprudenza rappresentativa dell’orientamento sostanzialistico<br /></strong>Nell'ambito dei requisiti di ordine generale di partecipazione alla gara d'appalto, l'art. 38 D.L.vo 12 aprile 2006 n. 163 prevede ipotesi per le quali la situazione ostativa, per essere tale, deve avere carattere di gravità, in materia di sicurezza del lavoro (lett. e), negligenza e malafede nell'esecuzione delle prestazioni (lett. f), irregolarità contributiva (lett. i) ed altre ipotesi per le quali il requisito della gravità non è richiesto, e, tra le quali, la irregolarità fiscale di cui alla lett. g); pertanto, il Legislatore ha inteso attribuire all'Amministrazione il potere di valutare l'entità dell'infrazione, ai fini della sussistenza del requisito di affidabilità, soltanto nelle ipotesi caratterizzate dalla gravità, mentre nelle altre la sussistenza dell'infrazione è di per sé sufficiente ad impedire la partecipazione alla procedura (Cons. Stato Sez. V 23-03-2009 n. 1755).<br /><br /><br />Posto che, in tema di appalti pubblici, la regolarità contributiva e fiscale deve essere assicurata pure in momento successivo alla presentazione della domanda e dell'offerta, restando ferma l'esigenza di verifica dell'affidabilità del soggetto partecipante fino alla conclusione della procedura, illegittimamente l'Amministrazione assume che, pur essendo consentiti ulteriori accertamenti fino alla conclusione del confronto competitivo, tali verifiche sarebbero rilevanti soltanto nel caso in cui valgano a dimostrare la irregolarità contributiva, con esclusione, invece, della valutabilità di elementi idonei a comprovare situazioni relative alla eliminazione di inadempienze sopravvenute, e comunque non conoscibili al momento della presentazione della domanda. (Nella specie, la sentenza richiama l'orientamento della Comunità europea, che ritiene ammissibile la regolarizzazione successiva purché prevista positivamente dalla normativa nazionale ed entro i termini dalla stessa stabiliti).<br />In tema di esclusione dalle gare per l'aggiudicazione di appalti pubblici, l'irregolarità contributiva deve essere grave e reiterata e consistere in una vera e propria violazione contributiva consistente e accertata, fermo restando che tale principio, valevole nella fase di ammissione alla selezione, può essere a maggior ragione validamente mutuato anche in sede di verifica della persistenza dei requisiti a seguito dell'aggiudicazione (T.A.R. Catanzaro Sez. II 29-07-2008 n. 1138).<br /><br /><br />Nelle controversie relative a procedure di affidamento di lavori, servizi o forniture da parte di soggetti tenuti al rispetto dei procedimenti di evidenza pubblica, oggetto di indagine del giudice è la mera regolarità della certificazione prodotta che attesta la regolarità contributiva dell'impresa partecipante alla gara di appalto. La regolarità contributiva costituisce requisito della normativa di settore ai fini dell'ammissione alla gara (Cass., Sez. Un., 11 dicembre 2007, n. 25818).<br />Sotto questo profilo, è pertanto ammissibile il sindacato giu-diziale del documento unico di regolarità contributiva (Durc), sotto il profilo della rispondenza di quanto ivi attestato ai requi-siti richiesti dalla legge e dalla lex specialis per l’aggiudicazione delle gare di pertinenza della p.a..<br />Nel disposto dell’art. 2, co. 1 del D.L. n. 210/2002, l’effetto automatico della revoca a carico dell’affidataria, sanzio-na, invero il fatto oggettivo dell’omessa presentazione alla sta-zione appaltante del certificato relativo alla regolarità contributi-va e non l’irregolarità contributiva in sé e per sé. L’automatismo consegue alla omessa presentazione e non al non essere in regola con i contributi. Circostanza quest’ultima che, in assenza di di-versa indicazione nella lex specialis, va valutata in relazione alla gravità dell’infrazione ad opera della stazione appaltante. (Consiglio di Stato, sez. V, 11 maggio 2009, n. 2874)<br /><br /><br /><strong>Il Parere dell’Autorità per la Vigilanza sui Contratti Pubblici Di Lavori, Servizi e Forniture<br /></strong>L’autorità per la vigilanza sui contratti pubblici, in data 8 novembre 2007, con il parere n. 102, ha affermato i seguenti principi:<br />- la regolarità contributiva è richiesta non solo come requisito indispensabile per la partecipazione alla gara, ma l’impresa deve conservare la correntezza per tutto lo svolgimento di essa nonché al momento della stipulazione del contratto, restando irrilevante un eventuale adempimento tardivo della relativa obbligazione;<br />- la mera esistenza di partite di debito nei confronti degli Enti previdenziali non comporta automaticamente l’irregolarità contributiva implicante esclusione dalla gara e/o revoca dell’eventuale aggiudicazione;<br />- infatti, tenuto conto che il citato articolo 38, comma 1, lettera i), richiede la sussistenza di “violazioni gravi”, la semplice menzione nel DURC dell’assenza della regolarità contributiva non può condurre di per sé all’esclusione dell’impresa risultata non in regola (anche perché il documento di che trattasi non specifica nulla a proposito della definitività dell’accertamento);<br />- Assume, pertanto, preminente rilevanza l’attività di verifica che l’amministrazione deve effettuare, anche in contraddittorio con l’impresa, per valutare sia la gravità dell’inadempimento, sia la definitività dell’accertamento.<br /></p>Anonymoushttp://www.blogger.com/profile/07368369773792917576noreply@blogger.com0tag:blogger.com,1999:blog-8988206448054796447.post-29524166623183770442009-09-15T08:05:00.000-07:002009-09-15T08:11:43.100-07:00<strong><a href="http://giurisprudenza-amministrativa.blogspot.com/2009/09/consiglio-di-stato-sez-v-19-maggio-2009.html">Consiglio di Stato, Sez. V, 19 maggio 2009, n. 3072<br /></a></strong><br /><div align="justify"><strong>Il caso</strong><strong><br /></strong>Un comune nega l’accoglimento di un’istanza di autorizzazione di apertura di un’agenzia di pompe funebri. Il diniego si fonda su una serie di atti amministrativi presupposti, non impugnati, con i quali è stato prescritto il rapporto di una agenzia di pompe funebri ogni 25.000 abitanti. Viene proposto ricorso avverso suddetto provvedimento, per contrasto con i principi costituzionali comunitari in materia di libera concorrenza, invocando la sua diretta disapplicazione. Il Tar Puglia ha dichiarato inammissibile il ricorso, per omessa impugnazione degli atti presupposti, e comunque lo ha respinto nel merito. La sentenza viene appellata. La questione fondamentale oggetto del giudizio è la violazione del diritto comunitario e le sue conseguenze sia dal punto di vista sostanziale (nullità o annullabilità del provvedimento) e processuale.</div><div align="justify"><br /><strong>Massime tratte dalla decisione</strong><br />la violazione del diritto comunitario implica un vizio di illegittimità – annullabilità dell’atto amministrativo con esso contrastante, mentre la nullità (o l’inesistenza) è configurabile nella sola ipotesi in cui il provvedimento nazionale sia stato adottato sulla base di una norma interna (attributiva del potere) incompatibile con il diritto comunitario (e quindi disapplicabile);<br />Logici corollari di tale ricostruzione sono: a) sul piano processuale, l’onere dell’impugnazione del provvedimento contrastante con il diritto comunitario dinanzi al giudice amministrativo entro il prescritto termine di decadenza, pena la sua inoppugnabilità; b) l’obbligo per l’amministrazione di applicare l’atto illegittimo salvo il ricorso ai poteri di autotutela.</div><div align="justify"><br /><strong>Norme rilevanti</strong></div><strong></strong><div align="justify"><br /><strong>Legge 7 agosto 1990, n. 241</strong> - Nuove norme sul procedimento amministrativo</div><div align="justify"><br />Art. 21-octies. (Annullabilità del provvedimento)<br />1. È annullabile il provvedimento amministrativo adottato in violazione di legge o viziato da eccesso di potere o da incompetenza.<br />2. Non è annullabile il provvedimento adottato in violazione di norme sul procedimento o sulla forma degli atti qualora, per la natura vincolata del provvedimento, sia palese che il suo contenuto dispositivo non avrebbe potuto essere diverso da quello in concreto adottato. Il provvedimento amministrativo non è comunque annullabile per mancata comunicazione dell'avvio del procedimento qualora l'amministrazione dimostri in giudizio che il contenuto del provvedimento non avrebbe potuto essere diverso da quello in concreto adottato.</div><div align="justify"><br />Art. 21-nonies. (Annullamento d'ufficio)<br />(si veda anche l'articolo 1, comma 136, della legge n. 311 del 2004)<br />1. Il provvedimento amministrativo illegittimo ai sensi dell'articolo 21-octies può essere annullato d'ufficio, sussistendone le ragioni di interesse pubblico, entro un termine ragionevole e tenendo conto degli interessi dei destinatari e dei controinteressati, dall'organo che lo ha emanato, ovvero da altro organo previsto dalla legge.<br />2. È fatta salva la possibilità di convalida del provvedimento annullabile, sussistendone le ragioni di interesse pubblico ed entro un termine ragionevole.<br /><br /><strong>Precedenti giurisprudenziali</strong><br />Il provvedimento amministrativo, il cui contenuto risulti in contrasto con norme o principi comunitari, non può essere meramente disapplicato dall'amministrazione, ma deve essere da essa rimosso con ricorso ai poteri di autotutela di cui dispone e nel rispetto dei principi che li governano e con l'osservanza delle garanzie che l'ordinamento appresta per i soggetti incisi dall'atto di annullamento, prima fra tutte quella di consentire ad essi di partecipare al relativo procedimento. (Consiglio Stato , sez. V, 08 settembre 2008, n. 4263).</div><div align="justify"><br />Il vizio che caratterizza l'atto amministrativo conforme ad una norma nazionale a propria volta in contrasto con il diritto comunitario è quello tipico dell'annullabilità per violazione di legge, in quanto tale deducibile in sede giurisdizionale nell'ordinario termine di decadenza. (Consiglio Stato , sez. VI, 23 luglio 2008, n. 3621).</div><div align="justify"><br />La violazione, da parte dell'atto amministrativo nazionale, di norme appartenenti al diritto comunitario (primario o derivato), comporta una illegittimità dell'atto da inquadrare nell'ambito dell'annullabilità, con conseguente applicabilità, nei suoi confronti, delle ordinarie regole sostanziali e processuali in materia di efficacia, di inoppugnabilità per decorso dei termini di impugnazione e di non disapplicabilità dell'atto in sede di giurisdizione amministrativa (T.A.R. Sardegna Cagliari, sez. I, 11 luglio 2008, n. 1367).</div><div align="justify"><br />È principio acquisito che la violazione di una disposizione comunitaria implica un vizio di illegittimità - annullabilità dell'atto amministrativo interno con essa contrastante, mentre la diversa forma patologica della nullità (o della inesistenza) risulta configurabile nella sola ipotesi in cui il provvedimento nazionale sia stato adottato sulla base di una norma interna (attributiva di potere) incompatibile (e quindi disapplicabile) con il diritto comunitario. Pertanto, al di fuori del caso da ultimo descritto, l'inosservanza di una disposizione comunitaria direttamente applicabile comporta l'annullabilità del provvedimento viziato, nonché, sul piano processuale, l'onere della sua impugnazione dinanzi al g.a. entro il prescritto termine di decadenza, pena la sua inoppugnabilità (Consiglio Stato , sez. IV, 21 febbraio 2005, n. 579).</div><div align="justify"><br />Nel diritto amministrativo il vizio generato dall'inosservanza di una disposizione normativa diretta a regolare l'azione della p.a. consiste nella sola illegittimità per violazione di legge che implica, al pari del vizio di annullabilità dei negozi giuridici, l'efficacia dell'atto fino al suo annullamento da parte del giudice amministrativo o della stessa amministrazione (in sede giustiziale o di autotutela), senza quindi che possa in alcun modo configurarsi una più grave ipotesi di invalidità, paragonabile alla nullità, che impedisca al provvedimento di produrre i suoi effetti (se non nel diverso caso dell'atto adottato in carenza di potere) e che autorizzi il giudice amministrativo a disapplicarlo; pertanto, la violazione di una norma che regola l'azione dell'amministrazione in modo da escludere qualsiasi scelta discrezionale nell'esercizio del relativo potere comporta l'onere in capo al soggetto leso dal provvedimento così viziato di impugnarlo entro il termine perentorio al fine di farne accertare <span style="color:#000000;">l'illegittimità e di ottenerne l'annullamento, non essendovi alcuna possibilità per il giudice amministrativo di sancirne l'inefficacia, prescindendo dalla sua rituale contestazione in giudizio. (</span><a href="http://www.blogger.com/O18%20S05%20A2003%20N35"><span style="color:#000000;">Consiglio Stato , sez. V, 10 gennaio 2003, n. 35</span></a><span style="color:#000000;">).<br /></span></div>Anonymoushttp://www.blogger.com/profile/07368369773792917576noreply@blogger.com0tag:blogger.com,1999:blog-8988206448054796447.post-48837015688727767642009-09-11T06:03:00.000-07:002009-09-11T06:08:08.982-07:00<strong><a href="http://giurisprudenza-amministrativa.blogspot.com/2009/09/corte-di-giustizia-delle-comunita.html">Corte di Giustizia delle Comunità Europee, sezione IV, 19 maggio 2009, causa C-538/2007<br /></a></strong><br /><div align="justify"><strong></strong></div><div align="justify"><strong>Il Caso</strong><br />Nella procedura di affidamento di un servizio, una società partecipante si rivolse al T.A.R. della Lombardia per ottenere l’annullamento dell’aggiudicazione. La ricorrente ha fatto valere l’art. 10, comma 1-bis, della L. n. 109/1994, a suo dire applicabile anche agli appalti di servizio in assenza di una diversa normativa espressa. In base alla disposizione richiamata l’amministrazione aggiudicatrice avrebbe dovuto escludere dalla gara d’appalto le società che si trovavano fra loro in una delle situazioni di controllo previste dall’art. 2359 del codice civile italiano.<br />Il Tar della Lombardia si è domandato se la normativa da applicare (confermata dall’art. 34, ultimo comma, del D.Lgs. n. 163/2006) sia compatibile con l’ordinamento giuridico comunitario e, in particolare, con l’art. 29 della direttiva 92/50.<br />Per questa ragione, il Tar Lombardia ha deciso di sospendere il procedimento e di sottoporre alla corte la seguente questione pregiudiziale: «Se l’art. 29 della direttiva 92/50 (…), nel prevedere sette ipotesi di esclusione dalla partecipazione agli appalti di servizi, configuri un “numerus clausus” di ipotesi ostative e, quindi, inibisca all’art. 10, comma 1-bis, della L. n. 109/94 (ora sostituito dall’art. 34 ultimo comma, del D.Lgs. n. 173/06) di stabilire il divieto di partecipazione simultanea alla gara per le imprese che si trovino fra loro in rapporto di controllo».<br /><br /><br /><strong>Massime della decisione<br /></strong>1. L’art. 29, comma 1 della direttiva 92/50 deve essere interpretato nel senso che esso non osta a che uno Stato membro, in aggiunta alle cause di esclusione contemplate da tale disposizione, preveda ulteriori cause di esclusione finalizzate a garantire il rispetto dei principi di parità di trattamento e di trasparenza, a condizione che tali misure non eccedano quanto necessario per conseguire la suddetta finalità;<br />2. Il diritto comunitario osta ad una disposizione nazionale che, pur perseguendo gli obiettivi legittimi di parità di trattamento degli offerenti e di trasparenza nell’ambito delle procedure di aggiudicazione degli appalti pubblici, stabilisca un divieto assoluto, a carico di imprese tra le quali sussista un rapporto di controllo o che siano tra loro collegate, di partecipare in modo simultaneo e concorrente ad una medesima gara di appalto, senza lasciare loro la possibilità di dimostrare che il rapporto suddetto non ha influito sul loro rispettivo comportamento nell’ambito di tale gara.<br /><br /><br /><strong>Norme rilevanti</strong><br />Legge 11 febbraio 1994, n. 109<br />Art. 10 (Soggetti ammessi alle gare)<br />1-bis. Non possono partecipare alla medesima gara imprese che si trovino fra di loro in una delle situazioni di controllo di cui all'articolo 2359 del codice civile.<br /><br />Decreto legislativo 12 aprile 2006, n. 163<br />Art. 34, secondo comma<br />2. Non possono partecipare alla medesima gara concorrenti che si trovino fra di loro in una delle situazioni di controllo di cui all'articolo 2359 del codice civile. Le stazioni appaltanti escludono altresì dalla gara i concorrenti per i quali accertano che le relative offerte sono imputabili ad un unico centro decisionale, sulla base di univoci elementi.<br /><br />Direttiva 92/50<br />Art. 29 [ora art. 45 della direttiva 2005/18 - n.d.r.]<br />Può venir escluso dalla partecipazione ad un appalto qualunque prestatore di servizi il quale:<br />a) sia in stato di fallimento, di liquidazione, di amministrazione controllata, di concordato preventivo, di sospensione dell'attività commerciale o si trovi in qualsiasi altra situazione analoga derivante da una procedura simile prevista dalle leggi e dai regolamenti nazionali;<br />b) sia oggetto di procedimenti di dichiarazione di fallimento, di liquidazione coatta o di amministrazione controllata, di un concordato preventivo oppure di qualunque altro procedimento simile previsto dalle leggi o dai regolamenti nazionali;<br />c) sia stato condannato per un reato relativo alla condotta professionale di prestatore di servizi, con sentenza passata in giudicato;<br />d) si sia reso responsabile di gravi violazioni dei doveri professionali, provate con qualsiasi elemento documentabile dall'amministrazione;<br />e) non abbia adempiuto obblighi riguardanti il pagamento dei contributi di sicurezza sociale conformemente alle disposizioni legislative del paese in cui è stabilito o di quello dell'amministrazione;<br />f) non abbia adempiuto obblighi tributari conformemente alle disposizioni legislative del paese dell'amministrazione;<br />g) si sia reso colpevole di gravi inesattezze nel fornire le informazioni esigibili in applicazione del presente capitolo o non abbia fornito dette informazioni.<br />Quando l'amministrazione chiede al prestatore di servizi la prova che egli non si trova in nessuna delle situazioni di cui alle lettere a), b), c), e) ovvero f), essa accetta come prova sufficiente:<br />- i casi di cui alle lettere a), b) ovvero c), la presentazione di un estratto dal "casellario giudiziario" o, in difetto, di un documento equivalente rilasciato da una competente autorità giudiziaria o amministrativa del paese d'origine o di provenienza da cui risulti il soddisfacimento della condizione di cui trattasi;<br />- i casi di cui alle lettere e) ovvero f) un certificato rilasciato dall'autorità competente dello Stato membro interessato.<br />Qualora lo Stato membro interessato non rilasci siffatti documenti o certificati, questi possono essere sostituiti da una dichiarazione giurata resa dalla persona interessata davanti ad un'autorità giudiziaria od amministrativa, un notaio o un competente organismo professionale o commerciale nel paese d'origine od in quello di provenienza.<br />Gli Stati membri designano, nel termine di cui all'articolo 44, le autorità e gli organismi competenti per il rilascio dei documenti e certificati in questione e ne informano immediatamente gli altri Stati membri e la Commissione.<br /><br /><br />L’art. 3, n. 4, secondo e terzo comma, della direttiva del Consiglio 14 giugno 1993, 93/37/CEE, [ora art. 63 della direttiva 2005/18 - n.d.r.] che coordina le procedure di aggiudicazione degli appalti pubblici di lavori (GU L 199, pag. 54), definisce le nozioni di «imprese collegate» e di «influenza dominante» tra imprese. Per quanto riguarda i contratti di concessione di lavori pubblici, esso prevede quanto segue:<br />«Non si considerano come terzi le imprese che si sono raggruppate per ottenere la concessione né le imprese ad esse collegate.<br />Per “impresa collegata” s’intende qualsiasi impresa su cui il concessionario può esercitare direttamente o indirettamente un’influenza dominante, o qualsiasi impresa che può esercitare un’influenza dominante [sul concessionario o che, come il concessionario, è soggetta all’influenza dominante] di un’altra impresa per motivi attinenti alla proprietà, alla partecipazione finanziaria o alle norme che disciplinano l’impresa stessa. L’influenza dominante è presunta quando un’impresa direttamente o indirettamente, nei confronti di un’altra impresa:<br />– detiene la maggioranza del capitale sottoscritto dell’impresa, o<br />– dispone della maggioranza dei voti connessi alle partecipazioni al capitale dell’impresa, o<br />– può designare più della metà dei membri dell’organo di amministrazione, direzione o di vigilanza dell’impresa».<br /><br /><br />2359 c.c. - Società controllate e società collegate<br />Sono considerate società controllate:<br />1) le società in cui un’altra società dispone della maggioranza dei voti esercitabili nell’assemblea ordinaria;<br />2) le società in cui un’altra società dispone di voti sufficienti per esercitare un’influenza dominante nell’assemblea ordinaria;<br />3) le società che sono sotto influenza dominante di un’altra società in virtù di particolari vincoli contrattuali con essa.<br />Ai fini dell’applicazione dei nn. 1 e 2 del primo comma si computano anche i voti spettanti a società controllate, a società fiduciarie e a persona interposta; non si computano i voti spettanti per conto di terzi.<br />Sono considerate collegate le società sulle quali un’altra società esercita un’influenza notevole. L’influenza si presume quando nell’assemblea ordinaria può essere esercitato almeno un quinto dei voti ovvero un decimo se la società ha azioni quotate in borsa.<br /><br /><br /><strong>Precedenti giurisprudenziali<br /></strong>Corte di Giustizia delle Comunità Europee, 9 febbraio 2006, cause riunite C-226/04 e C-228/04, La Cascina (Racc. pag. I-1347, punti 21-23) interpreta l’art. 29 della direttiva 92/50. Tale disposizione, che costituisce l’espressione del principio del «favor participationis», vale a dire dell’interesse a che il maggior numero possibile di imprese partecipi ad una gara d’appalto, conterrebbe, secondo detta pronuncia, un elenco tassativo delle cause di esclusione dalla partecipazione ad un appalto di servizi. Tra queste cause non rientrerebbe il caso di società legate fra loro da un rapporto di controllo o d’influenza notevole.<br /><br />Corte di Giustizia delle Comunità Europee, 16 dicembre 2008, causa C-213/07, Michaniki. La Corte, per quanto riguarda l’art. 24, primo comma, della direttiva 93/37, che riprende le stesse ipotesi di esclusione previste dall’art. 29, primo comma, della direttiva 92/50, ha sottolineato che la volontà del legislatore comunitario è stata quella di prendere in considerazione in tale disposizione soltanto cause di esclusione riguardanti unicamente le qualità professionali degli interessati. </div>Anonymoushttp://www.blogger.com/profile/07368369773792917576noreply@blogger.com0tag:blogger.com,1999:blog-8988206448054796447.post-26449702785953856422009-07-23T08:40:00.000-07:002010-06-16T07:37:52.177-07:00<div align="justify"><strong>Consulenza tecnica e accertamento tecnico preventivo davanti al giudice amministrativo</strong> </div><div align="justify"><br />L'istruttoria nel processo giurisdizionale davanti al giudice amministrativo era in origine limitata ai mezzi di prova previsti dall'art. 44, primo e terzo comma, del T.U. n. 1054 del 1924 sul Consiglio di Stato. Essi erano costituiti, essenzialmente, dalla richiesta di nuovi documenti o di chiarimenti e dalle nuove verificazioni, che possono essere disposte nei confronti della stessa amministrazione parte in causa. La verificazione, in particolare, può consistere in accertamenti come ispezioni, esami di carte e documenti, visite di luoghi, apprezzamenti tecnici di opere e costruzioni, assunzione di informazioni presso uffici pubblici e privati. Tali accertamenti sono compiuti da tecnici dell'amministrazione e vanno documentati in un'apposita relazione.<br />Poiché la verificazione consiste nell'accertamento dei fatti senza possibilità di effettuare valutazioni, la verificazione si distingue la consulenza tecnica d'ufficio: “La verificazione disposta dal giudice consiste in un mero accertamento disposto al fine di completare la conoscenza dei fatti che non siano desumibili dalle risultanze documentali e, sotto tale aspetto, si differenzia dalla consulenza tecnica d'ufficio che si estrinseca in una valutazione tecnica di determinate situazioni da utilizzare ai fini della decisione, con una valenza non meramente ricognitiva e circoscritta ad un fatto specifico” (Consiglio Stato , sez. IV, 21 novembre 2005, n. 6447; cfr. anche Consiglio di Stato, sez. IV, 19 febbraio 2007, n. 881).<br /><br /><strong>Consulenza tecnica d'ufficio.<br /></strong>La consulenza tecnica d'ufficio fu inizialmente introdotta dall'art. 35, terzo comma, del decreto legislativo n. 80 del 1998 ma limitatamente ai casi di giurisdizione esclusiva.<br />Successivamente, l'art. 44 del T.U. n. 1054 del 1924 sul Consiglio di Stato è stato modificato dalla legge 21 luglio 2000, n. 205 che ha incluso tra i mezzi istruttori che possono essere disposti anche la consulenza tecnica d'ufficio.<br />Le regole che disciplinano la consulenza tecnica, in assenza di disposizioni speciali, sono le stesse dettate dal codice di procedura civile. Vale quindi anche nel processo amministrativo il principio per cui la CTU non è un vero e proprio mezzo di prova ma uno strumento conoscitivo con il quale il giudice acquista le conoscenze tecniche necessarie per decisione della causa tramite un esperto, che assume la veste di suo ausiliario: “La c.t.u. non è uno strumento idoneo ad esonerare la parte dalla prova dei fatti dalla stessa dedotti e posti a base delle proprie richieste (fatti che devono essere dimostrati dalla medesima parte alla stregua dei criteri di ripartizione dell'onere della prova posti dall'art. 2697 c.c.), ma ha la funzione di fornire all'attività valutativa del giudice l'apporto di cognizioni tecniche non possedute” (Consiglio Stato , sez. VI, 27 giugno 2007, n. 3691).<br />La consulenza tecnica, nell'ambito del processo amministrativo, subisce delle limitazioni per ragioni di ordine sostanziale. Tale mezzo istruttorio, infatti, non può essere disposto per sindacare valutazioni discrezionali riservate all'amministrazione: “In tema di gara di appalto, la valutazione sull'anomalia di un'offerta può essere sindacato in sede giurisdizionale esclusivamente per vizi logici e di motivazione, sicché l'eventuale consulenza tecnica disposta dal giudice può riguardare la valutazione di fatti e prove per ampliarne la conoscenza in ambiti specialistici, ma non può spingersi fino alla verifica della sussistenza dei profili di eccesso di potere né a sostituire la valutazione dell'Amministrazione, atteso che a quest'ultima spetta, nel caso di annullamento del provvedimento impugnato, di rideterminarsi con il solo limite di emendare il nuovo atto da emanare dai vizi riscontrati in sede di legittimità” (Cons. Stato Sez. IV 21-05-2008 n. 2404; cfr. anche Sez. V 11 novembre 2004 n. 7346).<br />La consulenza tecnica trova il suo campo di elezione nel sindacato degli apprezzamenti tecnici della pubblica amministrazione. Il giudice amministrativo, quando necessario, può ricorrere alla consulenza tecnica per verificare il corretto esercizio della discrezionalità tecnica da parte dell'amministrazione, individuando le regole da queste utilizzate e giudicandone la corretta applicazione nel caso concreto. È, infatti, ormai tramontata l'equiparazione tra la discrezionalità tecnica e il merito amministrativo, insindacabile in sede di legittimità: “Nel procedimento amministrativo, la discrezionalità tecnica non costituisce espressione di una libera scelta della Pubblica amministrazione tra diverse soluzioni idonee a soddisfare l'interesse pubblico, e quindi non configura propriamente una discrezionalità, trattandosi della scelta tra alternative altrettanto legittime in cui l'agire dell'Amministrazione persegue l'interesse pubblico ma con ricadute differenti sugli interessi privati coinvolti: nel caso della discrezionalità propriamente tecnica, invece, la P.A. è tenuta a seguire regole proprie delle scienze e delle arti, con la conseguenza che il giudice amministrativo deve verificare le regole della scienza e dell'arte applicate al caso di specie siano state correttamente seguite e interpretate” (Cons. Stato C.G.A. Reg. Sicilia 23-07-2007 n. 673). Il giudice amministrativo, pertanto, può dunque esercitare propri sindacato sugli apprezzamenti tecnici della P.A.:“Il sindacato giurisdizionale sugli apprezzamenti tecnici della Pubblica amministrazione ― tramontata l'equazione discrezionalità tecnica merito insindacabile a partire dalla sentenza del Consiglio di Stato, Sez. IV n. 601 del 1999 ― può oggi svolgersi in base non al mero controllo formale ed estrinseco dell'iter logico seguito dall'autorità amministrativa, bensì alla verifica diretta dell'attendibilità delle operazioni tecniche sotto il profilo della loro correttezza quanto a criterio tecnico ed a procedimento applicativo, potendo il giudice utilizzare per tale controllo sia il tradizionale strumento della verificazione che la consulenza tecnica d'ufficio” (T.A.R. Catania Sez. I 23-01-2009 n. 170; Cons. Stato, Sez. VI, 11 aprile 2006 n. 2001, 9 novembre 2006 n. 6607 e 22 maggio 2008 n. 2449).<br />Il giudice amministrativo può addirittura avvalersi della consulenza tecnica svolta in un giudizio diverso tra le stesse parti: “Il giudice di merito, in mancanza di un divieto di legge, può utilizzare anche prove raccolte in un giudizio diverso fra le stesse o altre parti, compresa la consulenza tecnica ammessa ed espletata in diverso procedimento, valutandone liberamente gli accertamenti e i suggerimenti una volta che la relativa relazione peritale sia stata ritualmente prodotta dalla parte interessata” (Cons. Stato Sez. V 19-01-2009 n. 223).<br /><br /><strong>Accertamento tecnico preventivo </strong><br />L'accertamento tecnico preventivo costituisce uno dei procedimenti di istruzione preventiva e svolge una funzione di tipo cautelare. Il mezzo istruttorio, disciplinato dall'art. 696 c.p.c., presuppone infatti l'urgenza di fare verificare, prima del giudizio, lo stato dei luoghi o la qualità o la condizione di cose.<br />Va subito evidenziato che mentre la consulenza tecnica d'ufficio è stata espressamente introdotta nel processo amministrativo dalla riforma del 2000, nessuna disposizione si occupa dei provvedimenti di istruzione preventiva.<br />Per questa ragione, uno dei problemi di maggiore rilevanza, al fine di valutare l'ammissibilità del mezzo istruttorio nell'ambito del processo amministrativo, è quello di stabilirne il fondamento normativo.<br />Per gli accertamenti tecnici richiesti in corso di causa, la norma di riferimento può essere costituita dall'art. 21 della legge n. 1034/1971. Data la pacifica natura cautelare del mezzo e gli ampi poteri conferiti al giudice, che si estendono genericamente all'emanazione delle misure più idonee, non sussistono difficoltà a comprendere tra queste anche l'ATP. In giurisprudenza, tra le rarissime pronunce si può citare T.A.R. Sicilia-Palermo, sez. II, decreto 2 febbraio 2002, n. 97, con cui è stato disposto un accertamento tecnico relativo allo stato dei luoghi e della consistenza dei beni mobili e immobili di un impianto del quale era stata disposta la demolizione.<br />Molto più problematico è valutare l'ammissibilità dell'ATP ante causam. In questo caso, infatti, non vale la copertura dell'art. 21 L. n. 1034/1971 che regola l'adozione di provvedimenti cautelari successivi al deposito del ricorso e quindi all'instaurazione del rapporto processuale.<br />Di particolare interesse, sotto questo profilo, è l'art. 245, terzo comma, del codice dei contratti pubblici di lavori, servizi, forniture (D.Lgs. 12 aprile 2006, n. 163) che, limitatamente a questa materia, consente esplicitamente l'adozione di misure interinali e provvisorie ante causam: “In caso di eccezionale gravità e urgenza, tale da non consentire neppure la previa notifica del ricorso e la richiesta di misure cautelari provvisorie di cui all'articolo 21, comma 9, della legge 6 dicembre 1971, n. 1034, il soggetto legittimato al ricorso può proporre istanza per l'adozione delle misure interinali e provvisorie che appaiono indispensabili durante il tempo occorrente per la proposizione del ricorso di merito e della domanda cautelare di cui ai commi 8 e 9 del citato articolo 21”.<br />La norma, si ricorderà, è stata introdotta in seguito ad una serie di interventi della Corte di Giustizia CE che, sulla base dell'art. 2 della Direttiva 89/65, aveva giudicato non conforme alla legislazione comunitaria la normativa italiana, in quanto non aveva conferito agli organi competenti a conoscere dei ricorsi la facoltà di adottare, indipendentemente dalla previa proposizione del ricorso di merito, qualsiasi provvedimento provvisorio a tutela degli interessi dei partecipanti alle procedure concorsuali.<br />In giurisprudenza, si segnala l'isolata pronuncia del Tar Lazio, Roma, ordinanza 4 luglio 2007, n. 5992, con cui i giudici hanno nominato un consulente tecnico d'ufficio in seguito a ricorso per accertamento tecnico preventivo diretto a verificare lo stato di abbandono o di utilizzo a fini pubblici di un fabbricato, in vista della presentazione di una domanda di retrocessione parziale (artt. 47 e 48 d.p.r. n. 327/2001).<br />Alla luce dei principi di rilevanza costituzionale del giusto processo (art. 111 Cost.) e della effettività della tutela giurisdizionale (art. 24 Cost.), anche indipendentemente da un esplicito richiamo, si possono considerare applicabili le norme in materia di istruzione preventiva del codice di procedura civile. Queste ultime, infatti, costituiscono la legge processuale generale a cui bisogna fare riferimento quando sia indispensabile assicurare l'efficienza o la legalità della procedura contenziosa: “Nessun rinvio al codice di procedura civile è stabilito dalla l. 6 dicembre 1971 n. 1034, per cui il richiamo al detto codice è corretto nella misura in cui la legge stessa non sia altrimenti interpretabile ed il codice ponga dei principi indispensabili per assicurare l'efficienza o la legalità delle procedure contenziose o giudiziarie in genere” (Consiglio Stato , sez. VI, 27 giugno 1978, n. 905). “Nel procedimento davanti ai giudici amministrativi, in mancanza di norme processuali espresse, sono applicabili analogicamente le norme generali del codice di procedura civile, ivi compreso l'art. 51 stesso codice, che disciplina i casi di astensione del giudice” (Consiglio Stato , sez. VI, 25 marzo 1985, n. 94).<br />“Per quanto non espressamente previsto, può farsi ricorso alla disciplina contenuta nel codice di procedura civile, il quale costituisce la legge processuale generale a cui bisogna fare riferimento in difetto di norme processuali speciali, per cui per il procedimento di ricusazione potranno applicarsi in via analogica gli art. 52 e 54 c.p.c.” (T.A.R. Abruzzo L'Aquila, 08 gennaio 1999, n. 7).<br />Problemi del tutto analoghi si pongono per la consulenza tecnica preventiva introdotta dall'art. 696-bis c.p.c. che, per di più, data la finalità conciliativa, è senza dubbio incompatibile quando il contenzioso abbia per oggetto interessi pubblici indisponibili. In ogni caso, allo stato, non è stato possibile reperire alcun precedente giurisprudenziale.<br /></div>Anonymoushttp://www.blogger.com/profile/07368369773792917576noreply@blogger.com0tag:blogger.com,1999:blog-8988206448054796447.post-48146267318052751532009-07-20T02:46:00.000-07:002009-07-20T02:48:59.923-07:00<div align="justify"><a href="http://giurisprudenza-amministrativa.blogspot.com/2009/07/corte-di-cassazione-sez-unite-civili.html"><strong>Corte di Cassazione, SS.UU., 1 luglio 2009 n. 15377</strong> </a><br /><br /><strong>Il Caso</strong><br />Un paziente dimesso dall'ospedale psichiatrico e degente presso un ente morale veniva condannato al pagamento in favore dell'istituto della quota alberghiera della retta di degenza. Con successivo decreto ingiuntivo detto soggetto e la A.S.L. di appartenenza venivano condannati in solido al pagamento della quota alberghiera della rete di degenza per un ulteriore periodo. La A.S.L. eccepiva difetto di giurisdizione.<br />Il tribunale revocava i decreti ingiuntivi condannava gli giunse al pagamento del sonno è in favore dell'attore istituto. La corte d'appello, in seguito all'impugnazione della sentenza di primo grado, dichiarava difetto di giurisdizione dell'ago con riferimento a domanda proposta nei confronti del A.S.L. e riduceva il debito a carico dell'ex ricoverato.<br />Viene quindi proposto ricorso per cassazione.<br /><br /><strong>Massime estratte dalla decisione<br /></strong>1. Il principio sancito dall'art. 5 c.p.c., secondo cui la giurisdizione (e la competenza) si determinano in base alla legge vigente al momento della domanda, non opera nel caso in cui tale legge sia stata poi dichiarata costituzionalmente illegittima, perché le pronunce di incostituzionalità comportano l’espunzione ab origine della norma che, pertanto, non può più essere applicata neppure ai limitati fini di cui all'art. 5 c.p.c..<br />2. La Corte costituzionale, con la sentenza n. 204/2004, ha statuito che, a prescindere dall'ipotesi di concessione di servizi, già contemplata dalla L. n. 1034 del 1971, art. 5, la giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo in materia di pubblici servizi sopravvive soltanto nelle controversie "relative a provvedimenti adottati dalla pubblica amministrazione o dal gestore di un pubblico servizio in un procedimento regolato dalla L. 7 agosto 1990, n. 241", ovvero relative all’affidamento di un pubblico servizio e alla vigilanza e controllo nei confronti del gestore, nonché alla vigilanza in settori particolari espressamente indicati.<br />3. Spetta al giudice ordinario la giurisdizione in ordine alla domanda di pagamento della quota alberghiera delle rette di degenza proposta dall’Istituto di cura privato. La domanda, infatti, oltre a non contenere alcun sindacato di atti provvedimentali, non afferisce a rapporti costituiti o modificati da atti di tale specie, avendo l'attore richiesto il corrispettivo per un'obbligazione di natura assistenziale, ricollegantesi a presupposti prefigurati dalla legge.<br />4. In ogni processo vanno individuati due distinti e non confondibili oggetti del giudizio, l'uno (processuale) concernente la sussistenza o meno del dovere - potere del giudice di risolvere il merito della causa, e l'altro (sostanziale) relativo alla fondatezza o no della domanda; la decisione sul merito implica la decisione sulla giurisdizione e, quindi, se le parti non impugnano la sentenza o la impugnano, ma non eccepiscono il difetto di giurisdizione, pongono in essere un comportamento incompatibile con la volontà di eccepire tale difetto e, quindi, si verifica il fenomeno dell'acquiescenza per incompatibilità con le conseguenti preclusioni sancite dagli artt. 329, c. 2 c.p.c. e dall'art. 324 c.p.c.<br /><br /><strong>Giurisprudenza rilevante</strong><br />1. Sulla non operatività del principio sancito dall'art. 5 c.p.c., secondo cui la giurisdizione (e la competenza) si determinano in base alla legge vigente al momento della domanda, nel caso in cui tale legge sia stata poi dichiarata costituzionalmente illegittima, si confrontino: Cassazione, sez. un., 16 febbraio 2006, n. 3370 e Cassazione civile , sez. un., 24 gennaio 2005, n. 1362<br />2. Sulla giurisdizione del giudice ordinario in ordine alla domanda di pagamento della quota alberghiera delle rette di degenza, si richiama anche la seguente decisione:<br />“la controversia introdotta da un istituto di cura nei confronti del Comune e della Asl, per il pagamento di rette di degenza relative a pazienti degli ex ospedali psichiatrici - esclusa, dopo il radicale mutamento del sistema di custodia e cura degli alienati, l'applicabilità dell'art. 7 l. n. 36 del 1904 e dell'art. 29 r.d. n. 1054 del 1924, che prevedevano la giurisdizione amministrativa - rientra nella giurisdizione del g.o., sia nel caso in cui si ritenga che la prestazione in favore del ricoverato integri una prestazione sanitaria, sia nel caso in cui sia ritenuto prevalente il carattere socio-assistenziale di tale prestazione. In entrambi i casi, infatti, il rapporto dedotto in giudizio non si ricollega ad un esercizio di poteri autoritativi dell'amministrazione e non determina alcun sindacato di atti provvedimentali della p.a., vertendosi in tema di corrispettivi per un'obbligazione che si ricollega a presupposti prefigurati dalla legge” (Cassazione civile , sez. un., 30 luglio 2008, n. 20586).<br />3. Sulla decisione implicita circa la giurisdizione, si richiama: Cassazione, Sez. Un., 9 ottobre 2008, n. 24883. </div>Anonymoushttp://www.blogger.com/profile/07368369773792917576noreply@blogger.com0tag:blogger.com,1999:blog-8988206448054796447.post-812271641314962702009-07-17T04:42:00.000-07:002009-07-17T04:48:26.704-07:00<div align="justify"><strong><a href="http://giurisprudenza-amministrativa.blogspot.com/2009/07/corte-di-giustizia-europea-sez-iv-19.html">Corte di Giustizia UE, sez. IV, sentenza 19.05.2009 n° C-538/07 </a></strong></div><div align="justify"><br /><strong>Il caso</strong><br />Con bando di gara del 30 settembre 2003, la Camera di Commercio, Industria, Artigianato e Agricoltura di Milano ha indetto un pubblico incanto per l’affidamento, in base al criterio del prezzo più basso, del servizio di corriere per il ritiro e la consegna della corrispondenza e di documentazione varia per conto della Camera di Commercio stessa e della sua azienda speciale CedCamera, per un triennio corrispondente agli anni 2004-2006.<br />In esito all’esame della documentazione presentata dagli interessati, risultarono ammesse alla gara la SDA Express Courier SpA (in prosieguo: la «SDA»), la Poste Italiane SpA (in prosieguo: la «Poste Italiane») e l’Assitur. Quest'ultima chiese l’esclusione dalla procedura di gara della SDA e della Poste Italiane, in ragione dei rapporti esistenti tra queste due società.<br />Dalla verifica imposta a tale riguardo dalla commissione di gara emerse che la totalità del capitale sociale della SDA era detenuta dall’Attività Mobiliari SpA, a sua volta interamente partecipata dalla Poste Italiane. Tuttavia, dato che il decreto legislativo 17 marzo 1995, n. 157, che disciplinava gli appalti di servizi, non prevedeva alcun divieto di partecipazione ad una medesima procedura di aggiudicazione a carico di imprese aventi fra loro un rapporto di controllo, e che la verifica effettuata non aveva messo in luce indizi gravi e concordanti che consentissero di ritenere che i principi di concorrenza e di segretezza delle offerte fossero stati violati nella fattispecie, l’ente appaltante, con determinazione del 2 dicembre 2003, n. 712, decise comunque di aggiudicare l’appalto alla SDA, che aveva presentato l’offerta più bassa.<br />A questo punto l’Assitur chiese l’annullamento di questa decisione dinanzi al Tribunale Amministrativo Regionale per la Lombardia, sostenendo che, conformemente all’art. 10, comma 1 bis, della legge n. 109/1994, a suo parere applicabile anche agli appalti di servizi in assenza di una diversa normativa espressa, l’amministrazione aggiudicatrice avrebbe dovuto escludere dalla gara d’appalto le società che si trovavano fra loro in una delle situazioni di controllo previste dall’articolo 2359 del codice civile italiano.<br />Il tribunale amministrativo, sulla considerazione che:<br />a) l’art. 10, comma 1 bis, della legge n. 109/1994, che disciplina specificamente gli appalti di lavori, stabilisce una presunzione assoluta di conoscibilità dell’offerta della controllata da parte della controllante;<br />b) la giurisprudenza italiana riconosce ad una statuizione come quella enunciata all’art. 10, comma 1 bis, della legge n. 109/1994, espressione di un principio generale che trascende la materia dei lavori pubblici proiettandosi altresì alle procedure di aggiudicazione nei settori dei servizi e delle forniture, il valore di norma di ordine pubblico applicabile in via generale;<br />c) il legislatore avrebbe confermato tale approccio giurisprudenziale con l’adozione dell’art. 34, ultimo comma, del decreto legislativo n. 163/2006, che disciplina attualmente l’intera materia degli appalti pubblici;<br />decise di sospendere il procedimento e di sottoporre alla Corte la seguente questione pregiudiziale:<br />«Se l’art. 29 della direttiva 92/50 (…), nel prevedere sette ipotesi di esclusione dalla partecipazione agli appalti di servizi, configuri un "numerus clausus" di ipotesi ostative e, quindi, inibisca all’art. 10, comma 1 bis, della legge n. 109/94 (ora sostituito dall’art. 34, ultimo comma, del decreto legislativo n. 163/06) di stabilire il divieto di partecipazione simultanea alla gara per le imprese che si trovino fra loro in rapporto di controllo».</div><div align="justify"><br /><strong>Massime tratte dalla decisione<br /></strong>1. L’art. 29, c. 1, della direttiva del Consiglio 18 giugno 1992, 92/50/CEE, che coordina le procedure di aggiudicazione degli appalti pubblici di servizi, deve essere interpretato nel senso che esso non osta a che uno Stato membro, in aggiunta alle cause di esclusione contemplate da tale disposizione, preveda ulteriori cause di esclusione finalizzate a garantire il rispetto dei principi di parità di trattamento e di trasparenza, a condizione che tali misure non eccedano quanto necessario per conseguire la suddetta finalità.<br />2. Il diritto comunitario osta ad una disposizione nazionale che, pur perseguendo gli obiettivi legittimi di parità di trattamento degli offerenti e di trasparenza nell’ambito delle procedure di aggiudicazione degli appalti pubblici, stabilisca un divieto assoluto, a carico di imprese tra le quali sussista un rapporto di controllo o che siano tra loro collegate, di partecipare in modo simultaneo e concorrente ad una medesima gara d’appalto, senza lasciare loro la possibilità di dimostrare che il rapporto suddetto non ha influito sul loro rispettivo comportamento nell’ambito di tale gara.<br /></div><div align="justify"><strong></strong> </div><div align="justify"><strong>Norme rilevanti</strong></div><strong></strong><div align="justify"><br />A) La normativa comunitaria</div><div align="justify"><br />Art. 29, comma 1, della Direttiva 18/6/1992 n.50 92/50/CEE, G.U.E. 24/7/1992 n.209, “Direttiva del Consiglio che coordina le procedure di aggiudicazione degli appalti pubblici di servizi”<br />(Direttiva abrogata, ad eccezione dell'articolo 41, dall'articolo 82 della Direttiva del Parlamento europeo e del Consiglio n. 18 del 31-03-2004, con decorrenza indicata all'articolo 80 della direttiva citata)</div><div align="justify"><br />«Può venir escluso dalla partecipazione ad un appalto qualunque prestatore di servizi il quale:<br />a) sia in stato di fallimento, di liquidazione, di amministrazione controllata, di concordato preventivo, di sospensione dell’attività commerciale o si trovi in qualsiasi altra situazione analoga derivante da una procedura simile prevista dalle leggi e dai regolamenti nazionali;<br />b) sia oggetto di procedimenti di dichiarazione di fallimento, di liquidazione coatta o di amministrazione controllata, di un concordato preventivo oppure di qualunque altro procedimento simile previsto dalle leggi o dai regolamenti nazionali;<br />c) sia stato condannato per un reato relativo alla condotta professionale di prestatore di servizi, con sentenza passata in giudicato;<br />d) si sia reso responsabile di gravi violazioni dei doveri professionali, provate con qualsiasi elemento documentabile dall’amministrazione [aggiudicatrice];<br />e) non abbia adempiuto obblighi riguardanti il pagamento dei contributi di sicurezza sociale conformemente alle disposizioni legislative del paese in cui è stabilito o di quello dell’amministrazione [aggiudicatrice];<br />f) non abbia adempiuto obblighi tributari conformemente alle disposizioni legislative del paese dell’amministrazione [aggiudicatrice];<br />g) si sia reso colpevole di gravi inesattezze nel fornire le informazioni esigibili in applicazione del presente capitolo o non abbia fornito dette informazioni».</div><div align="justify"></div><div align="justify"><br />Art. 3, n. 4, secondo e terzo comma, della Direttiva 14/6/1993 n.37 93/37/CEE, G.U.E. 9/8/1993 n.199, “Direttiva del Consiglio che coordina le procedure di aggiudicazione degli appalti pubblici di lavori”, che definisce le nozioni di «imprese collegate» e di «influenza dominante» tra imprese.<br />(Direttiva abrogata dall'articolo 82 della Direttiva del Parlamento europeo e del Consiglio n. 18 del 31-03-2004, con decorrenza indicata nell'articolo 80).<br /></div><div align="justify">«Non si considerano come terzi le imprese che si sono raggruppate per ottenere la concessione né le imprese ad esse collegate.<br />Per "impresa collegata" s’intende qualsiasi impresa su cui il concessionario può esercitare direttamente o indirettamente un’influenza dominante, o qualsiasi impresa che può esercitare un’influenza dominante [sul concessionario o che, come il concessionario, è soggetta all’influenza dominante] di un’altra impresa per motivi attinenti alla proprietà, alla partecipazione finanziaria o alle norme che disciplinano l’impresa stessa. L’influenza dominante è presunta quando un’impresa direttamente o indirettamente, nei confronti di un’altra impresa:<br />– detiene la maggioranza del capitale sottoscritto dell’impresa, o<br />– dispone della maggioranza dei voti connessi alle partecipazioni al capitale dell’impresa, o<br />– può designare più della metà dei membri dell’organo di amministrazione, direzione o di vigilanza dell’impresa».</div><div align="justify"><br />B) normativa nazionale</div><div align="justify"><br />Art. 10, comma 1 bis, della Legge 11 febbraio 1994, n. 109 (in Gazz. Uff., 19 febbraio, n. 41) - Legge quadro in materia di lavori pubblici (Legge abrogata dall'articolo 256 del D.Lgs. 12 aprile 2006, n. 163, con decorrenza 1° luglio 2006, ai sensi di quanto disposto dall'articolo 257 del medesimo decreto).</div><div align="justify"><br />«Non possono partecipare alla medesima gara imprese che si trovino fra di loro in una delle situazioni di controllo previste dall’articolo 2359 del codice civile».</div><div align="justify"></div><div align="justify"><br />Art. 2359 del codice civile «Società controllate e società collegate»</div><div align="justify"><br />«Sono considerate società controllate:<br />1) le società in cui un’altra società dispone della maggioranza dei voti esercitabili nell’assemblea ordinaria;<br />2) le società in cui un’altra società dispone di voti sufficienti per esercitare un’influenza dominante nell’assemblea ordinaria;<br />3) le società che sono sotto influenza dominante di un’altra società in virtù di particolari vincoli contrattuali con essa.<br />Ai fini dell’applicazione dei numeri 1) e 2) del primo comma si computano anche i voti spettanti a società controllate, a società fiduciarie e a persona interposta; non si computano i voti spettanti per conto di terzi.<br />Sono considerate collegate le società sulle quali un’altra società esercita un’influenza notevole. L’influenza si presume quando nell’assemblea ordinaria può essere esercitato almeno un quinto dei voti ovvero un decimo se la società ha azioni quotate in mercati regolamentati».</div><div align="justify"></div><div align="justify"><br />Art. 34, ultimo comma, del Decreto Legislativo 12 aprile 2006, n. 163 (Supplemento ordinario alla GURI n. 100 del 2 maggio 2006; in prosieguo: il «decreto legislativo n. 163/2006»).</div><div align="justify"><br />«Non possono partecipare alla medesima gara concorrenti che si trovino fra di loro in una delle situazioni di controllo di cui all’articolo 2359 del codice civile. Le stazioni appaltanti escludono altresì dalla gara i concorrenti per i quali accertano che le relative offerte sono imputabili ad un unico centro decisionale, sulla base di univoci elementi».</div><div align="justify"><br /><strong>Giurisprudenza rilevante</strong><br />La decisione della Corte di Giustizia, sebbene resa con riguardo della precedente normativa, non potrà non influenzare l'interpretazione dell'art. 34 del D.Lgs. n. 163/2006 che nelle situazioni di controllo ex art. 2059 c.c prevede l'esclusione automatica.<br /><em>“L'art. 34, comma 2, d.lg. n. 163 del 2006 prevede due distinte ipotesi di divieto di partecipazione ad una stessa gara: con la prima viene stabilito che "non possono partecipare alla medesima gara concorrenti che si trovino fra di loro in una delle situazioni di controllo di cui all'art. 2359 c.c. e tale divieto viene sancito con l'esclusione automatica, che non ammette prova contraria, nel senso che il divieto scatta una volta accertata la sussistenza di una situazione di controllo ex art. 2359 c.c., senza che possa assumere rilievo la concreta situazione delle due imprese o l'effettiva reciproca conoscenza o imputabilità delle offerte; con la seconda viene previsto che "le stazioni appaltanti escludono altresì dalla gara i concorrenti per i quali accertano che le relative offerte sono imputabili ad un unico centro decisionale, sulla base di univoci elementi", allo scopo di evitare che il corretto e trasparente svolgimento delle gare di appalto e il libero gioco della concorrenza siano irrimediabilmente alterati dalla eventuale presentazione di offerte che, pur provenendo formalmente da due o più imprese giuridicamente diverse, siano sostanzialmente riconducibili ad un medesimo centro di interessi; entrambe le previsioni sono ispirate alla ratio di evitare il rischio di ammissione alla gara di offerte provenienti da soggetti che, in quanto legati da una stretta comunanza di interessi caratterizzata da una certa stabilità, non sono ritenuti capaci di formulare offerte contraddistinte dalla necessaria indipendenza, serietà ed affidabilità. Tali due distinte ipotesi differiscono tra loro perché, mentre nel primo caso il divieto opera in modo automatico e senza possibilità di prova contraria, nel secondo, l'imputabilità dell'offerta ad un unico centro decisionale deve emergere sulla base di univoci elementi e ciò presuppone una valutazione di ogni circostanza, senza poter far discendere in modo automatico l'esclusione da un unico elemento, anche se di particolare rilevanza.” </em>(Consiglio Stato , sez. VI, 05 dicembre 2008, n. 6037)<br /><em>“La norma dettata dall'art. 10 comma 1 bis, l. 11 febbraio 1994 n. 109, secondo cui è inibita la partecipazione alla medesima gara di imprese che si trovino fra di loro in una delle situazioni di controllo previste dall'art. 2359 c.c., s'inquadra nell'ambito dei divieti normativi di ammissione alla gara di offerte provenienti da soggetti che, in quanto legati da una stretta comunanza di interessi caratterizzata da una certa stabilità, non sono ritenuti dal legislatore capaci di formulare offerte contraddistinte dalla necessaria indipendenza, serietà ed affidabilità; trattandosi di norma di ordine pubblico, essa trova applicazione indipendentemente da una specifica previsione in tal senso da parte dell'amministrazione appaltante, atteso che l'oggetto giuridico tutelato è il corretto e trasparente svolgimento delle gare per l'appalto dei lavori pubblici nelle quali il libero gioco della concorrenza e del libero confronto, finalizzati alla scelta del « giusto » contraente, risulterebbero irrimediabilmente alterati dalla eventuale presentazione di offerte che, pur provenendo formalmente da due o più imprese giuridicamente diverse, siano sostanzialmente riconducibili ad un medesimo centro di interessi.”</em> (Consiglio Stato , sez. V, 07 ottobre 2008, n. 4850)<br /><em>“È motivo di esclusione dalla gara di appalto la partecipazione di un’impresa che sia in collegamento con un’altra impresa concorrente presente in gara. Tale collegamento sussiste quando vi sia una situazione di controllo come quella prevista dall’art. 2359 c.c. oppure quando si accerti che le relative offerte presentate in gara siano imputabili a un unico centro decisionale sulla base di univoci elementi.”</em> (T.A.R. Lazio Roma, sez. III, 25 marzo 2008, n. 2567)<br /><em>“Ove non sia riscontrabile una situazione di controllo societario ai sensi dell'art. 2359 c.c., che comporta l'esclusione automatica dalla gara d'appalto prevista dall'art. 10 comma 1 bis l. n. 109 del 1994, nè, d'altra parte, la disciplina di gara contempli fatti o situazioni che, pur non integrando gli estremi del controllo civilistico siano idonei ad alterare la segretezza delle offerte, è illegittima l'esclusione operata dalla commissione di gara in base a semplici elementi di collegamento organizzativo o vincoli di parentela tra rappresentanti o soci delle imprese concorrenti.” </em>(T.A.R. Piemonte Torino, sez. II, 11 settembre 2004, n. 1776)<br /><em>“In tema di collegamento tra imprese nelle procedure di affidamento di appalti di lavori pubblici, la differenza tra le ipotesi di esclusione di cui all'art. 10 comma 1 bis l. 11 febbraio 1994 n. 109, e le eventuali ulteriori ipotesi individuate dalla Stazione appaltante, consiste nel fatto che qualora si verifichi il primo caso la p.a. può automaticamente procedere ad assumere il provvedimento di esclusione, essendovi una presunzione di controllo societario ex art. 2359 comma 1 c.c., mentre nel secondo caso è indispensabile individuare e valutare specifici elementi che inducano a ritenere che più offerte sono state presentate da un unico centro decisionale.”</em> (Consiglio Stato, sez. V, 28 giugno 2004, n. 4789).</div><div align="justify"><br />Sulla non automaticità dell'esclusione cfr. tuttavia le seguenti decisioni che possono pertanto ritenersi già aderenti al principio espresso dalla sentenza della Corte di Giustizia:<br /><em>“Nelle procedure concorsuali d'appalto pubblico, in caso di ravvisato collegamento tra imprese, l'amministrazione non può disporre l'esclusione in via automatica delle concorrenti, ma deve motivare congruamente in ordine all'effettiva attitudine di detta situazione di collegamento a denunciare un'influenza reciproca tra le offerte dei concorernti interessati, con conseguente vulnus alla regolarità della gara e alla par condicio tra i partecipanti alla stessa.”</em> (T.A.R. Puglia Bari, sez. I, 10 gennaio 2008, n. 12)<br /><em>“Il collegamento sostanziale di cui all'art. 2359 c.c. è configurabile in caso di riconducibilità di più imprese concorrenti ad un medesimo centro di interessi. A tale scopo, devono sussistere indizi gravi, precisi e concordanti in ordine alla provenienza delle offerte da un unico centro decisionale, con la conseguente presunzione che fra i concorrenti sia intervenuto un (indebito) flusso informativo circa la determinazione delle offerte stesse e gli elementi valutativi sottostanti.”</em> (T.A.R. Lazio Roma, sez. III, 22 febbraio 2007, n. 1554)<br /><em>“Il collegamento tra imprese suscettibili di ricondurre due o più offerte ad un unico centro decisionale, con conseguente violazione del principio di segretezza, deve essere oggetto di apposita e puntuale prova si verifica solo nel caso in cui tra le imprese concorrenti vi sia una situazione di influenza dominante, dovuta all'esistenza di un controllo ai sensi dell'art. 2359 c.c., o perché la comunanza di interessi è ravvisabile in una situazione di intreccio degli organi amministrativi e di rappresentanza che facciano ritenere plausibile una reciproca conoscenza o condizionamento delle rispettive offerte; pertanto, la sussistenza di un rapporto di controllo tra società ai sensi dell'art. 2359 c.c. non inficia "ex se" l'esito della gara ove non sia dimostrata l'influenza negativa sul corretto andamento della stessa.”</em> (Consiglio Stato , sez. IV, 04 febbraio 2003, n. 560)</div>Massimo Contihttp://www.blogger.com/profile/00309411404827751864noreply@blogger.com0tag:blogger.com,1999:blog-8988206448054796447.post-9478814064088954442009-07-17T02:26:00.000-07:002009-07-17T02:28:24.370-07:00<div align="justify"><strong>La variazione essenziale in edilizia, con particolare riferimento alla legislazione del Piemonte<br /></strong><br />La variazione essenziale, disciplinata dall'art. 32 del testo unico delle edilizia d.p.r. 6 giugno 2001, n. 380, costituisce una tipologia di abuso edilizio, che si pone tra le difformità totale e la difformità parziale del permesso di costruire. L'abuso è soggetto allo stesso regime sanzionatorio previsto per la difformità totale e per l'assenza di permesso di costruire. Sul piano penale, tuttavia, la fattispecie è punita meno severamente: infatti, la variazione essenziale non rientra nella sanzione di cui all'art. 44, lettera b, del d.p.r. 380/2001 ma nella più lieve contravvenzione di cui alla lettera a, punibile con la sola ammenda.<br />Per quanto riguarda la determinazione delle variazioni essenziali, l'art. 32 del T.U. dell'edilizia rinvia alle previsioni della legislazione regionale precisando, tuttavia, che l'essenzialità ricorre esclusivamente quando si verifica una o più delle seguenti condizioni:<br />a) mutamento della destinazione d'uso che implichi variazione degli standards previsti dal decreto ministeriale 2 aprile 1968, pubblicato nella Gazzetta Ufficiale n. 97 del 16 aprile 1968;<br />b) aumento consistente della cubatura o della superficie di solaio da valutare in relazione al progetto approvato;<br />c) modifiche sostanziali di parametri urbanistico-edilizi del progetto approvato ovvero della localizzazione dell'edificio sull'area di pertinenza;<br />d) mutamento delle caratteristiche dell'intervento edilizio assentito;<br />e) violazione delle norme vigenti in materia di edilizia antisismica, quando non attenga a fatti procedurali.<br />Devono essere fatte, a questo punto, due precisazioni: la prima è che, ai sensi del secondo comma della disposizione da ultimo citata, non possono ritenersi comunque variazioni essenziali quelle che incidono sull'entità delle cubature accessorie, sui volumi tecnici e sulla distribuzione interna delle singole unità abitative. La seconda è che le variazioni essenziali effettuate su immobili sottoposti a vincolo storico, artistico, architettonico, archeologico, paesistico ed ambientale, nonché su immobili ricadenti sui parchi o in aree protette nazionali regionali sono equiparate, ai sensi del terzo comma del l'art. 32 del T.U. dell'edilizia, agli interventi in totale difformità e pertanto sanzionati ai sensi degli affetti degli articoli 31 e 44.<br />La regione Piemonte ha disciplinato la materia con gli artt. 6, 7, e 8 della L.R.P. 8 luglio 1999, n. 19. L'art. 6 dispone che la variazione essenziale al progetto approvato si realizza quando si verificano almeno una delle seguenti condizioni:<br />a) mutamento della destinazione d'uso degli immobili o di parti di unità immobiliari, superiori al 30 per cento della superficie utile lorda dell'unità stessa o superiori a 20 metri quadrati per unità immobiliare, qualora ciò comporti il passaggio da una ad altra categoria di cui all'articolo 8, comma 1, lettere a), b), c), d), e), f);<br />b) aumento di entità superiore al 5 per cento di uno dei seguenti parametri: superficie coperta, superficie utile lorda, volumetria;<br />c) riduzione di entità superiore al 10 per cento di uno dei seguenti parametri: distanza da altri fabbricati, dai confini di proprietà, dalle strade;<br />d) modifica della localizzazione dell'edificio sull'area di pertinenza, quando la sovrapposizione della sagoma a terra dell'edificio in progetto e di quello realizzato, per effetto di rotazione o traslazione di questo, sia inferiore al 50 per cento;<br />e) violazione delle norme vigenti in materia di edilizia antisismica, quando non attenga a fatti procedurali.<br />La destinazione d'uso in atto dell'immobile o dell'unità immobiliare, ai sensi dell'art. 7 L.R.P. 19/1999, è determinata dalla licenza edilizia o dalla concessione (oggi permesso di costruire) o dall'autorizzazione e, in assenza o in determinazione italiana che, dalla classificazione catastale attribuito in sede di prima accatastamento o da altri documenti probanti.<br />L'art. 8 della L.R.P. 19/99 disciplina il mutamento delle destinazioni d'uso. Nel primo comma si prescrive che il mutamento di destinazione d'uso da subordinare a concessione (ora permesso di costruire) si verifica, anche in assenza di opere edilizie, quando avviene il passaggio dall'una all'altra delle seguenti categorie:<br />a) destinazioni residenziali;<br />b) destinazioni produttive, industriali o artigianali;<br />c) destinazioni commerciali;<br />d) destinazioni turistico-ricettive;<br />e) destinazioni direzionali;<br />f) destinazioni agricole.<br /><br /><br /><br /><strong>Giurisprudenza in materia di variazioni essenziali</strong><br /></div><div align="justify">"L'art. 31 t.u. edilizia (dPR 380 del 2001) àncora la comminazione della sanzione della rimozione o della demolizione alla realizzazione d'interventi eseguiti in assenza di permesso di costruire in totale difformità o con variazioni essenziali: in tale ambito rientrano la tamponatura del porticato esterno, in termini di variazione essenziale, mentre non vi rientrano in astratto l'apertura di finestra con veduta sul fondo confinante e la realizzazione di una porta d'accesso, i quali sono di consistenza minima tali da richiedere per l'irrogazione della demolizione accertamenti approfonditi da cui desumere inconfutabilmente l'alterazione vera e propria delle caratteristiche tipologiche dell'edificio principale" (T.A.R. Liguria Genova, sez. I, 23 febbraio 2009, n. 256).<br />“La trasformazione di una copertura di edificio da lastrico solare a terrazza, in Sicilia, richiede la concessione edilizia, in quanto variazione essenziale, ai sensi dell'art. 8 della l. 47/85 ed in quanto muta la funzione urbanistica della copertura medesima, da elemento prevalentemente di copertura ad elemento strutturale finalizzato parimenti alla fruizione umana, rendendola, come tale, atta all'applicazione della normativa in tema di procedimento semplificato per l'autorizzazione alla copertura delle terrazze, ex art. 20 l. rg. 4/2003”(T.A.R. Sicilia Catania, sez. I, 10 novembre 2008, n. 2068).<br />“La costruzione "sine titulo" di un solaio che, sia pure a parità di superficie coperta e di volumetria, comporta la realizzazione di un intero aggiuntivo piano abitabile e raddoppia la superficie abitabile dell'edificio, è opera di sicura rilevanza edilizia che configura una variazione essenziale del fabbricato preesistente, atteso che ai fini del carico urbanistico la superficie abitabile è evidentemente un parametro più significativo della volumetria” (T.A.R. Umbria Perugia, sez. I, 04 agosto 2008, n. 467).<br />“L'incremento dell'altezza e del volume di un fabbricato, dovuta all'emersione fuori terra di volumi tecnici o di cubature accessorie, a seguito di una diversa ubicazione dell'edificio sul lotto, rispetto a quella in precedenza assentita, non comporta una variazione essenziale del progetto, posto che la normativa nazionale di cui all'art. 8 l. n. 47 del 1985 esclude espressamente volumi e cubature di tale natura dal computo del volume assentibile” (Consiglio Stato , sez. V, 27 aprile 2006, n. 2363).<br /><br />Legislazione in materia di variazione essenziale<br /><br /><strong>D.P.R. 6.6.2001, n. 380</strong><br />Art. 32 (L) Determinazione delle variazioni essenziali (legge 28 febbraio 1985, n. 47, art. 8)<br /><br />1. Fermo restando quanto disposto dal comma 1 dell'articolo 31, le regioni stabiliscono quali siano le variazioni essenziali al progetto approvato, tenuto conto che l'essenzialità ricorre esclusivamente quando si verifica una o più delle seguenti condizioni:<br /><br />a) mutamento della destinazione d'uso che implichi variazione degli standards previsti dal decreto ministeriale 2 aprile 1968, pubblicato nella Gazzetta Ufficiale n. 97 del 16 aprile 1968;<br /><br />b) aumento consistente della cubatura o della superficie di solaio da valutare in relazione al progetto approvato;<br /><br />c) modifiche sostanziali di parametri urbanistico-edilizi del progetto approvato ovvero della localizzazione dell'edificio sull'area di pertinenza;<br /><br />d) mutamento delle caratteristiche dell'intervento edilizio assentito;<br /><br />e) violazione delle norme vigenti in materia di edilizia antisismica, quando non attenga a fatti procedurali.<br /><br />2. Non possono ritenersi comunque variazioni essenziali quelle che incidono sulla entità delle cubature accessorie, sui volumi tecnici e sulla distribuzione interna delle singole unità abitative.<br /><br />3. Gli interventi di cui al comma 1, effettuati su immobili sottoposti a vincolo storico, artistico, architettonico, archeologico, paesistico ed ambientale, nonché su immobili ricadenti sui parchi o in aree protette nazionali e regionali, sono considerati in totale difformità dal permesso, ai sensi e per gli effetti degli articoli 31 e 44. Tutti gli altri interventi sui medesimi immobili sono considerati variazioni essenziali.<br /></div><div align="justify"><br /><br /><strong>L.R.P. 8 luglio 1999, n. 19<br /></strong><br />Art. 6 Determinazione delle variazioni essenziali al progetto approvato<br /><br />1. Agli effetti degli articoli 7 e 8 della legge 28 febbraio 1985, n. 47 (Norme in materia di controllo dell'attività urbanistico-edilizia, sanzioni, recupero e sanatoria delle opere abusive) e successive modifiche ed integrazioni si ha variazione essenziale al progetto approvato quando si verificano una o più delle seguenti condizioni:<br />a) mutamento della destinazione d'uso degli immobili o di parti di unità immobiliari, superiori al 30 per cento della superficie utile lorda dell'unità stessa o superiori a 20 metri quadrati per unità immobiliare, qualora ciò comporti il passaggio da una ad altra categoria di cui all'articolo 8, comma 1, lettere a), b), c), d), e), f);<br />b) aumento di entità superiore al 5 per cento di uno dei seguenti parametri: superficie coperta, superficie utile lorda, volumetria;<br />c) riduzione di entità superiore al 10 per cento di uno dei seguenti parametri: distanza da altri fabbricati, dai confini di proprietà, dalle strade;<br />d) modifica della localizzazione dell'edificio sull'area di pertinenza, quando la sovrapposizione della sagoma a terra dell'edificio in progetto e di quello realizzato, per effetto di rotazione o traslazione di questo, sia inferiore al 50 per cento;<br />e) violazione delle norme vigenti in materia di edilizia antisismica, quando non attenga a fatti procedurali.<br />2. Non possono ritenersi comunque variazioni essenziali quelle che incidono sulla entità delle cubature accessorie, sui volumi tecnici e sulla distribuzione interna delle singole unità abitative.<br />3. Gli interventi di cui al comma 1, effettuati su immobili sottoposti a vincolo storico, artistico, architettonico, archeologico, paesistico ed ambientale, nonché su immobili ricadenti in parchi o in aree protette, nazionali e regionali, sono considerati in totale difformità dalla concessione, ai sensi e per gli effetti degli articoli 7e 20della l. 47-1985.<br /><br /><br />Art. 7 - Accertamento della destinazione d'uso in atto<br /><br />La destinazione d'uso in atto dell'immobile o dell'unità immobiliare é quella stabilita dalla licenza edilizia o dalla concessione o dall'autorizzazione e, in assenza o indeterminazione di tali atti, dalla classificazione catastale attribuita in sede di primo accatastamento o da altri documenti probanti.<br /><br /><br />Art. 8 - Mutamenti delle destinazioni d'uso<br /><br />1. Costituisce mutamento di destinazione d'uso, subordinato a concessione, il passaggio, anche senza opere edilizie, dall'una all'altra delle seguenti categorie:<br />E<br />2. I comuni, se lo ritengono necessario, all'atto della predisposizione degli strumenti urbanistici, o con modifica a quelli vigenti approvata con le procedure dell'articolo 17, comma 7, della l.r. 56-1977, come modificato dall'articolo 1 della legge regionale 29 luglio 1997, n. 41, possono individuare, all'interno delle categorie del comma 1, ulteriori articolazioni delle destinazioni d'uso, il passaggio dall'una all'altra delle quali costituisce anch'esso, anche in assenza di opere edilizie, modifica di destinazione d'uso, da subordinare ad autorizzazione.<br />3. L'istanza di autorizzazione, conforme alla normativa urbanistica ed edilizia, si intende accolta qualora l'autorità comunale non si pronunci entro novanta giorni dalla presentazione. Il silenzio assenso non si forma per gli interventi su immobili soggetti ai vincoli previsti dalle leggi 1° giugno 1939, n. 1089 (Tutela delle cose di interesse artistico o storico) e 29 giugno 1939, n. 1497 (Protezione delle bellezze naturali), e successive modifiche ed integrazioni.<br />4. É fatta salva la prescrizione del primo comma, lettera a) dell'articolo 48 della l.r. 56-1977, come modificato dall'articolo 44 della legge regionale 6 dicembre 1984, n. 61.<br />5. I mutamenti delle destinazioni d'uso, anche in assenza di opere edilizie, sono onerosi solo nei casi in cui si verifichi il passaggio dall'una all'altra delle categorie elencate al comma 1.<br />6. L'onerosità é commisurata alla differenza tra gli oneri dovuti per la classe della nuova destinazione d'uso e quelli dovuti per la destinazione in atto. Il concessionario é tenuto al versamento dell'importo corrispondente al saldo, se positivo.<br /><br /></div>Anonymoushttp://www.blogger.com/profile/07368369773792917576noreply@blogger.com0tag:blogger.com,1999:blog-8988206448054796447.post-46045930304579141212009-06-25T04:11:00.000-07:002009-06-25T04:18:39.817-07:00<div align="justify"><strong>La ristrutturazione edilizia alla luce del D.P.R. 6 giungo 2001 n. 380 (T.U. sull'edilizia)</strong></div><div align="justify"><br />Il Testo Unico dell'edilizia ha modificato la nozione di ristrutturazione edilizia.<br /><a name="J"></a>L'art. 3, comma 1, dove vengono indicate le definizioni degli interventi edilizi, alla lettera d) dispone : <em>«"interventi di ristrutturazione edilizia", gli interventi rivolti a trasformare gli organismi edilizi mediante un insieme sistematico di opere che possono portare ad un organismo edilizio in tutto o in parte diverso dal precedente. Tali interventi comprendono il ripristino o la sostituzione di alcuni elementi costitutivi dell'edificio, l'eliminazione, la modifica e l'inserimento di nuovi elementi ed impianti. Nell'ambito degli interventi di ristrutturazione edilizia sono ricompresi anche quelli consistenti nella demolizione e ricostruzione con la stessa volumetria e sagoma di quello preesistente, fatte salve le sole innovazioni necessarie per l'adeguamento alla normativa antisismica»</em>.<br />L'aspetto caratteristico di tale tipologia di intervento consiste nella trasformazione in un organismo edilizio in tutto o in parte diverso da quello originario: la novità può essere determinata dal ripristino o dalla sostituzione di alcuni elementi costitutivi dell'edificio, l'eliminazione, la modifica e l'inserimento di nuovi elementi ed impianti.<br /><a name="2"></a><a name="BW5"></a><a name="14"></a><a name="BW4"></a><a name="13"></a><a name="BW3"></a><a name="12"></a><a name="BW1"></a><a name="11"></a><a name="BW2"></a><a name="1"></a>La definizione di ristrutturazione ora comprende anche la demolizione e ricostruzione. In merito occorre ricordare che la giurisprudenza penale e la dottrina più risalenti escludevano che tale tipo di intervento fosse compreso nella ristrutturazione. Addirittura, il titolare di una concessione edilizia per la ristrutturazione di un immobile rispondeva del reato di costruzione abusiva qualora lo avesse demolito integralmente o pressoché integralmente e poi ricostruito (cfr. ad es. Cassazione penale , sez. III, 13 novembre 1987: <em>“La ricostruzione "ex novo" di uno stabile, previa demolizione di quello preesistente, non costituisce un intervento di straordinaria manutenzione, nè di restauro o di risanamento edilizio (i quali necessitano solo dell'autorizzazione, la cui mancanza o difformità non è più sanzionata penalmente) e nemmeno di ristrutturazione edilizia (per la quale è tuttavia necessaria la concessione) in quanto tutti questi interventi richiedono che l'edificio preesistente non venga completamente demolito ma sostanzialmente "conservato" sia pure con modifiche particolarmente incisive: pertanto la riedificazione di un immobile esula dalle ipotesi classificatorie di cui all'art. 31 legge n. 457 del 1978 e richiede il previo rilascio della concessione edilizia.”</em>).<br /><a name="21"></a><a name="BW21"></a><a name="18"></a><a name="BW11"></a><a name="17"></a><a name="BW31"></a><a name="16"></a><a name="BW41"></a><a name="15"></a><a name="22"></a><a name="BW22"></a><a name="112"></a><a name="BW12"></a><a name="111"></a><a name="BW32"></a><a name="110"></a><a name="BW42"></a><a name="19"></a>La giurisprudenza amministrativa e in special modo quella del Consiglio di Stato, facendo leva sulla novità dell'organismo edilizio, erano più aperte e ammettevano la demolizione e ricostruzione nell'ambito della ristrutturazione. Il limite di ammissibilità era costituito dalla fedeltà della ricostruzione (cfr. tra le più risalenti Consiglio Stato , sez. V, 17 ottobre 1987, n. 637: <em>“Alla stregua della nozione enunciata dall'art. 31 l. 5 agosto 1978 n. 457, nell'ambito della "ristrutturazione edilizia" debbono farsi rientrare anche gli interventi consistenti nella demolizione e successiva ricostruzione di un fabbricato.”</em>; e Consiglio Stato , sez. V, 28 giugno 1988, n. 416: <em>“La ristrutturazione edilizia di un edificio può essere eseguita anche mediante demolizione del fabbricato preesistente e successiva ricostruzione nei limiti di quanto autorizzato.”</em> )<br />Il, T.U. Edilizia, nella formulazione originaria dell'art. 3, lett. d), aveva recepito tale indirizzo che si era affermato nel tempo.<br />Successivamente, tale articolo è stato modificato dall'art. 1 del D.Lgs. 27 dicembre 2002 n. 301, il quale ha eliminato il riferimento alla “fedele ricostruzione” sostituendolo con la prescrizione che il risultato finale coincida nella volumetria e nella sagoma con il preesistente fabbricato demolito.<br />La nozione di ristrutturazione edilizia, seppur al di fuori della norma definitoria dell'art. 3, è stata infine estesa anche agli <em>“interventi che comportino aumenti di unità immobiliari, modifiche del volume, della sagoma, dei prospetti o delle superfici, ovvero che limitatamente agli immobili compresi nelle zone omogenee A comportino mutamenti della destinazione d'uso”</em> (art. 10, comma 1, lett. c, T.U. Edilizia).<br />In conclusione, allo stato gli interventi di ristrutturazione edilizia possono essere distinti in tre diversi tipi:<br />“<strong>ristrutturazione pesante</strong>” ex 10, comma 1, lett. C, T.U. EdiliziaT.U. Edilizia, che deve essere autorizzata con permesso di costruire o dia “sostitutiva” ex art. 22, comma 3, lett. a;<br />"<strong>ristrutturazione lieve</strong>” costituita dagli interventi che non rivestono i requisiti di cui all'art. 10, comma 1, lett. C, T.U. Edilizia, che sono autorizzabili con d.i.a. ex art. 22, comma 1 T.U. Edilizia;<br />"<strong>ristrutturazione con demolizione e ricostruzione in sagoma e volume</strong>” ex art. 3, comma 1, T.U. Edilizia che non consente modifiche profonde come la ristrutturazione pesante ed è autorizzabile con d.i.a. Ex art. 22, comma 1, citato. </div>Massimo Contihttp://www.blogger.com/profile/00309411404827751864noreply@blogger.com0tag:blogger.com,1999:blog-8988206448054796447.post-62621268560637188082009-06-15T04:23:00.000-07:002009-06-15T04:30:39.272-07:00<strong><a href="http://giurisprudenza-amministrativa.blogspot.com/2009/06/consiglio-di-stato-sez-v-ordinanza-4.html">Consiglio di Stato, V - ordinanza 4 giugno 2009 n. 3457 </a></strong><br /><br /><div align="justify"><strong>Il Caso<br /></strong>Un Comune appellava la sentenza del TAR con la quale, in accoglimento del ricorso per l’ottemperanza ai sensi dell’art. 37 della legge n. 1034 del 1971, si ordinava all’amministrazione di restituire alla ricorrente le particelle fondiarie descritte nella motivazione della sentenza del giudice ordinario, previo abbattimento di un manufatto realizzato dall’amministrazione.<br />La parte appellata non si costituì in giudizio.<br />Nel corso del processo l’amministrazione depositò una memoria con allegato un atto di transazione di rinuncia alla restituzione del bene che avrebbe determinato la sopravvenuta carenza di interesse a ricorrere. </div><div align="justify"><br /><strong>Massime estratte dalla decisione</strong><br />1. Quando nel corso del giudizio sono prodotti documenti non indicati negli atti introduttivi che possano determinare l’inammissibilità o l’infondatezza della pretesa della parte non costituita, è necessario notificare a quest’ultima i suddetti documenti.<br />2. E’ applicabile al giudizio amministrativo il principio espresso dalla Corte Costituzionale nella sentenza 28.11.1986 n. 250, che ha dichiarato costituzionalmente illegittimo l’art. 292 c.p.c. per contrasto con l’art. 24 Cost. nella parte in cui non prevede la notificazione al contumace del verbale in cui si dà atto della produzione della scrittura privata nei procedimenti di cognizione ordinaria.</div><div align="justify"><br /><strong>Norme rilevanti</strong><br />Art. 292 c.p.c.<br />Notificazione e comunicazione di atti al contumace<br />L'ordinanza che ammette l'interrogatorio o il giuramento, e le comparse contenenti domande nuove o riconvenzionali da chiunque proposte sono notificate personalmente al contumace nei termini che il giudice istruttore fissa con ordinanza.<br />Le altre comparse si considerano comunicate con il deposito in cancelleria e con l'apposizione del visto del cancelliere sull'originale.<br />Tutti gli altri atti non sono soggetti a notificazione o comunicazione.<br />Le sentenze sono notificate alla parte personalmente.<br /></div><div align="justify"><strong>Precedenti rilevanti<br /></strong>Corte Cost., 28 novembre 1986 n. 250, che ha dichiarato l'illegittimità costituzionale del presente articolo nella parte in cui non prevede la notificazione al contumace del verbale in cui si dà atto della produzione della scrittura privata nei procedimenti di cognizione ordinaria dinanzi al pretore e al giudice di pace.</div><div align="justify">Corte cost. 6 giugno 1989 n. 317, che ha dichiarato l'illegittimità costituzionale del presente comma, in relazione all'art. 215 n. 1, dello stesso codice, nella parte in cui non prevede la notificazione al contumace del verbale in cui si dà atto della produzione della scrittura privata non indicata in atti notificati in precedenza.</div>Massimo Contihttp://www.blogger.com/profile/00309411404827751864noreply@blogger.com0tag:blogger.com,1999:blog-8988206448054796447.post-75321046749546284642009-05-14T05:29:00.000-07:002009-05-14T05:34:57.134-07:00<strong><a href="http://giurisprudenza-amministrativa.blogspot.com/2009/05/tar-piemonte-sez-i-24-aprile-2009-n.html">TAR Piemonte, Sez. I, 24 aprile 2009, n. 1180</a></strong><br /><strong></strong><div align="justify"><br /><strong>Il Caso</strong><br />Con un provvedimento di urgenza del maggio 2004 a tutela della pubblica incolumità, il sindaco di un Comune ordinava ad una ditta privata di procedere per conto dello stesso ente alla demolizione di un fabbricato rurale pericolante prospiciente una strada.<br />Quasi un anno dopo la proprietaria del fabbricato convenne avanti al giudice ordinario il Comune, per sentirlo condannare al risarcimento dei danni per l’avvenuta demolizione. Il giudizio si concluse con la dichiarazione del difetto di giurisdizione a favore del giudice amministrativo e preso atto di tale pronuncia il privato propose ricorso avanti al Tar impugnando l’ordinanza del 2004 e chiedendo il risarcimento danni.</div><div align="justify"><br /><strong>Massime estratte dalla decisione</strong><br />1. La salvaguardia degli effetti sostanziali e processuali conseguenti alla proposizione della domanda davanti al giudice sfornito di giurisdizione non può costituire, de iure condito, un mezzo per aggirare i termini decadenziali previsti dalla legge per la tutela dei diritti e degli interessi legittimi nella sede propria, ossia davanti al giudice munito di giurisdizione. Diversamente opinando, la proposizione della domanda risarcitoria davanti al giudice civile, anche laddove esso sia pacificamente sfornito di giurisdizione, costituirebbe strumento di agevole utilizzazione per eludere il rispetto dei termini decadenziali di impugnazione degli atti amministrativi illegittimi, nel caso in cui l’inerzia dell’interessato li abbia fatti spirare inutilmente.<br />2. Il principio della pregiudiziale amministrativa, fondato sull’impossibilità di accertare in via incidentale l’illegittimità dell’atto quale elemento costitutivo della responsabilità aquiliana della pubblica amministrazione, costituisce fondamentale presidio a tutela della certezza delle situazioni giuridiche di diritto pubblico, in connessione con il termine decadenziale prescritto per l’impugnazione dei provvedimenti amministrativi.<br />3. L’affermazione del principio della pregiudiziale non comporta una preclusione di ordine processuale all’esame della domanda risarcitoria, ma ne determina l’esito negativo nel merito<br />La domanda di risarcimento del danno derivante da un provvedimento che è stato tardivamente impugnato è, quindi, ammissibile, ma è infondata nel merito in quanto la tardiva impugnazione consente all’atto fonte del danno di operare in modo precettivo, dettando la regola del caso concreto, autorizzando la produzione dei relativi effetti ed imponendone l’osservanza ai consociati, così impedendo che il danno possa essere considerato ingiusto o illecita la condotta tenuta dall’amministrazione in esecuzione dell’atto medesimo.</div><div align="justify"><br /><strong>Precedenti rilevanti</strong><br />Sui termini decadenziali e la salvaguardia degli effetti sostanziali e processuali cfr. Cons. Stato, sez. V, 14 aprile 2008, n. 1606)<br />Sulla questione della pregiudiziale amministrativa si rimanda a <a href="http://giurisprudenza-amministrativa.blogspot.com/2009/04/consiglio-di-stato-iv-31-marzo-2009-n.html">Consiglio di Stato, IV, 31 marzo 2009, n. 1917</a>, già pubblicata su questo blog, e alle decisioni ivi citate.</div>Massimo Contihttp://www.blogger.com/profile/00309411404827751864noreply@blogger.com0tag:blogger.com,1999:blog-8988206448054796447.post-38958347349951984472009-05-13T06:13:00.001-07:002009-05-13T06:15:42.517-07:00<span lang="IT"><p align="justify"><strong><a href="http://giurisprudenza-amministrativa.blogspot.com/2009/05/corte-di-cassazione-ssuu-ordinanza-17.html">Corte di Cassazione, SS.UU., ordinanza 17 aprile 2009 n. 9151</a></strong></p><p align="justify"></p><b><p align="justify">Il Caso</p></b><p align="justify">Una società immobiliare ed un Comune stipulano una convenzione urbanistica in attuazione di un programma integrato di intervento.</p><p align="justify">Insorta una controversia, le parti addivengono ad una transazione. Successivamente, però, nasce una nuova controversia nella quale il Comune adisce il T.A.R. chiedendo l'accertamento dell'obbligo della società ad eseguire una prestazione (nel caso di specie un Centro culturale polivalente) e la condanna al risarcimento dei danni conseguenti alla mancata esecuzione dell'opera.</p><p align="justify">La società immobiliare ha proposto regolamento di giurisdizione, sostenendo che la cognizione della controversia spetta al Giudice ordinario, in quanto la controversia ha ad oggetto l'esecuzione non di un accordo integrativo o sostitutivo di provvedimento amministrativo (L. n. 241 del 1990, art. 11), ma un atto di transazione, venendo quindi in evidenza l'adempimento di obbligazioni di natura privatistica, e ciò in riferimento a tutte le domande del Comune; Il Comune sostiene, nel proposto controricorso, che i rapporti tra le parti resterebbero pur sempre regolati da una convenzione urbanistica, per cui la causa resterebbe attratta nella giurisdizione esclusiva prevista per tali controversie, non operando nella specie la L. n. 1034 del 1971, art. 5, comma 2, invocato dal ricorrente.</p><p align="justify"></p><b><p align="justify">Massime estratte dalla decisione</p></b><p align="justify">1. La convenzione urbanistica diretta a disciplinare il rilascio di concessioni edilizie e la realizzazione di opere di urbanizzazione costituisce una convenzione di lottizzazione, rientrante tra gli accordi sostitutivi del provvedimento rispetto ai quali la L. n. 241 del 1990, art. 11, comma 5, prevede la giurisdizione esclusiva del Giudice amministrativo per le controversie relative alla formazione, conclusione ed esecuzione di detti accordi.</p><p align="justify">2. La giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo in materia di convenzioni urbanistiche non viene meno nell'ipotesi in cui, insorti alcuni contenziosi e concluso tra la parte privata ed il Comune un accordo transattivo con modifica della convenzione originaria, venga giudizialmente richiesta l'esecuzione di una determinata opera da parte dell'Ente comunale e la condanna della società al risarcimento del danno per la ritardata esecuzione dell'opera stessa. L'accordo transattivo e la successiva variante alla convenzione originaria sono infatti comunque collegati a detta convenzione, per cui si tratta di atti - con contenuto riconducibile alle problematiche relative agli oneri di urbanizzazione - endoprocedimentali all'interno di un procedimento amministrativo complesso, finalizzato a consentire al privato di edificare su terreni di sua proprietà e la controversia non attiene ad aspetti meramente patrimoniali del rapporto concessorio, involgendo invece valutazioni strettamente inerenti a detto rapporto nel momento funzionale </p><p align="justify"></p><p align="justify"> </p><b><p align="justify">Norme rilevanti</p><p align="justify">Legge 7 agosto 1990 n. 241</p><p align="justify">Articolo 11 - (Accordi integrativi o sostitutivi del provvedimento)</p></b><p align="justify">1. In accoglimento di osservazioni e proposte presentate a norma dell'articolo 10, l'amministrazione procedente può concludere, senza pregiudizio dei diritti dei terzi, e in ogni caso nel perseguimento del pubblico interesse, accordi con gli interessati al fine di determinare il contenuto discrezionale del provvedimento finale ovvero in sostituzione di questo. </p><p align="justify">1-bis. Al fine di favorire la conclusione degli accordi di cui al comma 1, il responsabile del procedimento può predisporre un calendario di incontri cui invita, separatamente o contestualmente, il destinatario del provvedimento ed eventuali controinteressati.</p><p align="justify">2. Gli accordi di cui al presente articolo debbono essere stipulati, a pena di nullità, per atto scritto, salvo che la legge disponga altrimenti. Ad essi si applicano, ove non diversamente previsto, i principi del codice civile in materia di obbligazioni e contratti in quanto compatibili.</p><p align="justify">3. Gli accordi sostitutivi di provvedimenti sono soggetti ai medesimi controlli previsti per questi ultimi.</p><p align="justify">4. Per sopravvenuti motivi di pubblico interesse l'amministrazione recede unilateralmente dall'accordo, salvo l'obbligo di provvedere alla liquidazione di un indennizzo in relazione agli eventuali pregiudizi verificatisi in danno del privato.</p><p align="justify">4-bis. A garanzia dell'imparzialità e del buon andamento dell'azione amministrativa, in tutti i casi in cui una pubblica amministrazione conclude accordi nelle ipotesi previste al comma 1, la stipulazione dell'accordo è preceduta da una determinazione dell'organo che sarebbe competente per l'adozione del provvedimento.</p><p align="justify">5. Le controversie in materia di formazione, conclusione ed esecuzione degli accordi di cui al presente articolo sono riservate alla giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo.</p><p align="justify"></p><p align="justify"> </p><b><p align="justify">Precedenti giurisprudenziali</p></b><p align="justify"></p></span><a href="http://mail.google.com/mail/O3%20SUU%20A2007%20N24009"><b><span lang="IT">Cassazione civile , sez. un., 20 novembre 2007, n. 24009</span></b></a><b><span style="font-size:130%;"><span lang="IT"><span style="font-size:85%;">,</span></span></span></b><span style="font-size:85%;"> secondo cui la convenzione urbanistica diretta a disciplinare il rilascio di concessioni edilizie e la realizzazione di opere di urbanizzazione costituisce una convenzione di lottizzazione, rientrante tra gli accordi sostitutivi del provvedimento rispetto ai quali l'art. 11, comma 5, l. n. 241 del 1990 prevede la giurisdizione esclusiva del G.A. per le controversie relative alla formazione, conclusione ed esecuzione di detti accordi. </span><p align="justify"><span style="font-size:85%;"></span></p><b><p align="justify"><span style="font-size:85%;">T.A.R. Toscana, Sez. I, 18 gennaio 2005 n. 153</span></p></b><span style="font-size:85%;">: Le convenzioni di lottizzazione di cui alla l. 6 agosto 1967 n. 765, quali strumenti di pianificazione di tipo attuativo del piano regolatore generale, avendo natura di accordi sostitutivi del provvedimento, rientrano nell'ambito delle previsioni di cui all'art. 11 l. 7 agosto 1990 n 241, con la conseguenza che le relative controversie ricadono nella giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo prevista da quest'ultima norma</span> <p align="justify"></p>Anonymoushttp://www.blogger.com/profile/07368369773792917576noreply@blogger.com0tag:blogger.com,1999:blog-8988206448054796447.post-70971785068744060372009-04-09T06:58:00.000-07:002009-04-09T07:00:16.290-07:00<div align="justify"><a href="http://giurisprudenza-amministrativa.blogspot.com/2009/04/consiglio-di-stato-iv-31-marzo-2009-n.html"><strong>Consiglio di Stato, IV, 31 marzo 2009, n. 1917</strong> </a><br /><br /><strong>Il Caso</strong><br />Un ufficiale dei carabinieri passò alle dipendenze del SISDE e là prestò servizio per dieci anni. In seguito fu trasferito ad altra amministrazione. Egli impugnò tardivamente gli atti relativi. T.a.r. e Consiglio di Stato dichiararono irricevibile il ricorso. L’ufficiale si rivolse allora al Tribunale del Lavoro per chiedere il risarcimento dei danni. Il giudice ordinario, tuttavia, dichiarò il difetto di giurisdizione in quanto i fatti erano antecedenti al 30 giugno 1998 (limite temporale di passaggio della giurisdizione al giudice ordinario ex D.Lgs. 80/1998). Il pubblico dipendente rivolse allora la richiesta di risarcimento al T.a.r. che, però, dichiarò inammissibile il ricorso sul presupposto dell’inoppugnabilità del provvedimento presupposto e della non proponibilità in via autonoma della domanda risarcitoria. La decisione del giudice amministrativo è stata appellata al Consiglio di Stato.<br /><br /><strong>Massime estratte dalla decisione<br /></strong>1. L’istituto della pregiudizialità amministrativa comporta l’infondatezza della domanda risarcitoria quando non sia stato impugnato tempestivamente il provvedimento da cui origina il danno. Il Collegio non ritiene infatti, di doversi discostare dal principio della sussistenza della c.d. pregiudiziale amministrativa, affermato dall’Adunanza Plenaria del Consiglio di Stato (Cons. Stato, Ad. plen. n. 12/2007) e dai propri recenti precedenti specifici (Cons. Stato, VI, 3 febbraio 2009. n. 587; 19 giugno 2008 n. 3059) con i quali questo Consiglio in relazione alle contrarie pronunce della Cassazione (Cass., sez. un., 13 giugno 2006 n. 13659 e n. 13660), ha già rilevato che l’applicazione del principio della pregiudiziale non comporta una preclusione di ordine processuale all’esame nel merito della domanda risarcitoria, ma determina un esito negativo nel merito dell’azione di risarcimento. Ne consegue che la domanda di risarcimento del danno derivante da provvedimento non impugnato (o tardivamente impugnato, come nel caso di specie) è ammissibile, ma è infondata nel merito in quanto la mancata impugnazione dell’atto fonte del danno consente a tale atto di operare in modo precettivo dettando la regola del caso concreto, autorizzando la produzione dei relativi effetti ed imponendone l’osservanza ai consociati ed impedisce così che il danno possa essere considerato ingiusto o illecita la condotta tenuta dall’Amministrazione in esecuzione dell’atto inoppugnato.<br />2. Il principio della pregiudiziale non si fonda, quindi, sull’impossibilità per il giudice amministrativo di esercitare il potere di disapplicazione, ma sull’impossibilità per qualunque giudice di accertare in via incidentale e senza efficacia di giudicato l’illegittimità dell’atto, quale elemento costitutivo della fattispecie della responsabilità aquiliana ex art. 2043 cod. civ.; in sostanza, ove l’accertamento in via principale sia precluso nel giudizio risarcitorio in quanto l’interessato non sperimenta, o non può sperimentare (a seguito di giudicato, decadenza, ecc.), i rimedi specifici previsti dalla legge per contestare la conformità a legge della situazione medesima, la domanda risarcitoria deve essere respinta nel merito perché il fatto produttivo del danno non è suscettibile di essere qualificato illecito (cfr., Cass. civ., II, 27 marzo 2003 n. 4538). La pregiudiziale amministrativa è, quindi, strettamente connessa al principio della certezza della situazioni giuridiche di diritto pubblico, al cui presidio è posto il breve termine decadenziale di impugnazione dei provvedimenti amministrativi.<br /><br /><strong>Precedenti giurisprudenziali</strong><br />La sentenza pubblicata è significativa del contrasto tra la giurisprudenza del Consiglio di Stato e quella della Corte di Cassazione che, come noto, ammette il risarcimento del danno anche in caso di omessa, tempestiva, impugnazione del provvedimento amministrativo fonte del danno.<br /><br />Corte di Cassazione, SS.UU., 23-12-2008, n. 30254, in relazione a ricorsi proposti avverso la decisione dell’Ad. Plen. n. 12 del 2007, ribadisce l’orientamento secondo cui è ricorribile in Cassazione la sentenza del G.A. che nega la tutela risarcitoria in ragione della mancata tempestiva impugnazione dell’atto amministrativo illegittimo.<br />Corte di Cassazione, SS.UU., ordinanza 13-6-2006, n. 13659, secondo cui il g.a. non può rifiutare di esaminare una domanda autonoma di risarcimento del danno "per la ragione che nel termine per ciò stabilito non sono stati chiesti l'annullamento dell'atto e la conseguente rimozione dei suoi effetti" e che una tale pronuncia è ricorribile per cassazione Corte di Cassazione, SS.UU., ordinanza 13-6-2006, n. 13660, secondo cui è proponibile innanzi al g.a. la domanda di risarcimento per illegittimo diniego di rilascio di una autorizzazione anche se non sia stato tempestivamente impugnato il provvedimento di diniego.<br />Consiglio di Stato, A.P., 22 ottobre 2007 n. 12, Consiglio di Stato, VI, 3-2-2009, n. 587, Consiglio di Stato, VI, sentenza 18-3-2008, n. 1137, che affermano la sussistenza della c.d. pregiudiziale amministrativa. </div>Anonymoushttp://www.blogger.com/profile/07368369773792917576noreply@blogger.com0tag:blogger.com,1999:blog-8988206448054796447.post-45158364665975402332009-04-03T06:44:00.000-07:002009-04-03T06:46:40.014-07:00<div align="justify"><a href="http://giurisprudenza-amministrativa.blogspot.com/2009/04/tar-lombardia-ii-29-dicembre-2008-n.html"><strong>T.A.R. Lombardia, II, 29 dicembre 2008, n. 6188</strong> </a><br /><br /><strong>Il Caso</strong><br />Alcuni proprietari di abitazioni situate nelle vicinanze di una proprietà sulla quale si stava eseguendo un intervento edilizio fondato su una denuncia di inizio attività (D.I.A.) segnalarono al Comune alcune irregolarità. L’amministrazione eseguì alcuni controlli ma non rilevò nulla di illegittimo. A questo punto, la D.I.A. e gli atti di accertamento del Comune furono impugnati e il T.A.R. adito ha pronunciato la sentenza che, incidentalmente, tratta il tema dell’impugnabilità della D.I.A. oggetto del presente post.<br /><br /><strong>Massime estratte dalla decisione</strong><br />1. Gli atti amministrativi emessi nell’esercizio del potere di controllo dell’attività edilizia sono impugnabili e consentono un sindacato ad ampio spettro sulla legittimità dell’intervento edilizio avviato con la denuncia di inizio attività, che il Comune non ha ritenuto di interdire, né di reprimere.<br />2. Tra gli indirizzi giurisprudenziali concernenti i mezzi di tutela del terzo leso dalla denuncia di inizio attività (D.I.A.) sembra in via di consolidamento quello favorevole alla diretta impugnabilità della D.I.A..<br /><br /><strong>Note in materia di tutela dei terzi a fronte di intervento edilizio realizzato sulla base di una denuncia di inizio attività (D.I.A.)</strong><br />E’ noto che al riguardo si possono individuare due indirizzi fondamentali, che differiscono per la diversa natura attribuita alla D.I.A.:<br />a) la D.I.A. costituisce atto di parte, non assimilabile ad un provvedimento amministrativo, come tale non direttamente impugnabile, per cui il terzo, secondo alcune pronunce, dovrebbe sollecitare l’amministrazione all’emanazione di provvedimenti sanzionatori e in caso di inerzia tutelarsi ricorrere avverso il silenzio ai sensi dell’art. 2 della legge 7 agosto 1990 n. 241; secondo altre decisioni dovrebbe promuovere un’azione di accertamento autonomo.<br />Sono espressione di tale orientamento:<br /> T.A.R. Lombardia, II, 15 novembre 2007, n. 6361, secondo cui: “In materia di denuncia di inizio attività edilizia, decorso il termine decadenziale senza l'esercizio del potere inibitorio, il terzo (estraneo sul piano della qualificazione degli interessi) che si oppone all'intervento può chiedere all'Amministrazione di esercitare il distinto potere sanzionatorio-repressivo degli abusi edilizi previsto dagli artt. 27 e segg. T.U. 6 giugno 2001 n. 380 ricorrendo, in caso di inerzia, alla procedura del silenzio ai sensi dell'art. 21 bis L. 6 dicembre 1971 n. 1034, con la conseguenza che l'accertamento dell'illegittimità di tale silenzio non ha per oggetto il potere inibitorio, da cui la P.A. è decaduta, ma il detto potere sanzionatorio”.<br /> T.A.R. Lombardia, II, 10 maggio 2007, n. 2894: “ Premesso che, pur dopo le modifiche apportate all'art. 19 comma 3 L. 7 agosto 1990 n. 241 dall'art. 3 L. 14 maggio 2005 n. 80, la denuncia di inizio attività edilizia ha natura di atto privato e di strumento di liberalizzazione delle attività, per cui, in presenza delle condizioni previste dalla legge l'ordinamento riconosce effetti tipici corrispondenti a quelli propri del permesso di costruire (e cioè, l'abilitazione all'esecuzione dell'intervento edilizio), tale declaratoria non è impugnabile direttamente e non può formare oggetto di domanda di annullamento, con la precisazione che a fronte del decorso del termine decadenziale entro il quale l'Amministrazione può esercitare, il potere d'inibizione della relativa attività, ai sensi dell'art. 23 commi 1 e 6 T.U. 6 giugno 2001 n. 380, il terzo che si oppone all'intervento può chiedere alla P.A. di esercitare il distinto potere sanzionatorio-repressivo degli abusi edilizi previsto dagli artt. 27 e segg. T.U. n. 380 cit. e, in caso di inerzia, può fare ricorso alla procedura del silenzio-rifiuto a norma dell'art. 21 bis L. 6 dicembre 1971 n. 1034.<br /> Consiglio di Stato, V, 19 giugno 2006, n. 3586: “ La denuncia di inizio attività si configura come atto di iniziativa privata e la legittimazione all’esercizio dell’attività non è fondata su un atto di consenso dell’Amministrazione, ma trova la propria fonte direttamente nella legge”.<br /> T.A.R. Campania, Napoli, IV, 28 aprile 2006, n. 3858: “ La denuncia di inizio attività edilizia si pone come atto di parte che consente al privato di realizzare un determinato intervento a seguito dell’inutile decorso di un termine di trenta giorni, cui è legato (a pena di decadenza) il potere dell’Amministrazione di verificare l’esistenza dei presupposti per il ricorso alla d.i.a. e il connesso potere di inibire l’esecuzione di tale intervento, con la conseguenza che, nel caso di mancato esercizio di tale potere, da un lato non si forma alcun provvedimenti di silenzio-assenso suscettibile di impugnazione e, dall’altro, la tutela del terzo che si oppone all’esecuzione dell’intervento passa attraverso la procedura disciplinata dall’art. 21 bis L. 6 dicembre 1971 n. 1034…”.<br /> Consiglio di Stato, VI, 9 febbraio 2009, n. 717, secondo cui, la D.I.A. costituisce atto di parte, non assimilabile ad un provvedimento amministrativo e pertanto lo strumento di tutela a disposizione del terzo va identificato nell’azione di accertamento diretta a verificare l’insussistenza dei presupposti per svolgere l’attività oggetto di D.I.A..<br />b) la D.I.A. costituisce una fattispecie provvedimentale a formazione implicita, per cui il terzo può impugnare l’atto di controllo positivo ricavabile dallo scadere del termine di 30 giorni, in assenza di intervento inibitorio della pubblica amministrazione. Espressione di tale orientamento sono le seguenti decisioni:<br /> Consiglio di Stato, IV, 25 novembre 2008, n. 5811: “L’atto di comunicazione dell’avvio dell'attività, a differenza di quanto accade nel caso del c.d. silenzio-assenso, disciplinato dall'articolo 20 della legge n. 241-1990, non è una domanda, ma una informativa, alla quale è subordinato l'esercizio del diritto. Ed il provvedimento, rispetto al quale l'amministrazione potrà esercitare poteri di autotutela (non solo vincolati a carattere repressivo, ma anche discrezionali di secondo grado, come oggi espressamente previsto dal secondo periodo del comma 3 del nuovo art. 19 T.U. edilizia), si forma con l’esperimento di un ben delineato modulo procedimentale, all’interno del quale la d.i.a. costituisce pur sempre una autocertificazione della sussistenza delle condizioni stabilite dalla legge per la realizzazione dell’intervento, sulla quale la P.A, svolge una attività eventuale di controllo, al tempo stesso prodromica e funzionale al formarsi, a séguito del mero decorso di detto periodo di tempo (e non, dunque, dell’effettivo svolgimento della attività medesima), del titolo necessario per il lecito dispiegarsi della attività del privato. Nel caso di d.i.a., anche dopo il decorso del termine di trenta giorni previsto per la verifica dei presupposti e requisiti di legge, l'Amministrazione non perde i propri poteri di autotutela, né nel senso di poteri di vigilanza e sanzionatorii né nel senso di poteri espressione dell’esercizio di una attività di secondo grado (estrinsecantisi nell’annullamento d’ufficio e nella revoca); mentre i terzi, che si assumano lesi dal silenzio prestato dall’Amministrazione a fronte della presentazione della d.i.a., si potranno gravare legittimamente non avverso il silenzio stesso, ma, nelle forme dell’ordinario giudizio di impugnazione, avverso il titolo, che, formatosi e consolidatosi nei modi di cui sopra, si configura in definitiva come fattispecie provvedimentale a formazione implicita”.<br /> Consiglio di Stato, IV, 29 luglio 2008, n. 3742: “La denuncia di inizio attività edilizia, che consente al privato di conseguire un titolo abilitativo a seguito del decorso di trenta giorni dalla presentazione, ha natura provvedimentale e può essere direttamente impugnata entro l'ordinario termine di decadenza decorrente dalla comunicazione al terzo del perfezionamento della denuncia stessa o dall'avvenuta conoscenza del consenso implicito all'intervento. (cfr. Sez. VI 5 aprile 2007 n. 1550, in questa Rassegna 2007, I, 514)”. </div>Anonymoushttp://www.blogger.com/profile/07368369773792917576noreply@blogger.com0tag:blogger.com,1999:blog-8988206448054796447.post-1176490092983932642009-03-27T09:09:00.000-07:002009-03-27T09:13:00.765-07:00<div align="justify"><a href="http://giurisprudenza-amministrativa.blogspot.com/2009/03/consiglio-di-stato-adunanza-plenaria-3.html"><strong>Consiglio di Stato, Adunanza Plenaria, 3 dicembre 2008, n. 13</strong> </a><br /><br /><strong>Il Caso</strong><br />La vicenda, tuttora in corso, è estremamente complessa, ha avuto inizio quaranta anni fa ed ha visto succedersi oltre dieci sentenze.<br />Una società, titolare di una convenzione di lottizzazione, risalente al 1971, impugna (nel 1975 e nel 1980) i dinieghi frapposti dall’Amministrazione al rilascio delle relative concessioni edilizie.<br />Tali provvedimenti di reiezione, sostanzialmente motivati dall’esistenza di vincoli idrogeologici e correlati alla subentrata normativa nazionale e regionale paesaggistica, vengono annullati dal TAR Lombardia (con la sentenza n° 800/79 e con la n° 385/85).<br />La statuizione del giudice di primo grado viene confermata dal Consiglio di Stato (Sentenza 3/88), segue poi il giudizio di ottemperanza (Sentenza 187/90) e la nomina del Commissario ad acta che adotta un provvedimento di variante urbanistica al P.R.G. (Delibera n° 1/91) che, in ossequio alla disciplina urbanistica nel frattempo intervenuta, ridimensiona le potenzialità edificatorie dell’area in questione.<br />Il provvedimento del commissario ad acta non riceve l’approvazione dell’amministrazione regionale (Delibera n° 39033/93), sempre in ragione dell’esistenza di vincoli paesaggistici.<br />Avverso tale provvedimento regionale la ricorrente ricorre dapprima davanti al Tar che, con sentenza 1146/95 respinge il ricorso, e poi appella al Consiglio di Stato che, viceversa, con la sentenza n° 2592/00, riforma la pronuncia di prime cure.<br />I successivi ricorsi per revocazione e per difetto di Giurisdizione vengono, nel 2002, dichiarati inammissibili.<br />A quel punto, il ricorrente propone tre nuovi ricorsi:<br />- il primo teso ad ottenere il risarcimento dei danni;<br />- il secondo riguardante la prosecuzione del giudizio di ottemperanza e l’adozione delle misure funzionali all’attività edificatoria;<br />- il terzo rivolto contro l’atto di adozione del nuovo Piano Regolatore Generale.<br />Il Tar Lombardia:<br />- respinge il primo ricorso (sentenza n° 182/07) in ragione della mancanza della prova della spettanza della pretesa sostanziale e del difetto di colpa dell’amministrazione.<br />- con riferimento al 2° ricorso (sentenza 217/07), nomina un nuovo commissario ad acta, in quanto il precedente avrebbe dovuto valutare la rilevanza del piano paesaggistico nel frattempo intervenuto nel 2001).<br />- con riguardo al terzo ricorso (sentenza 216/07), accoglie il medesimo ed annulla la variante della Regione (delibera 16/00) che non aveva tenuto conto della precedente sentenza 385/85 e delle successive pronunce rese in sede di esecuzione del giudicato.<br /><br /><strong>Massime estratte dalla decisione</strong><br />1. La risarcibilità degli interessi legittimi pretensivi presuppone il riconoscimento sostanziale della spettanza del bene della vita;<br />2. La spettanza del bene della vita non deriva automaticamente dall’annullamento di uno o più provvedimenti negativi ma richiede l’esistenza di elementi da cui desumere l’assenza di motivi ostativi al rilascio del provvedimento amministrativo richiesto<br />3. Quando non risultano motivi ostativi al rilascio della concessione edilizia (ora permesso di costruire) diversi dalla sopravvenuta disciplina in tema di vincolo idrogeologico, si può riconoscere la spettanza del bene della vita e dunque risarcibile l’interesse pretensivo<br />4. Non può negarsi il ricorrere dell’elemento della colpa nel caso di duplice ed insistita erroneità della posizione assunta dal Comune nei dinieghi annullati<br /><br /><strong>Precedenti giurisprudenziali<br /></strong>Consiglio di Stato, IV, 29 gennaio 2008 n. 248 e Consiglio di Stato, VI, 31 gennaio 2006, n. 321 secondo cui il giudizio prognostico al fine di stabilire la spettanza del bene della vita non può essere consentito allorché l’attività dell’amministrazione sia caratterizzata da consistenti margini di discrezionalità amministrativa.<br />Consiglio di Stato, VI, 30 settembre 2008 n. 4869 e Consiglio di Stato, VI, 18 marzo 2008 n. 1113, secondo cui l’accertamento della colpa dell’amministrazione va condotto in concreto ed è configurabile quando l’emanazione dell’atto illegittimo sia avvenuta in violazione delle regole proprie dell’azione amministrativa. </div>Anonymoushttp://www.blogger.com/profile/07368369773792917576noreply@blogger.com0tag:blogger.com,1999:blog-8988206448054796447.post-30281228858945152112009-03-18T03:31:00.000-07:002009-03-18T03:34:06.461-07:00<div align="justify"><a href="http://giurisprudenza-amministrativa.blogspot.com/2009/03/tar-lombardia-milano-iii-19-novembre.html"><strong>T.A.R. Lombardia, Milano, III, 19 novembre 2008, n. 5442</strong> </a><br /><br /><strong>Caso</strong><br />Una società, titolare di un software concernente la gestione integrata del sistema informativo comunale per il Settore dei Servizi socio-assistenziali partecipa ad una trattativa privata indetta da un comune.<br />Successivamente impugna gli atti di gara e l’aggiudicazione, contestando tra l’altro la violazione dell’art. 41 del R.D. n. 827 del 1924, nonché del d.P.R. n. 573/1994 e dell’art. 9 del D.lgs. n. 358/1992 nonché il vizio di eccesso di potere per violazione del corretto procedimento, per travisamento dei presupposti di fatto e di diritto, per carenza assoluta di istruttoria e per violazione dei diritti di privativa e tutela esistenti sul software della ricorrente, in quanto, ai sensi della vigente normativa nazionale e comunitaria, poiché il software chiesto dal Comune sarebbe stato protetto da un diritto di esclusiva, il predetto Comune avrebbe dovuto procedere ad acquistarlo direttamente dalla ricorrente a trattativa privata.<br /><br /><strong>Massima estratta dalla decisione<br /></strong>Se è vero che nel processo amministrativo non si applica il principio generale, desumibile dagli artt. 2697 c.c. e 115 c.p.c., secondo cui spetta a chi agisce in giudizio di provare i fatti posti a fondamento delle pretese avanzate e vige piuttosto la regola dell’onere del principio di prova, è però altrettanto vero che - nelle ipotesi in cui siano nella disponibilità della parte interessata gli elementi di prova atti a sostenerne la domanda giudiziale - il principio sull’onere della prova ex art. 2697 c.c. conserva integro il suo valore<br /><br /><strong>Norme rilevanti</strong><br />Articolo 2697 - Onere della prova.<br />[I]. Chi vuol far valere un diritto in giudizio deve provare i fatti che ne costituiscono il fondamento [115, 116 c.p.c.].<br />[II]. Chi eccepisce l'inefficacia di tali fatti ovvero eccepisce che il diritto si è modificato o estinto deve provare i fatti su cui l'eccezione si fonda.<br />Articolo 115 - Disponibilità delle prove.<br />[I]. Salvi i casi previsti dalla legge [1181 , 213, 240, 241, 257, 258, 4212 , 4372 ; 2736n. 2 c.c.], il giudice deve porre a fondamento della decisione le prove proposte dalle parti o dal pubblico ministero [722 ].<br />[II]. Può tuttavia, senza bisogno di prova, porre a fondamento della decisione le nozioni di fatto che rientrano nella comune esperienza.<br /><br /><strong>Giurisprudenza correlata</strong><br />T.A.R. Lazio, Roma, Sez. III, 18 gennaio 2006, n. 324, secondo cui nel processo amministrativo vige la regola dell’onere del principio di prova;<br />Consiglio di Stato, V, 26 maggio 2003 n. 1843, secondo cui il ricorrente deve fornire un indizio di prova che consenta l’innesco del potere ufficioso del giudice;<br />Consiglio di Stato, VI, 2 marzo 2004, n. 973; secondo cui: l'istruzione probatoria nel processo amministrativo di legittimità è governata, com'è noto, dal c.d. principio dispositivo attenuato dal metodo acquisitivo. In base a tale principio sul ricorrente non grava "l'onere della prova", come accade nel processo civile, ma "l'onere del principio di prova", nel senso che egli è tenuto semplicemente a prospettare al giudice adito una ricostruzione attendibile sotto il profilo di fatto e giuridico delle circostanze addotte, potendo il giudice acquisire d'ufficio gli elementi probatori indicati dalle parti ovvero ritenuti comunque necessari. Il c.d. principio dispositivo attenuato con metodo acquisitivo si giustifica in ragione della disponibilità degli elementi probatori in capo alla p.a. nel processo amministrativo di legittimità. Laddove tali elementi rientrino nella disponibilità del ricorrente, come accade nel giudizio risarcitorio, ove soprattutto (se non esclusivamente) l'istante è a conoscenza di quali danni ha subito ed è in possesso degli elementi idonei a provarli, il privato deve supportare la propria domanda dimostrando la sussistenza del danno medesimo (il metodo acquisitivo può essere utilizzato unicamente quando siano stati allegati tali fatti, ma il privato, per la sua posizione di disparità sostanziale con l'amministrazione, non sia in grado di provarli). </div>Anonymoushttp://www.blogger.com/profile/07368369773792917576noreply@blogger.com0